2020-10-17
Il caso Becciu riapre l’enigma Benedetto XVI
Il Papa emerito abdicò dopo che la riforma dello Ior, ostacolata dalla Segreteria, era stata neutralizzata. Francesco ha in mano due dossier da cui partire per fare pulizia, tra cui quello redatto dall'ex capo della banca vaticana. Tuttavia, finora li ha ignorati.Per capire ciò che sta succedendo Oltretevere nel 2020, bisogna tornare indietro di circa otto anni. Sì, perché lo scandalo che ha coinvolto monsignor Angelo Becciu chiama in causa i misteri che avvolgono le finanze vaticane, segnatamente lo Ior. E, di conseguenza, uno degli episodi più scioccanti in sei secoli di storia della Chiesa: l'abdicazione di Benedetto XVI. Fu proprio Joseph Ratzinger a far avviare la riforma dell'Istituto per le opere di religione, promulgando una normativa antiriciclaggio che puntava ad adeguare il forziere vaticano agli standard internazionali, affinché le autorità di vigilanza lo depennassero dalla black list, dove figurano paradisi fiscali e Paesi fiancheggiatori del terrorismo. Il successivo naufragio di quell'iniziativa, da cui scaturì il primo Vatileaks, innescò gli eventi che culminarono nella clamorosa rinuncia del Pontefice tedesco. Costui, poche settimane dopo la nomina al soglio di Francesco, incontrò a Castel Gandolfo Jorge Mario Bergoglio e gli consegnò uno scatolone pieno di documenti delicatissimi. Il plico conteneva anche il materiale dell'inchiesta sulle opacità della struttura finanziaria vaticana, condotta, a partire dall'aprile del 2012, dai cardinali Julián Herranz, Josef Tomko e Salvatore De Giorgi, per volere dello stesso Benedetto XVI. L'operazione di pulizia, che i fedeli speravano potesse essere condotta dal Papa argentino, distante dagli intrighi della Curia romana, poteva e doveva partire proprio da quel certosino lavoro d'indagine, come di recente ha ribadito, in un'intervista alla Verità, il vaticanista Aldo Maria Valli. Tuttavia, trascorsi oltre sette anni, del famoso scatolone di Castel Gandolfo non si sa più nulla. Al netto delle indiscrezioni trapelate nel tempo, non è mai stato chiarito ufficialmente cosa contenesse di preciso, né si è mai capito se Francesco abbia effettivamente attinto da quei dossier per attuare il repulisti che, arrivati al 2020, sembra lungi dall'essersi realizzato. Ora, La Verità è in grado di informarvi dell'esistenza di un altro documento, che fonti vicine alla Segreteria indicano come redatto dall'ex presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi (defenestrato in seguito all'approvazione della legge sull'antiriciclaggio). Anche di questa missiva si sono perse le tracce: non risulta che Francesco l'abbia mai presa in considerazione. Eppure, essa conteneva una sintesi dettagliata su come la riforma dell'Istituto, seguita passo passo dal cardinale Attilio Nicora (scomparso nel 2017), che all'epoca guidava la nuova autorità di vigilanza sulle finanze della Santa Sede (Aif), fosse stata ostacolata e infine neutralizzata dall'intervento della Segreteria di Stato. Quella che doveva essere un'epocale operazione di trasparenza, fortemente voluta dal Papa emerito, nel giro di poche settimane, infatti, si trasformò nell'ennesima occasione perduta. La situazione precipitò a gennaio 2012, dopo che, negli ultimi mesi del 2011, i vertici dello Ior, adottate le procedure di attuazione della legge, erano entrati in contatto con Monveyval, il comitato internazionale di esperti, facente capo al Consiglio d'Europa, che valuta le misure antiriciclaggio e monitora le attività di finanziamento del terrorismo. I tecnici avevano apprezzato gli sforzi compiuti dal Vaticano, evidenziando alcuni elementi da migliorare e rinviando la piena promozione al momento in cui anche questi ultimi punti fossero stati adeguati alle richieste. All'inizio del 2012, però, il cardinale Nicora si accorse dell'improvvisa marcia indietro. Concretizzatasi, come ha ricordato Francesco Boezi sul Giornale, il 25 gennaio di quell'anno, in un decreto che emendava la normativa. In quella maniera, la Segreteria si sottraeva alle facoltà ispettive dell'Aif, che ne usciva fortemente ridimensionata, e faceva in modo di sottoporre a un proprio nulla osta ogni eventuale scambio di informazioni con le autorità finanziarie degli altri Paesi. La modifica sarebbe stata impostata dall'uomo destinato a succedere al cardinale Nicora all'Aif, l'avvocato svizzero René Brülhart (che nel 2019, caduto in disgrazia, ha lasciato l'incarico). A supervisionarlo, c'erano due funzionari della Segreteria, allora dominata da Tarcisio Bertone, uno dei più gelosi custodi della storica autoreferenzialità del polmone politico della Santa Sede. Il decreto recava però la firma del presidente del Governatorato vaticano, il vescovo Giuseppe Bertello. Voci di corridoio dicono che siglò il provvedimento a occhi chiusi: «Non ci vedeva bene, si era appena operato di cataratta...».Questa vicenda torna prepotentemente alla ribalta, non solo perché, a quasi otto anni di distanza, la Chiesa è ancora sconvolta da scandali come quello che ha investito Becciu (curiosamente, l'unico uomo dell'era di Bertone che Francesco non ha sostituito, neppure con i suoi fedelissimi prelati, spesso altrettanto chiacchierati); ma anche perché, nonostante il Vaticano sia rientrato nella white list nel 2017, in questi giorni gli esperti di Moneyval si sono di nuovo recati all'ombra del Cupolone, per effettuare verifiche sulle procedure antiriciclaggio. Alla luce di tutto ciò, divengono ancora più pressanti certi interrogativi: che fine ha fatto il plico consegnato da Ratzinger a Bergoglio? Cosa scoprirono i tre cardinali incaricati da Benedetto XVI di indagare sulle finanze vaticane? Cosa ne ha fatto, Francesco, del documento sulla vera storia della riforma dello Ior? E a che conclusioni è giunta la commissione capitanata dal cardinale Raffaele Farina e inaugurata nel giugno 2013, su impulso del Papa sudamericano, che doveva rinnovare l'Istituto? Perché Francesco, dal momento che da anni ha in mano le carte con i dettagli delle opacità d'Oltretevere, non è riuscito a mantenere la promessa di fare pulizia?
Volodymyr Zelensky (Ansa)
Elly Schlein con Eugenio Giani (Ansa)
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La casa era satura di gas fatto uscire, si presume, da più bombole vista la potente deflagrazione che ha fatto crollare lo stabile. Ad innescare la miccia sarebbe stata la donna, mentre i due fratelli si sarebbero trovati in una sorta di cantina e non in una stalla come si era appreso in un primo momento. Tutti e tre si erano barricati in casa. Nell'esplosione hanno perso la vita 3 carabinieri e sono risultate ferite 15 persone tra forze dell'ordine e vigili del fuoco. (NPK) CC
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