2022-02-12
Ma il possesso del corpo vale solo per chi vuol suicidarsi?
Media e politici che esultano per il farmaco letale dato a Mario insultano i genitori che hanno chiesto per il figlio sangue no vax. Saremo probabilmente costretti a subire per anni una delle più devastanti conseguenze della pandemia: il danno che ha inferto alla capacità di pensare, di affrontare le questioni (comprese le più semplici) facendo ricorso alla ragione e non all’emotività, di osservare e comprendere le sfumature senza ridurre tutto a distinzioni manichee. Se fossimo ancora in grado di pensare, ci fermeremmo a riflettere sulle evidenti contraddizioni che stanno emergendo riguardo allo spinoso argomento del possesso del corpo. Negli ultimi giorni, trasmissioni e quotidiani si sono accaniti ferocemente su alcuni defunti, in particolare il biologo Franco Trinca. Era diventato un personaggio noto, spesso invitato a battagliare con i rappresentanti della medicina ufficiale. Trinca era un fiero sostenitore degli integratori, esprimeva platealmente i suoi dubbi sulla campagna vaccinale, e ripetutamente è stato presentato dai media con un «mostro» no vax folle e pericoloso. Indubbiamente, al biologo faceva piacere andare in video, altrettanto indubbiamente molti lo sfruttavano per suggerire l’idea che fosse uno svalvolato e che, di conseguenza, tutti i critici del green pass fossero come lui.Poco importa, a questo punto. Trinca è morto di Covid e a quanto pare ha rifiutato l’intubazione che forse lo avrebbe salvato. Scelta magari non condivisibile e sbagliata, ma dotata di una logica intrinseca. Che ora, però, viene dileggiata, e raccontata come il fatale delirio di un pazzo. Ed ecco il punto interessante. Coloro che sono pronti a gongolare per la morte di Trinca, o che dicono con leggerezza «se l’è cercata», sono spesso gli stessi che non hanno esitazioni a sostenere il suicidio assistito, una pratica che si sta imponendo dopo la sentenza della Consulta sul caso Dj Fabo. Di ieri è la notizia che Mario - un uomo di 44 delle Marche, tetraplegico - potrà utilizzare il Tiopentone per morire aiutato da medici. La decisione, sostiene il Corriere Adriatico, è stata presa da una commissione di esperti costituita dall’Azienda sanitaria unica regionale con cui Mario stava battagliando da tempo per ottenere la possibilità di farla finita.Ora, probabilmente qualcuno inorridirà all’idea di paragonare il caso di Trinca a quello di Mario. E di sicuro c’è differenza tra una persona che soffre tanto da non poterne più e un uomo che - sottoponendosi a una cura - potrebbe campare ancora a lungo e in buona salute. Il terreno bioetico su cui ci muoviamo, tuttavia, è evidentemente il medesimo. E richiede di essere arato a fondo, senza fermarsi alle riduzioni propagandistiche.Occorre aggiungere un altro elemento. In Emilia Romagna ai genitori di un bambino è stata sospesa la potestà per via di una particolare richiesta che i due hanno avanzato all’ospedale Sant’Orsola di Bologna. Hanno chiesto che al figlio, affetto da una cardiopatia, fosse trasfuso sangue proveniente da donatore non vaccinato. La faccenda va avanti da mesi, per la precisione dal settembre del 2021, ma è diventata soltanto ora di dominio pubblico, e ai due è stato riservato il trattamento Trinca. L’altra sera, nello studio di Paolo Del Debbio, un esponente di Forza Italia li ha definiti «criminali». Altri hanno scritto e detto che si tratta di due spostati che vogliono far morire il piccolo, i più gentili hanno sostenuto che siano stati giustamente esautorati dal tribunale perché la loro richiesta demente si basava su fake news.Ebbene, di nuovo si pone lo stesso tema: quando, e come, abbiamo diritto a disporre del nostro corpo, o di quello dei nostri figli (di cui siamo responsabili)? La risposta mediatica è stata univoca: giusto che si consenta al tetraplegico di suicidarsi medicalmente; folle rifiutare il vaccino e poi l’intubazione qualora si sia malati di Covid; criminale chiedere sangue di non vaccinato per il figlio. Nelle Marche, l’istituzione medica ha individuato il trattamento che potrà uccidere Mario; in Emilia Romagna la richiesta di un particolare trattamento ha prodotto l’intervento di ben due giudici che hanno deciso contro i genitori.Non abbiamo certo la presunzione di poter risolvere il dilemma etico, però qualche conclusione da tutto ciò possiamo trarla. Intanto, c’è una enorme differenza tra il rifiuto di un trattamento e il suicidio assistito. Chi rigetta una terapia per motivi politici o religiosi si colloca nella dimensione del sacrificio. Come ha ben scritto (in Eutanasia, Cantagalli) Adriano Pessina accennando al caso dei Testimoni di Geova che rifiutano le trasfusioni, «questo rifiuto non nasce da una volontà suicida, ma dal convincimento religioso per cui con la trasfusione verrebbero esclusi dalla vita eterna, nella quale essi credono. […] Non c’è dubbio che la loro scelta, quando motivata e personale, è all’insegna del sacrificio della vita terrena per la vita eterna. […] Nella figura del sacrificio la morte è subita, non voluta, ed è subita dentro una scelta che ha come obiettivo valori che testimoniano il significato stesso della vita umana». Per semplificare: il rifiuto di un trattamento può derivare dal riconoscimento di una gerarchia di valori. Il malato ritiene che ci siano precetti a cui attenersi, a costo di perdere la vita. Egli accetta un principio e accetta la morte che può derivarne. Nel caso del suicidio assistito, invece, il rischio è - come scrive ancora Pessina - che alla accettazione si sostituisca la rassegnazione, la quale nega che «il nucleo del valore risieda nella persona malgrado sia malata, disabile, inferma, morente».Il diritto di rifiutare i trattamenti si basa infatti sull’idea che «la tutela della salute umana è sempre anche la tutela della persona umana», una persona fatta di corpo e di mente, di carne e di idee e convinzioni che vanno rispettate. Dietro al suicidio assistito - in molti, troppi casi - si nasconde invece la convinzione che la persona smetta di avere importanza nel momento in cui è affetta da una patologia invalidante. Se il corpo cessa di funzionare al meglio, allora il malato è una sorta di sottouomo, un essere inservibile di cui liberarsi. Il rifiuto di un trattamento prevede che possa esistere qualcosa per cui si può, in casi estremi, persino soffrire o morire; il suicidio assistito afferma che la vita, in presenza del dolore, è inutile, poiché nulla conta più della sofferenza. Detto questo, che possiamo stabilire? Nulla, se non che al centro di ogni riflessione su tali argomenti debba esserci la persona. E se la persona è al centro, tocca esaminare con cura ogni singolo caso. In particolare, al medico e alle istituzioni viene richiesto di «prendere in considerazione la concreta condizione del concreto paziente, stabilendo relazioni professionali che sono anche relazioni interpersonali».Domandiamo, dunque: nel caso del bambino emiliano è stata davvero considerata la relazione interpersonale? Sono state considerate a fondo le concrete condizioni del concreto paziente? Quel piccolo, sembra, non ha immediato pericolo di morte: se così fosse, i genitori non si porrebbero alcun problema sulla trasfusione. Ma poiché la vicenda ha avuto uno sviluppo nel tempo, la possibilità di valutare la loro richiesta c’è stata, ed è stata persino accolta da un ospedale e da un servizio di trasfusioni di un’altra provincia. Ma le istituzioni bolognesi si sono opposte. Peggio: si sono rivolte al tribunale dei minori anche se i genitori avevano già dato l’assenso all’intervento sul piccino. I media hanno montato una campagna linciatoria, e tutto è stato liquidato, al solito, come una mattana no vax. Anche se si sarebbe potuto risolvere da tempo nel rispetto di tutti, e senza clamori.È così che le persone, i casi particolari, passano in secondo piano, travolti dall’ideologia, dai protocolli e dall’imperio: oggi conta il meccanismo, non l’uomo. Non contano la fede, i valori, gli ideali (anche se sbagliati), le sfumature: conta il funzionamento, e chi non può garantirlo è bene che sia eliminato.
Jose Mourinho (Getty Images)