
Jonathan Ive, il designer di Ipod e Iphone, lascia l'azienda dopo 30 anni. Formerà una società indipendente: primo cliente, Tim Cook.È la fine di un'era per Apple. A poco meno di otto anni dalla scomparsa del fondatore Steve Jobs, nei prossimi mesi lascerà l'azienda, dopo quasi trent'anni, Jonathan Ive, detto Jony, il mago del design nato a Londra e diventato a inizio 2012, poche settimane dopo la scomparsa dall'amico Jobs, sir per volere della regina Elisabetta. All'epoca confessò di «aver scoperto in tenera età che tutto quello che volevo fare era disegnare». A lui si devono le due caratteristiche che contraddistinguono i prodotti Apple: funzionalità e, al tempo stesso, bellezza.Ive è entrato in azienda nel 1992 e ha avuto uno straordinario rapporto di amicizia e collaborazione con il fondatore, di cui possiede il jet Gulfstream acquistato dalla vedova. È stato il disegnatore dei prodotti iconici dell'azienda, a partire dall'iMac passando per l'iPod e i vari iPhone. È anche stato responsabile dell'interfaccia, rivedendo l'aspetto dei sistemi operativi. Ha inoltre lavorato alla progettazione di Apple park, il nuovo campus a forma di astronave che nell'aprile 2017 è diventato la nuova sede del gruppo.Ive ha raccontato la sua decisione in un'intervista al Financial Times, spiegando però che non si tratta di un vero e proprio addio. Infatti ha annunciato la nascita di Lovefrom, la sua nuova azienda di design che avrà anche Apple tra i suoi principali clienti. Nella squadra ci sarà spazio anche per un altro importante designer e amico personale di Ive, Marc Newson, anch'egli con un passato a Cupertino. «Anche se non sarò più un dipendente, sarò ancora molto coinvolto», ha detto. «Questo sembra un momento naturale e opportuno per fare questo cambiamento». Nel mondo della tecnologia che vive di ritmi velocissimi la sua militanza quasi trentennale in Apple è un caso davvero unico. Con Lovefrom Ive tornerà alla sua vita pre Apple: infatti alla fine degli anni Ottanta già collaborava con l'azienda di Jobs attraverso una compagnia chiamata Tangerine occupandosi, tra le altre cose, del design dei primi Powerbook. Soltanto nel 1992 fu assunto da Apple e decise quindi di trasferirsi a Cupertino.Cinquantadue anni, nato a Chingford, Londra, Ive, fisico massiccio da rugbista, deciso e paranoico nella cura dei dettagli, era considerato il più grande prodotto della Apple. Così lo descriveva infatti il New Yorker raccontandone la passione per le auto, in particolare per la sua Bentley Mulsanne nera (che non guida personalmente, ma si affida all'autista Jean) e la Aston Martin DB4, la leggendaria coupé dalla cui evoluzione è nata la DB5, l'iconica macchina dell'agente 007 James Bond. E la passione per il cinema l'ha portato anche a dare consigli al regista J. J. Abrams per il design della spada laser di Guerre stellari. Quell'articolo fu una cartina al tornasole per gli equilibri a Cupertino. A nessuno era mai stato dato tutto quello spazio, neppure a Jobs: Ive era considerato l'erede. Da ogni riga di quell'articolo infatti si potevano intuire i suoi sforzi per raccogliere il testimone dell'amico.L'ad Tim Cook ha commentato l'addio di Ive parlando di «un'evoluzione» e sostenendo che il gruppo di designer interni è «più forte che mai». Ma clienti e investitori sono piuttosto spaventati dall'addio del grande custode dell'estetica Apple. Anche perché il tutto accade in una fase piuttosto complessa, che potrebbe aver convinto Ive al passo indietro: Cupertino infatti sta ragionando sul futuro oltre l'iPhone (le cui vendite in Europa sono ai livelli minimi di vendita degli ultimi cinque anni) mentre deve anche fare i conti con gli antitrust Usa e Ue e con la guerra del presidente statunitense Donald Trump alla cinese Huawei.
Nel riquadro in alto l'immagine dei postumi dell’aggressione subìta da Stephanie A. Nel riquadro in basso un frame del video postato su X del gambiano di 26 anni che l'ha aggredita (iStock)
L’aggressore è un gambiano con una lunga fila di precedenti, però si era visto accordare la protezione speciale per restare in Italia. I clandestini sono 50 volte più pericolosi, ma sinistra e magistrati legano le mani agli agenti.
Vittime sacrificali di criminali senza pietà o effetti collaterali della «inevitabile» migrazione di massa? In questo caso il grande abbraccio che tanto intenerisce la Cei si concretizza con un pugno, una bottigliata, un tentativo di strangolamento, qualche calcione mentre era a terra, sputi, insulti. «Mi diceva che mi avrebbe ammazzata», scrive sui social Stephanie A., modella di origini brasiliane, aggredita lunedì sera nello scompartimento di un treno regionale Trenord della linea Ponte San Pietro-Milano Garibaldi, nella zona di Arcore. La giovane ha postato gli scatti dei colpi subìti ma anche alcune foto che ritraggono l’aggressore, fondamentali per identificarlo. Il suo appello non è caduto nel vuoto.
Per la sinistra, il crimine aumenta a causa dei tagli alle forze dell’ordine. Il governo ha assunto uomini, però polizia e carabinieri hanno le mani legate. Mentre le toghe usano i guanti di velluto con facinorosi e stranieri.
Ogni giorno ha la sua rapina e la sua aggressione. La maggior parte delle quali fatte da clandestini. L’ultima è quella compiuta da uno straniero su un treno lombardo ai danni di una modella. Ma nonostante l’evidenza dei fatti c’è ancora chi si arrampica sugli specchi per negare la realtà. Non sono bastati gli ultimi dati del ministero dell’Interno, che mostrano un aumento dei reati commessi da immigrati quasi sempre senza permesso di soggiorno o addirittura con in tasca un foglio di espulsione dal Paese.
Ansa
Utile oltre le stime a 1,37 miliardi nei primi nove mesi del 2025. Lovaglio: «Delisting per Piazzetta Cuccia? Presto per parlarne».
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».





