2020-05-08
Il centenario di San Giovanni Paolo. II Papa che insegna ad amare la patria
Papa Giovanni Paolo II (Thierry Orban/Sygma via Getty Images)
Il 18 maggio si celebra la nascita di Karol Wojtyla, che nel libro Memoria e identità e in alcuni celebri discorsi ricordò l'importanza della nazione e delle radici. Che per ogni popolo sono «insostituibili».Il 18 maggio, proprio nel giorno in cui i fedeli potranno finalmente partecipare di nuovo alla messa, cade un anniversario importante: saranno cento anni dalla nascita di Karol Józef Wojtyla, San Giovanni Paolo II, nato nel 1920 e morto il 2 aprile del 2005. La ricorrenza risulta particolarmente importante se si considera il momento storico in cui capita. Nei giorni in cui papa Francesco sostiene a spada tratta la sanatoria dei migranti e continua, ormai da tempo, a far proprie alcune tesi dell'ideologia immigrazionista, il pensiero di Giovanni Paolo II agisce come una sorta di antidoto ai luoghi comuni odierni, mostrando che la retorica dello sconfinamento non è incontestabile. Giovanni Paolo II fu, senza ombra di dubbio, uno strenuo difensore della patria e della nazione. E basta la sua vicenda personale a sbriciolare gran parte degli stereotipi attorno a cui si sono cristallizzate le teorie «no borders». Da Papa, Wojtyla diede un apporto fondamentale all'abbattimento del muro di Berlino, e ciò in effetti potrebbe farne un modello per quanti sostengono che si debbano costruire «ponti e non muri». Eppure, Giovanni Paolo II era anche estremamente consapevole del valore positivo dei confini e delle identità dei popoli. Per rendersene conto basta sfogliare il volume di interviste Memoria e identità, pubblicato per la prima volta nel 2005. Un'intera sezione - Pensando patria, titolo ripreso da quello di una poesia di Wojtyla del 1974 - è dedicata alla riflessione sulla nazione e le radici. Quale sia l'opinione del Papa sull'argomento lo ha ben spiegato anche padre Aldino Cazzago nel saggio Giovanni Paolo II. «Ama gli altri popoli come il tuo!» (Jaca Book, 2013), che già nella titolazione dice tutto. «L'espressione “patria"», dice Wojtyla, «si collega con il concetto e con la realtà di padre (pater). La patria in un certo senso si identifica con il patrimonio, cioè con l'insieme di beni che abbiamo ricevuto in retaggio dai nostri padri. Significativamente molte volte si usa, in questo contesto, l'espressione “madrepatria". Per l'esperienza personale tutti sappiamo in quale misura la trasmissione del patrimonio spirituale si compia per mezzo delle madri. La patria dunque è l'eredità e, nello stesso, tempo, la situazione patrimoniale derivante da tale eredità; ciò riguarda anche la terra, il territorio». Già questa analisi piuttosto semplice basterebbe a scandalizzare molti degli attuali sostenitori del mondo senza frontiere. Ma Giovanni Paolo II avanza, ancora più deciso, parlando dell'importanza spirituale della patria. «Più ancora», dice, «il concetto di patria coinvolge i valori e i contenuti spirituali che compongono i contenuti di una data nazione. [...] Nel concetto stesso di patria è contenuto un profondo legame tra l'aspetto spirituale e quello materiale, tra la cultura e il territorio». Certo, la venuta di Cristo conferisce alla parola patria un nuovo significato. Gesù parla della «patria celeste», ma non per questo le patrie terrene perdono importanza. «La dipartita di Cristo», dice Giovanni Paolo II, «ha aperto il concetto di patria sulla dimensione dell'escatologia e dell'eternità, ma non ha tolto nulla al suo contenuto temporale». Amare la patria non è semplicemente un dovere civico, ma pure spirituale. «Se ci si chiede quale posto occupi il patriottismo nel Decalogo», precisa Giovanni Paolo II, «la risposta non dà luogo a titubanze: si colloca nell'ambito del quarto comandamento, il quale ci impegna ad onorare il padre e la madre. [...] Il patrimonio spirituale che ci è trasmesso dalla patria ci raggiunge attraverso il padre e la madre, e fonda in noi il corrispettivo dovere della pietas». E poiché la patria è in qualche modo la nostra casa, qui il pensiero di Wojtyla diventa - oltre che teologico - economico ed ecologico. «Patriottismo significa amore per tutto ciò che fa parte della patria: la sua storia, le sue tradizioni, la sua lingua, la sua stessa conformazione naturale. È un amore che si estende anche alle opere dei connazionali e ai frutti del loro genio. Ogni pericolo che minaccia il bene grande della patria diventa occasione per una verifica di questo amore». L'amor patrio, ovviamente, non esclude la natura universale del messaggio cristiano. Il quale certo non cancella, ma semmai completa, il senso particolare di ogni cultura, e parla allo spirito di ogni nazione. Patria e nazione, per il Papa polacco, sono legate nel comune rimando al tema della nascita. «Col termine “nazione"», spiega Wojtyla, «si intende designare una comunità che risiede in un certo territorio e che si distingue dalle altre comunità per la propria cultura». Questa distinzione, questa differenza appare come una ricchezza. Interrogato sul tramonto dei concetti di patria e nazione e sulla possibilità che essi diventino obsoleti con l'emergere di istituzioni sovranazionali e globali, Giovanni Paolo II è estremamente chiaro: «Sembra tuttavia», afferma, «che come la famiglia, anche la nazione a la patria rimangano realtà non sostituibili. La dottrina sociale cattolica parla in questo caso di società “naturali", per indicare un particolare legame sia della famiglia che della nazione con la natura dell'uomo, la quale ha una sua dimensione sociale». Secondo Wojtyla, «le vie fondamentali della formazione di ogni società passano attraverso la famiglia. [...] Ma sembra che un'osservazione analoga si addica anche alla nazione. L'identità culturale e storica delle società è salvaguardata ed alimentata da quanto è racchiuso nel concetto di nazione». L'amore per la patria, precisa il Papa, non può essere tale da accecare, convincendo le nazioni a perseguire esclusivamente il proprio interesse. Bisogna amare la propria patria e la propria cultura come gli altri popoli amano le loro. E riconoscere a ciascun popolo il diritto di esercitare questo amore, e di metterlo in pratica entro i propri confini. È stato di nuovo Wojtyla a dire, nel 1998, che «diritto primario dell'uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all'emigrazione». Fattori che oggi, invece, in troppi tendono a rafforzare.
Kim Jong-un (Getty Images)
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È stato pubblicato sul portale governativo InPA il quarto Maxi Avviso ASMEL, aperto da oggi fino al 30 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (ASMEL), punta a creare e aggiornare le liste di 37 profili professionali, rivolti a laureati, diplomati e operai specializzati. Potranno candidarsi tutti gli interessati accedendo al sito www.asmelab.it.
I 4.678 Comuni soci ASMEL potranno attingere a queste graduatorie per le proprie assunzioni. La procedura, introdotta nel 2021 con il Decreto Reclutamento e subito adottata dagli enti ASMEL, ha già permesso l’assunzione di 1.000 figure professionali, con altre 500 selezioni attualmente in corso. I candidati affrontano una selezione nazionale online: chi supera le prove viene inserito negli Elenchi Idonei, da cui i Comuni possono attingere in qualsiasi momento attraverso procedure snelle, i cosiddetti interpelli.
Un aspetto centrale è la territorialità. Gli iscritti possono scegliere di lavorare nei Comuni del proprio territorio, coniugando esigenze professionali e familiari. Per gli enti locali questo significa personale radicato, motivato e capace di rafforzare il rapporto tra amministrazione e comunità.
Il segretario generale di ASMEL, Francesco Pinto, sottolinea i vantaggi della procedura: «L’esperienza maturata dimostra che questa modalità assicura ai Comuni soci un processo selettivo della durata di sole quattro settimane, grazie a una digitalizzazione sempre più spinta. Inoltre, consente ai funzionari comunali di lavorare vicino alle proprie comunità, garantendo continuità, fidelizzazione e servizi migliori. I dati confermano che chi viene assunto tramite ASMEL ha un tasso di dimissioni significativamente più basso rispetto ai concorsi tradizionali, a dimostrazione di una maggiore stabilità e soddisfazione».
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Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)