2021-03-26
«Il Covid non si batte con il lockdown. Servono vaccini e cure rapide a casa»
Pietro Luigi Garavelli (Ansa)
L'infettivologo Pietro Luigi Garavelli: «Chiudere tutto danneggia psiche ed economia. Così, per evitare la malattia, si rischia di morire di paura. Occorrono più informazioni, sieri aggiornati alle mutazioni e trattamento precoce».Oggi il monitoraggio per i nuovi colori e riunione del governo sui divieti dopo Pasqua.Lo speciale contiene due articoli.«Se pensiamo di sconfiggere il Covid con il lockdown siamo sulla strada sbagliata. Inoltre le restrizioni stanno causando gravi danni dal punto di vista psichico, sociale e economico. Io non vorrei che per non morire di Covid, si morisse per paura del Covid. Piuttosto concentriamoci sulla vaccinazione e sulle cure domiciliari tempestive, appena la malattia si manifesta, con i farmaci innovativi che ormai sono a disposizione dei medici». Pietro Luigi Garavelli, primario della Divisione malattie infettive dell'Ospedale maggiore della carità di Novara, non teme di comparire come una voce fuori dal coro. D'altronde anche numerosi studi comparsi sull'autorevole rivista scientifica Science hanno messo in dubbio l'utilità salvifica attribuita, con grande facilità, al lockdown.Professore vogliamo fare chiarezza? Lockdown sì o no?«Affinché le restrizioni siano veramente determinanti, deve verificarsi almeno una di queste quattro condizioni: il virus diventi benigno, i vaccini efficaci anche contro le varianti, le cure risolutive e un clima caldo che inibisca la trasmissione. Ma nessuna di queste condizioni si è verificata ed il virus è diventato endemico, ovvero è presente in milioni di portatori. Sicché appena si allentano le restrizioni, e le persone riprendono a circolare, ecco che il contagio riprende anche perché nel frattempo si sono sviluppate pure le varianti».Ma i morti continuano a esser tanti.«Il Covid ha caratteristiche biologiche simili ai virus influenzali che nell'80% dei casi danno luogo a forme asintomatiche e paucisintomatiche, nel restante a forme più rilevanti che portano circa il 5% totale dei soggetti in ospedale e poi un 1% di decessi. Ciò che fa paura del Covid sono gli alti numeri di malati che possono aver bisogno di ricovero. Una influenza stagionale in una popolazione che ha già incontrato il virus o è stata vaccinata può dare al limite 4 milioni di casi. Nel caso del Covid ci siamo trovati di fronte a un virus nuovo che ha colto impreparati, perché nessuno aveva sviluppato gli anticorpi e non era stato vaccinato. Potenzialmente 40 milioni di pazienti, dieci volte di più dell'influenza. Il sistema sanitario ha dovuto affrontare un'emergenza con strutture ospedaliere depotenziate da un decennio di tagli».Per affrontare l'emergenza, il lockdown è parso inevitabile, non è d'accordo?«Il lockdown serve a diluire nel tempo i pazienti che devono essere ricoverati, e fare in modo che le strutture non siano gravate dalla massa di malati, perché altrimenti non ce la farebbero. Questa è la reale utilità del lockdown. Ma è diverso dire che con le restrizioni si sconfigge il virus. Questo può avvenire solo se si verificano alcune condizioni. Innanzitutto se il virus modifica o attenua la sua carica virale con le condizioni meteo di caldo. Nel frattempo però bisogna trovare un vaccino anche contro le varianti perché il virus muta con velocità. Infine occorre una cura efficace. Ma queste condizioni non si sono verificate. Il virus non si è attenuato, le condizioni climatiche non hanno eliminato la trasmissione poiché dopo la riduzione nella stagione estiva, la curva dei contagi è risalita in autunno e i vaccini non sono immunizzanti contro tutte le varianti. Allora la popolazione, uscita dal lockdown, tende a infettarsi. Se ne deduce che le restrizioni, anche le più dure, non sono risolutive».Ma allora non c'è soluzione?«Occorre una strategia in quattro punti: corretta informazione, responsabile comportamento, trattamento precoce domiciliare e politica vaccinale con aggiornamento rapido sulle mutazioni, a livello mondiale. La popolazione va responsabilizzata. Nessuno deve pensare che la vaccinazione equivalga a un liberi tutti. Bisogna continuare a osservare le regole del distanziamento, dell'igiene e utilizzare la mascherina, finché la pandemia non si è esaurita. I vaccini devono confrontarsi con un virus che muta e quindi devono essere prontamente aggiornati. L'operazione va fatta a livello mondiale perché la globalizzazione porta a una circolazione maggiore, a scambi più veloci tra le persone e quindi in zone con copertura vaccinale possono arrivare soggetti da altre parti del mondo con nuovi ceppi». Come fanno i vaccini ad avere la meglio sulle varianti? La velocità di mutazione del virus è superiore ai possibili aggiornamenti.«I vaccini sono comunque da praticare per ridurre la massa critica della popolazione suscettibile al virus e perché evitano che l'infezione si trasformi in malattia scendendo nei polmoni e che assuma un decorso grave. Se si trova un denominatore comune, tecnicamente detto antigene, alle varianti di SARS-CoV-2 , il virus causa del Covid, si può produrre un vaccino efficace, indipendentemente da tutte le mutazioni. Ora ci sono vaccini che si comportano egregiamente nei confronti della maggior parte dei ceppi emersi ma ci sono anche varianti che ne risentono meno. Fondamentali sono le cure precoci sul territorio perché se si interviene presto sulla malattia, minori sono i casi gravi che richiedono il ricovero in ospedale». A che punto sono le cure?«Abbiamo tante armi a disposizione. Oltre ai cortisonici e agli eparinici ci sono farmaci da tempo utilizzati come la idrossiclorochina e la ivermectina, questa in America Latina. Sono a disposizione i monoclonali e a breve dovrebbero arrivare una serie di antivirali specifici come il molnuprinavir. Intanto bisogna vivere serenamente una malattia che, nella stragrande maggioranza dei casi, dà pochi effetti, ha le cure giuste e vaccini capaci di diminuire la massa dei malati gravi». Alcuni studi americani dicono che ci possono essere effetti neurologici gravi, come perdita di memoria, anche nei casi asintomatici, le risulta?«Sono dati aneddotici, tutti ancora da dimostrare, guardiamo ai grandi numeri. Piuttosto bisogna riprendersi la vita perché si rischia di morire non per Covid ma per la paura del Covid».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-covid-non-si-batte-con-il-lockdown-servono-vaccini-e-cure-rapide-a-casa-2651213312.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-zona-gialla-resta-un-miraggio-fino-al-15-aprile" data-post-id="2651213312" data-published-at="1616701771" data-use-pagination="False"> La zona gialla resta un miraggio fino al 15 aprile Puntuale come ogni settimana, oggi la cabina di regia del ministero della Salute e dell'Istituto superiore della sanità esaminerà i dati forniti dalle Regioni e ne delibererà, con la successiva ordinanza del ministro Roberto Speranza, i colori che scatteranno lunedì 29 marzo. Un rituale a cui gli italiani si sono dovuti purtroppo abituare, dopo lo stop al bollettino della Protezione civile delle 18 che ha scandito i primi e più duri mesi di questa pandemia. Nell'attesa dei risultati ufficiali, le previsioni per le Regioni sono tutt'altro che rosee. Da lunedì, infatti, nessun territorio tornerà al giallo. La Valle d'Aosta dovrebbe unirsi a Lazio, Campania, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Piemonte, Provincia di Trento, Marche, Lombardia e Puglia, già in zona rossa. Di queste, solo il Lazio sembra poter tornare all'arancione. In bilico il Veneto: «La proiezione che abbiamo è di un Rt ai limiti della zona arancione e abbiamo una incidenza ancora intorno ai 250 casi ogni 100.000 abitanti. Le legge prevede che questi valori debbano rientrare sotto soglia per cambiare zona, stiamo aspettando con ansia le attribuzione dei parametri», spiega il presidente del Veneto, Luca Zaia. Convinto di rimanere nella fascia intermedia è invece il governatore toscano, Eugenio Giani: «Siamo a 248 nuovi casi su 100.000 abitanti e abbiamo un Rt di 1,09-1,10, quindi siamo in zona arancione». Una differenza non da poco, dato che nelle zone arancioni rimangono sì chiusi bar e ristoranti, ma è concesso tenere aperto ai parrucchieri, ai centri estetici e ai negozi di ogni tipo. Nelle zone rosse, invece, le serrande vanno abbassate (tranne quelle degli esercizi classificati come essenziali). La zona arancione significherebbe qualche giorno di respiro per molti commercianti. Più breve del solito tuttavia: da sabato 3 a lunedì 5 aprile, infatti, tutta Italia tornerà in zona rossa per blindare le festività pasquali. Cosa succederà dopo il giorno di Pasquetta è tutt'altro che certo. Nel pomeriggio di oggi la cabina di regia del governo si riunirà per discutere il nuovo decreto legge Covid, che dovrà entrare in vigore il 7 aprile. L'ipotesi di un allentamento delle restrizioni si allontana, dato il parere contrario del Cts ad alleggerire i divieti e a reintrodurre le zone gialle. Quella bianca, manco a dirlo, rimane un lontanissimo miraggio. Se la riapertura delle scuole, quantomeno elementari, sembra essere un'ipotesi tangibile, tutto il resto pare rimanere condannato allo stop. Anche i cinema e i teatri, illusi nelle dichiarazioni passate di poter riaprire da domani, che invece difficilmente potranno riaccendere le luci prima del 15 aprile. Buio totale anche per i gestori di palestre e piscine.
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Ll’Assemblea nazionale francese (Ansa)