Il centrodestra non va lontano se il leader non sa unire

Ho molta stima di Stefano Parisi, l'uomo che Silvio Berlusconi ha incaricato di rifondare il centrodestra. Lo conosco da anni e da tempo ne apprezzo la pacatezza e anche la preparazione. E proprio per questo, perché lo considero una persona di valore, lo vorrei mettere in guardia da certi facili entusiasmi. Non suoi, che pure sono legittimi: chi si lancia in un'avventura è normale che si infervori e affronti la sfida con passione. No, gli entusiasmi di cui diffidare sono quelli dei molti che lo tirano per la giacchetta, facendogli correre il rischio di imboccare la strada sbagliata.

L'Italia è la patria di chi va in soccorso del vincitore, o per lo meno di chi è ritenuto tale. E ora, dopo i rovesci che negli ultimi tempi ha registrato Forza Italia, Parisi è stato individuato come il solo in grado di rifondare il partito. Ma è proprio così? Sarà proprio lui a risollevare le sorti di quello che è stato il grande contenitore dei moderati? Io ho i miei dubbi. E non solo perché Parisi a Milano ha perso la sfida contro Beppe Sala, manager che ha molte doti ma non quella dell'affabulazione, e dunque non si vede come l'ex manager di Fastweb potrebbe vincere con Renzi, il quale invece ha molti difetti ma una capacità di incantare anche i serpenti. No, su Parisi non pesa solo la battuta d'arresto registrata nel capoluogo lombardo. C'è proprio un inizio sbagliato in questa discesa in campo da leader del risorto centrodestra, che temo divida invece di unire.

Nel 1994, quando decise di candidarsi alla guida del Paese dopo aver tentato invano di convincere altri a farlo al posto suo, a Silvio Berlusconi riuscì l'impresa di mettere insieme anime che sembravano inconciliabili. Il Msi, non ancora diventato An, era statalista e nazionalista con un forte radicamento nel Mezzogiorno. La Lega al contrario era autonomista e con un bacino elettorale concentrato nel Settentrione. Se poi ci aggiungete ciò che restava della Dc, ci si rende conto i componenti della cosiddetta Casa delle Libertà apparivano in conflitto fra loro. Eppure il Cavaliere badò a fare in modo che missini, leghisti e ex democristiani marciassero tutti in una direzione e non, come sarebbe stato legittimo attendersi, in ordine sparso. Ecco, ora io non vedo questa voglia di federare le anime del centrodestra. Ascolto discorsi generali e forse anche un po' generici, ma nessun vero tentativo di rimettere insieme i cocci di ciò che è stato il grande fronte dei moderati. Anzi, più che tentativi per andare d'accordo mi pare che ci siano molti sforzi di sottolineare il disaccordo. E allora mi domando: ma dove si pensa di andare se partiti e partitini procedono tutti per la propria strada? Certo, conosco l'obiezione. Al momento giusto si troverà la quadra, per usare una frase un tempo cara a Bossi. Ma il momento giusto è ora, quando manca tempo alle elezioni. Aspettando l'avvicinarsi della fine della legislatura, si rischia invece di finire come a Roma, dove nonostante il centrodestra avesse buone carte da giocare non è riuscito neppure a partecipare alla partita.

Chiedo dunque a Parisi: non sarebbe meglio sedersi tutti insieme – Berlusconi, Salvini, Meloni, Toti eccetera eccetera – e cercare di coordinarsi? Prima di stabilire chi è il gallo del pollaio di centrodestra non sarebbe auspicabile stabilire su quante galline si può contare? Insomma, mi sembra che senza un'intesa fra tutti, si rischi di fare un altro flop, regalando alla sinistra altri cinque anni di governo. So che le primarie non fanno parte del Dna del centrodestra, ma prima o poi, senza Berlusconi candidato, bisognerà stabilire una regola per decidere chi dovrà guidare i moderati. Non le si vuole chiamare primarie ma secondarie? Fate pure, ma decidete. Perché se non decidono i cosiddetti leader di centrodestra, alla fine regalate il Paese a Renzi. Il quale, nel caso vincesse il referendum non avrà problemi a stabilire chi comanda ma farà tutto da solo. Destra, sinistra e anche centro.

Donald ce l’ha fatta: shutdown sbloccato. Volano tutte le Borse, su anche oro e cripto
Il toro iconico di Wall Street a New York (iStock)
Democratici spaccati sul via libera alla ripresa delle attività Usa. E i mercati ringraziano. In evidenza Piazza Affari: + 2,28%.

Il più lungo shutdown della storia americana - oltre 40 giorni - si sta avviando a conclusione. O almeno così sembra. Domenica sera, il Senato statunitense ha approvato, con 60 voti a favore e 40 contrari, una mozione procedurale volta a spianare la strada a un accordo di compromesso che, se confermato, dovrebbe prorogare il finanziamento delle agenzie governative fino al 30 gennaio. A schierarsi con i repubblicani sono stati sette senatori dem e un indipendente affiliato all’Asinello. In base all’intesa, verranno riattivati vari programmi sociali (tra cui l’assistenza alimentare per le persone a basso reddito), saranno bloccati i licenziamenti del personale federale e saranno garantiti gli arretrati ai dipendenti che erano stati lasciati a casa a causa del congelamento delle agenzie governative. Resta tuttavia sul tavolo il nodo dei sussidi previsti ai sensi dell’Obamacare. L’accordo prevede infatti che se ne discuterà a dicembre, ma non garantisce che la loro estensione sarà approvata: un’estensione che, ricordiamolo, era considerata un punto cruciale per gran parte del Partito democratico.

Indivia belga, l’insalata ideale nei mesi freddi per integrare acqua e fibre e combattere lo stress
iStock
In autunno e in inverno siamo portati (sbagliando) a bere di meno: questa verdura è ottima per idratarsi. E per chi ha l’intestino un po’ pigro è un toccasana.

Si chiama indivia belga, ma ormai potremmo conferirle la cittadinanza italiana onoraria visto che è una delle insalate immancabili nel banco del fresco del supermercato e presente 365 giorni su 365, essendo una verdura a foglie di stagione tutto l’anno. Il nome non è un non senso: è stata coltivata e commercializzata per la prima volta in Belgio, nel XIX secolo, partendo dalla cicoria di Magdeburgo. Per questo motivo è anche chiamata lattuga belga, radicchio belga oppure cicoria di Bruxelles, essendo Bruxelles in Belgio, oltre che cicoria witloof: witloof in fiammingo significa foglia bianca e tale specificazione fa riferimento al colore estremamente chiaro delle sue foglie, un giallino così delicato da sfociare nel bianco, dovuto a un procedimento che si chiama forzatura. Cos’è questa forzatura?

Mamdani ha sedotto una città a suon di bugie
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.

Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.

Dimmi La Verità | Francesco Gallo: «Il Ponte sullo Stretto ed elezioni regionali»

Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.

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