2020-09-06
Il castagno di Grosio, pioniere del silenzio
Un tempo i documenti attestavano che in Valtellina ci fosse il più largo albero della Lombardia, con una circonferenza del tronco pari a dodici metri. Alto oltre dieci, la sua ombra gigante oggi sovrasta il bosco di cui è oramai guardiano. Ma senza retribuzione.Riprendiamo il giro degli alberi delle città lombarde o nei territori limitrofi. Alcune città hanno custodito giardini e singoli esemplari arborei di particolare pregio storico o naturalistico, mentre in altre città ha prevalso l'idea dell'albero quale semplice arredo urbano, togliendo di mezzo ogni possibile segno dell'usura del tempo. Per come le nostre città sono state edificate in epoca moderna, qualsiasi Comune avrebbe avuto modo di «coltivare» grandi alberi, ma scelte di carattere economico e urbanistico possono aver condotto gli amministratori, pubblici e i proprietari privati, a scelte diverse. Così ad esempio è nella città di Sondrio, dove i pochi alberi secolari si possono avvicinare nel piccolo giardino che circonda l'edificio di Villa Quadrio, voluta dal giornalista Emilio Quadrio e realizzata nel biennio 1913-1914 dall'architetto milanese Adolfo Zacchi, attuale sede di una biblioteca, fra via Trieste e via IV Novembre. Un piccolo giardino giochi per bambini, e tassi, querce, abeti, lecci, pini himalayani. Cinque cedri deodara circondano due lati della villa, sono questi che si alzano con chioma a fiamma i tronchi dalle maggiori circonferenze, si aggirano fra i 400 e 430 cm. Poche le altre sorprese nei piccoli spazi verdi della città, ma le montagne la circondano ed è qui che noi possiamo allungare il passo per visitare alberi monumento. Infatti, a quaranta chilometri, nelle boscaglie che sovrastano l'abitato di Grosio (4430 abitanti), si può incontrare uno dei maggiori castagni per circonferenza del tronco dell'arco alpino, o meglio, quel che ostinatamente resiste. Dal capoluogo si percorre la statale 38 che conduce a Bormio e alle terre alte dello Stelvio. A Grosio cercate il cimitero soprano di Ravoledo, accanto al quale parcheggiate. Scarpinate lungo il sentiero che sulla destra risale attorno al confine del cimitero, alle sue spalle troverete una mulattiera a gomito che sale, vi sembrerà di andare a perdervi ma è cosa buona e giusta. Nei mesi estivi si consiglia di spiluccare le piccole more che sono gustosissime, maturate al sole. In 15 minuti raggiungete le case del Bugatòn, in via Bugatone, tre case, a destra l'acquedotto. La strada si divide in tre direzioni, voi andate a destra e poi su, lasciandovi un Gesù in croce alle spalle. Si penetra nella penombra di un castagneto che salendo infittisce, fino a che un'ombra scura e vasta annuncia le case di località Bedignolo. L'ombra gigante, traforata, è l'albero magistrale che state cercando. Un occhio di luce lo attraversa, poiché parte della base è compromessa, si è staccata, ma nonostante questo le poche fronde continuano a vegetare. Un tempo i documenti attestavano che fosse il più largo albero della Lombardia, con una circonferenza del tronco pari a dodici metri, per un'altezza stimata in dieci metri. Ora cerco di misurarlo e mi fermo a metri undici, ma manca ovviamente materia: lo spazio qui ha lavorato per togliere, come sappiamo accade nel cuore tenero dei castanodònti, come mi diverto a indicare i castagni plurisecolari delle Alpi e dell'Appennino. In Piemonte ne esistono che raggiungono i nove metri di circonferenza, in Liguria i dieci, nel Veneto resta insuperato il Balech di Quero, nel feltrino. Nell'adiacente Canton Ticino, come segnalavo nel saggio L'Italia è un Bosco (Laterza), esistono ben trecentodieci castagni che superano i sette metri di circonferenza con esemplari che hanno incortecciato sette-otto secoli di esistenze. Bisogna migrare in Toscana, in Calabria e Sicilia, per individuare alberi più vasti, i 18, i 21 metri di circonferenza di esemplari che le stime avvicinano al millennio di vita, e forse anche più. Ora sappiamo quanto sia ballerino tentare di stimare questi giganti addomesticati che abitano accanto alle case degli umani, piantati e innestati dai nostri avi, quando la vita era dura, certi pranzi un tozzo di pane e tanta, immensa fatica. Quando ci ripenso mi viene da domandarmi - è retorica, null'altro - se non avessero anche quegli uomini e quelle donne diritto a un'infanzia, a una giovinezza, a una vita migliore? Eppure le generazioni sono sorte e sono appassite, i secoli si sono dissipati e il silenzio è stato l'unico collante che ha tenuto insieme uomini, pietre, notti buie, autunni e alberi. La stima dell'età di questo come di altri castagni magistrali si aggira fra i quattro e i cinque secoli, un ago di tempo che infilza quante generazioni di sposi e di genitori? Di bambini e di anziani? Di boscaioli, minatori, artigiani, postini, commercianti, allevatori, ladri e azzeccagarbugli? Il tronco del castagno di Grosio è ricoperto di muschi, dalla parte rivolta alle case che sovrastano il bosco di cui è oramai guardiano senza retribuzione. Accarezzandolo sembra che le dita rimbalzino sul morbido, su gomma piuma. Un verde scuro stellato e brillante, quando la luce si fa meno fioca e distratta. E questa caverna che lo abita, questo occhio di Polifemo che si fa guardare invece di fissare, che si fa scrutare invece di distinguere, di separare, di attribuire senso.Da trent'anni, i primi di settembre, mi avvicino ai cd e ne scelgo uno che è sempre lo stesso. Lo inserisco e ascolto il pianoforte - l'arrangiamento è di un certo Ryuichi Sakamoto - e la voce che suadente recita: «The sun shines high above / the sounds of laughter / the birds swoop down upon / the crosses of old grey churches. / We say that we're in love / while secretly wishing for rain / sipping coke and playing games. / September's here again, / september's here again». Ovvero: «Il sole risplende in alto / i suoni di una risata / gli uccelli scendono in picchiata / sulle croci delle vecchie chiese grigie / Ci diciamo di essere innamorati / mentre in silenzio desideriamo la pioggia / sorseggiando coca e giocando fra di noi. / Settembre è di nuovo qui, / settembre è di nuovo qui». La canzone s'intitola September e oramai appartiene al rito collettivo di molti estimatori della musica meditativa di David Sylvian. L'album era Secrets of the Beehive, I segreti dell'alveare, correva l'anno 1987: tutti avevamo ancora paura di un'eventuale guerra termonucleare, in Valtellina le inondazioni estive provocavano 53 morti, mentre al cinema uscivano Opera di Dario Argento, Capriccio di Tinto Brass, Io e mia sorella di Carlo Verdone, purtroppo Rimini Rimini, nonché Il ventre dell'architetto di Peter Greenaway, Good Morning Vietnam e Attrazione fatale. A capo delle due superpotenze c'erano Ronald Reagan e Michail Gorbacev e l'Aids era oramai epidemia su scala globale. Di tutto questo il nostro castagno di Grosio non ha mai saputo alcunché.
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L'evento organizzato dal quotidiano La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Sul palco con il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin, il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, il direttore Ingegneria e realizzazione di Progetto Terna Maria Rosaria Guarniere, l'Head of Esg Stakeholders & Just Transition Enel Maria Cristina Papetti, il Group Head of Soutainability Business Integration Generali Leonardo Meoli, il Project Engineering Director Barilla Nicola Perizzolo, il Group Quality & Soutainability Director BF Spa Marzia Ravanelli, il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il presidente di Generalfinance, Boconi University Professor of Corporate Finance Maurizio Dallocchio.