2025-06-01
Il default russo fece cantare vittoria, ora su quello ucraino cala il silenzio
Volodymyr Zelensky e Erdogan (Ansa)
Kiev non pagherà mezzo miliardo di dollari ai creditori, ma nessuno si preoccupa. Nel 2022 l’insolvenza parziale di Mosca venne accolta come la fine dello zar. Domani a Istanbul i colloqui partiranno in salita.L’insolvenza si rinfaccia ai nemici e si perdona agli amici: nel 2022, quella russa, determinata da mere ragioni tecniche e non da problemi finanziari, fu spacciata per il prodromo della sconfitta di Mosca; quella ucraina di adesso, specchio dello stato disastroso dei conti del Paese, viene quasi ignorata dagli organi di stampa. Eppure, dopo un negoziato fallito con i detentori di ben 3 miliardi e 200 milioni di suoi titoli, vincolati all’andamento del Prodotto interno lordo, Kiev ha fatto sapere che non pagherà ai creditori più di mezzo miliardo di dollari, sui 665 che avrebbe dovuto versare entro domani. È esattamente quello che si definisce un default su una quota del debito pubblico, che però non sembra aver allarmato giornalisti e analisti con l’elmetto.Gli strumenti travolti dalla crisi sono i cosiddetti «warrant», istituiti nel 2015 per incentivare gli investitori i quali, in seguito a una ristrutturazione del debito, avevano visto il proprio capitale sforbiciato del 20%. Questi titoli, con scadenza al 2041, divengono remunerativi nel momento in cui il Pil nominale dell’Ucraina supera i 125,4 miliardi di dollari e il tasso di crescita annuo eccede il 3%. Il ministro del Tesoro, Serhii Marchenko, adesso però li descrive come «disegnati per un mondo che non esiste più», perché, nonostante il rimbalzo dell’economia nazionale nel 2023 e nel 2024, gli strascichi del conflitto stanno tenendo ancora sotto il livello pre guerra il Prodotto interno lordo (diverso dal Pil nominale, che misura sì il valore dei beni e servizi di un Paese, ma ai prezzi correnti).Gli investitori erano preparati già dalla fine di aprile a un esito del genere, che in ogni caso getta una luce inquietante sul futuro dell’Ucraina. E sembra giustificare preoccupazioni e rimostranze di Donald Trump. Il tycoon è stato la voce di un pezzo dell’opinione pubblica americana, che sente di aver coperto di denaro Volodymyr Zelensky senza la prospettiva di riaverlo indietro. La ratio dell’accordo sulle terre rare, siglato un mese fa, dovrebbe essere proprio questa: rifondere le regalie statunitensi. Quanto all’Europa, gli investimenti sono stati tutti a fondo perduto. Perduto per sempre.È bizzarro che in pochi, oltre alla Reuters che ha riportato sic et simpliciter la notizia, si siano accorti dell’ennesima grana di Kiev. Quando toccò alla Russia, nella primavera 2022, i toni della propaganda erano ben più enfatici.La Federazione non riuscì a ripagare 100 milioni di interessi su due bond a stelle e strisce, poiché le era stato negato l’accesso alle riserve di valuta straniera. Era solvibile, ma a causa delle sanzioni non poteva procurarsi i verdoni con cui retribuire gli investitori. Nonostante l’episodio fosse più che altro simbolico, in Occidente esso venne spacciato per la prova maestra che le sanzioni stavano funzionando. In fondo, la versione ufficiale era quella di Enrico Letta: Mosca sarebbe stata sconfitta nel giro di poche settimane. Anzi, il «collasso» dell’economia russa si sarebbe verificato «in qualche giorno». La stessa Reuters definì quell’incidente con le obbligazioni «storico»; Repubblica evocava «lo spettro del 1998», quando, sotto Boris Eltsin, i soldi erano diventati «carta straccia»; Il Messaggero parlava di «un cappio intorno al collo che si stringe sempre più»; mentre Huffington Post, almeno, ammetteva che neanche grazie al default la Russia «si libererà di Putin». Oggi, dell’episodio non si discute più: è una delle tante profezie sepolte nelle cronache. E il pacchetto di sanzioni decisivo è sempre quello che sta per arrivare: l’Ue è al diciottesimo.Nel frattempo, sul campo, si moltiplicano le difficoltà ucraine. I russi, ieri, hanno rivendicato la conquista di un ennesimo villaggio nel Donbass. Diverse aree nella regione di Sumy sono state evacuate per timore di una nuova offensiva nemica, anche se gli equilibri, in sostanza, rimangono immutati: da un lato, gli invasori non riescono a occupare tutto il territorio che vorrebbero poi brandire in sede di trattativa; dall’altro, la resistenza non ha i mezzi e le forze per riconquistare le aree che le sono state strappate.Domani dovrebbe iniziare il secondo round di colloqui diplomatici a Istanbul, ma la Russia non ha trasmesso il proprio memorandum alla controparte. Zelensky sospetta che gli uomini di Vladimir Putin, consegnandolo il giorno stesso ai delegati di Kiev, vogliano presentare un documento irricevibile, costringendoli a far saltare il tavolo, per poi accusarli di sabotare l’armistizio. Così, guadagnerebbero tempo, utile a portare avanti ulteriori iniziative militari. Dall’amministrazione Usa, i segnali di apertura alle richieste dello zar non sono mancati: l’inviato di Donald Trump, Keith Kellogg, ha promesso che Washington bloccherà qualunque tentativo di portare nella Nato l’Ucraina, la Moldavia e la Georgia, eventualità che il generale considera una «preoccupazione perfettamente legittima» del Cremlino. «Se la Russia conferma di non essere pronta a fare la pace, Washington deve confermare il suo impegno a sanzionare Mosca», ha tuonato Emmanuel Macron, cui ieri ha replicato il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, accusandolo di non capire «la reale situazione». Chi la capisce è bravo.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)