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2022-10-02
Vietato indagare sulla trattativa Pfizer-Ursula
Ursula von der Leyen e Albert Bourla (Ansa)
Puff: si è volatilizzato. Ha alzato i tacchi. Se l’è data a gambe. Albert Bourla, presidente e amministratore delegato di Pfizer, qualche giorno fa era risultato positivo al tampone per la seconda volta in un mese. Ma non è per questo - e men che meno perché non ha ancora ricevuto la punturina anti Omicron - che diserterà l’audizione presso la commissione speciale sul Covid-19 del Parlamento europeo.
Lunedì 10 ottobre, il manager grecoamericano era atteso a Bruxelles dai 38 onorevoli che compongono il comitato, per rispondere ad alcune «domande toste» - così le ha definite Politico.eu - sulla questione dei contratti segreti per i vaccini, siglati con l’Ue. E invece, niente: gli eurodeputati parleranno con «altri Ceo», come recita il programma della giornata, ma non con quello del principale venditore di rimedi antivirus al Vecchio continente. Bourla non testimonierà. Pfizer, al posto suo, manderà Janine Small, presidente della sezione dedicata allo sviluppato dei mercati internazionali - e il nostro è piuttosto ghiotto, in effetti. Secondo la casa farmaceutica, costei sarebbe più indicata «a supportare la commissione nel raggiungimento dei suoi obiettivi». Ma che preziosa collaborazione… Difficile, invero, che al colosso dei medicinali sfugga un dettaglio: gli sms privati, da cui sarebbe passata almeno una parte del negoziato sulle forniture, Ursula von der Leyen se li era scambiati con Bourla.
Riavvolgiamo il nastro. Nel 2021, il New York Times aveva rivelato che, tra febbraio e marzo di quell’anno, la presidente dell’esecutivo comunitario e il numero uno di Pfizer avevano intrattenuto una fitta corrispondenza via smartphone. Quelle conversazioni sarebbero state determinanti per trovare un accordo sulla consegna delle fiale di Comirnaty all’Ue, in una fase in cui si erano manifestati gravi problemi negli approvvigionamenti delle dosi. Giusto un anno fa, il mediatore europeo, Emily O’Reilly, aveva aperto un’inchiesta sull’accaduto. Anche perché, in seguito a una richiesta di accesso agli atti, la Commissione Ue aveva fatto spallucce, dichiarando di non aver mai archiviato gli sms dell’ex ministro della Difesa tedesco. Un modo di procedere anomalo: in teoria, Bruxelles aveva a disposizione una squadra di negoziatori, capitanata dall’italiana Sandra Gallina. E c’è l’aggravante del mistero che continua ad aleggiare sui contratti firmati con Big pharma. In questa storia, cosa bisognerebbe nascondere? Forse, il team incaricato di procurare i sieri salvifici stava facendo un buco nell’acqua ed è sceso in campo, in sua vece, il pezzo da novanta? È un’ipotesi. In effetti, sulla tecnologia dei vaccini a mRna, la von der Leyen doveva avere una qualche infarinatura. Suo marito, il nobile Heiko von der Leyen, giusto nel 2020 - tempismo perfetto - era andato a lavorare alla Orgenesis, una biotech statunitense che si occupa di terapie geniche. La società, pochi mesi dopo lo scoppio della pandemia, aveva provato a lanciare un suo vaccino a base cellulare. Del quale, a essere onesti, non s’è saputo più nulla.
Poche settimane fa, al giallo della trattativa Pfizer-Ursula, si è aggiunto un altro capitolo. Si tratta del caustico report della Corte dei conti europea, che ha ribadito le accuse di scarsa trasparenza alla Commissione, la quale si sarebbe rifiutata di rivelare dettagli cruciali sul modo in cui sono state condotte le contrattazioni. In particolare, mancherebbero i rendiconti delle discussioni con Pfizer, siano essi verbali, nomi degli esperti consultati, o termini degli accordi. Inoltre, a parere della magistratura contabile, «i negoziatori dell’Ue hanno analizzato a fondo le difficoltà insite nella catena di produzione e di approvvigionamento dei vaccini», che si erano manifestate drammaticamente nella primavera del 2021, «soltanto dopo la stipula della maggior parte dei contratti». Una svista che ha facilitato l’affare per i produttori, mentre i compratori continuano a fare incetta di medicinali: le scorte continentali bastano praticamente per dieci iniezioni a testa e, a quelle attualmente disponibili, vanno aggiunti gli ordini di altri milioni e milioni di dosi dei vaccini aggiornati.
La presidente della commissione speciale, l’onorevole socialista belga Kathleen Van Brempt, reduce dalla visita al quartier generale di Biontech, ha riferito che «si rammarica molto» per la decisione di Bourla. Davanti agli occhi dei deputati Ue, finora, erano passati diversi funzionari di altissimo rango di Astrazeneca e Sanofi. I veri king maker della risposta farmacologica alla pandemia, dal canto loro, ci tengono a mantenere un profilo basso: meglio che sul ring non salga il peso massimo.
L’atto politico e industriale più importante degli ultimi decenni nell’Ue, quindi, rimane avvolto nella nebbia. Il vertice della compagnia che ha ideato il vaccino evita le situazioni che potrebbero metterlo in difficoltà, specie se su di lui sono puntati gli occhi di autorità preposte alla vigilanza. E la Commissione Ue, che sempre si balocca con roboanti proclami sulla trasparenza, mantiene la linea dell’opacità: contratti segreti, conversazioni occultate, messaggini spariti. Peccato: il vaccino contro l’ipocrisia non l’hanno ancora inventato.
La Svezia ferma le iniezioni ai minori: «Bassissimo rischio di casi gravi»
In Svezia, dal 31 ottobre, le vaccinazioni anti Covid non saranno più raccomandate in fascia 12-17 anni. Folkhälsomyndigheten (Fohm), l’agenzia per la salute pubblica, l’ha annunciato sul suo portale: «Il motivo è il bassissimo rischio di malattie gravi e di morte per Covid-19 nei bambini e nei giovani», spiegano gli esperti scandinavi.
Dal primo novembre, l’inoculo verrà consigliato solo ai giovanissimi con particolari fragilità. C’è già un bel segnale positivo, dunque, dopo la svolta a destra della Svezia dello scorso 11 settembre. Ieri, Greta Thunberg ha manifestato a Stoccolma in sostegno ad «antifascismo, antirazzismo e giustizia climatica», senza spendere una parola in difesa della salute dei coetanei più giovani, ai quali per fortuna stanno pensando le massime autorità sanitarie svedesi.
La puntura ai ragazzini sani non ha più senso. Per loro, il Covid «può essere considerato un comune virus respiratorio», hanno stabilito al Fohm, d’accordo con l’Associazione pediatrica svedese. Durante la pandemia, pochi bambini e giovani si sono ammalati gravemente di Covid-19 «e hanno avuto bisogno di cure», sostiene Sören Andersson, capo unità dell’Agenzia per la salute pubblica. Con la variante Omicron i sintomi sono sempre più lievi negli adolescenti sani, inoltre «l’immunità in questa fascia è molto alta».
Quindi stop a ormai inutili raccomandazioni, che varranno unicamente per i soggetti ritenuti più sensibili alle infezioni respiratorie, in generale, o con un sistema immunitario significativamente ridotto. Non si pensi che la Svezia abbia smesso di monitorare la situazione sanitaria dovuta al Covid, tutt’altro, visto che nel Paese si sta registrando un aumento, anche se sostenuto, di nuovi contagi.
Però gli esperti, quelli veri, aggiornano le raccomandazioni in base ai dati epidemiologici e se «le attuali conoscenze sul virus e sulla malattia suggeriscono che le varianti del virus stanno diventando sempre più lievi per i bambini e i giovani sani», lo dicono ai genitori. Mica fanno come in Italia. Senza dimenticare che in Svezia la vaccinazione contro il Covid-19 non è raccomandata per i bambini di età inferiore ai 12 anni. «Più piccolo è il bambino, minore è il rischio», dichiara il Fohm, che ha deciso di aspettare a inoculare le creature dai 5 agli 11 anni.
«L’incidenza della malattia è sempre stata bassa per i bambini sotto i 12 anni, fascia in cui non abbiamo mai vaccinato», ha precisato Andersson. Solo se soffrono di gravi patologie e sono considerati soggetti a rischio, viene offerto loro il vaccino. Interessante è anche vedere come la Svezia sta affrontando la questione dei giovani che, comunque, volessero ricevere il vaccino anti Covid. «È qualcosa su cui stiamo ragionando e che dovremo affrontare prima di novembre», afferma Sören Andersson. Come dire, se non è raccomandato, quando decade l’opportunità sotto il profilo sanitario forse non verrà nemmeno più inoculato.
Ha ben altro atteggiamento il nostro ministero, purtroppo ancora nelle mani di Roberto Speranza (speriamo per poco). Nella circolare del 7 settembre, aggiornata il 23, «si raccomanda prioritariamente l’utilizzo delle formulazioni di vaccini a m-Rna bivalenti» come prima dose di richiamo anche a partire dai 12 anni. Non solo gli adolescenti vengono tuttora invitati a porgere il braccio, sebbene le varianti non stiano dando preoccupazioni, ma dovrebbero pure farsi il booster.
Bastava che le indicazioni fossero rivolte agli over 60 con elevata fragilità, includendo anche i giovani con patologie, per i quali servirebbe un secondo richiamo. Ma consigliare doppio richiamo a tutti, anche se sani e forniti di robusti anticorpi contro il Covid, è privo di ogni fondamento scientifico. In Svezia, le autorità sanitarie raccomandano una dose aggiuntiva agli ultrasessantacinquenni e agli over 18 «che fanno parte di gruppi a rischio», non a tutta la popolazione indiscriminatamente.
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Albert Bourla diserterà l’incontro con la commissione d’inchiesta a Bruxelles: doveva riferire sui contratti segreti per i vaccini In ballo c’è pure il mistero dei suoi sms con Ursula von der Leyen, di cui non si trova più traccia. La società manderà un’altra dirigente.La Svezia ferma le iniezioni ai minori: «Bassissimo rischio di casi gravi». Fine della raccomandazione per la fascia 12-17 anni. Che Roberto Speranza insegue con l’ago.Lo speciale comprende due articoli.Puff: si è volatilizzato. Ha alzato i tacchi. Se l’è data a gambe. Albert Bourla, presidente e amministratore delegato di Pfizer, qualche giorno fa era risultato positivo al tampone per la seconda volta in un mese. Ma non è per questo - e men che meno perché non ha ancora ricevuto la punturina anti Omicron - che diserterà l’audizione presso la commissione speciale sul Covid-19 del Parlamento europeo. Lunedì 10 ottobre, il manager grecoamericano era atteso a Bruxelles dai 38 onorevoli che compongono il comitato, per rispondere ad alcune «domande toste» - così le ha definite Politico.eu - sulla questione dei contratti segreti per i vaccini, siglati con l’Ue. E invece, niente: gli eurodeputati parleranno con «altri Ceo», come recita il programma della giornata, ma non con quello del principale venditore di rimedi antivirus al Vecchio continente. Bourla non testimonierà. Pfizer, al posto suo, manderà Janine Small, presidente della sezione dedicata allo sviluppato dei mercati internazionali - e il nostro è piuttosto ghiotto, in effetti. Secondo la casa farmaceutica, costei sarebbe più indicata «a supportare la commissione nel raggiungimento dei suoi obiettivi». Ma che preziosa collaborazione… Difficile, invero, che al colosso dei medicinali sfugga un dettaglio: gli sms privati, da cui sarebbe passata almeno una parte del negoziato sulle forniture, Ursula von der Leyen se li era scambiati con Bourla.Riavvolgiamo il nastro. Nel 2021, il New York Times aveva rivelato che, tra febbraio e marzo di quell’anno, la presidente dell’esecutivo comunitario e il numero uno di Pfizer avevano intrattenuto una fitta corrispondenza via smartphone. Quelle conversazioni sarebbero state determinanti per trovare un accordo sulla consegna delle fiale di Comirnaty all’Ue, in una fase in cui si erano manifestati gravi problemi negli approvvigionamenti delle dosi. Giusto un anno fa, il mediatore europeo, Emily O’Reilly, aveva aperto un’inchiesta sull’accaduto. Anche perché, in seguito a una richiesta di accesso agli atti, la Commissione Ue aveva fatto spallucce, dichiarando di non aver mai archiviato gli sms dell’ex ministro della Difesa tedesco. Un modo di procedere anomalo: in teoria, Bruxelles aveva a disposizione una squadra di negoziatori, capitanata dall’italiana Sandra Gallina. E c’è l’aggravante del mistero che continua ad aleggiare sui contratti firmati con Big pharma. In questa storia, cosa bisognerebbe nascondere? Forse, il team incaricato di procurare i sieri salvifici stava facendo un buco nell’acqua ed è sceso in campo, in sua vece, il pezzo da novanta? È un’ipotesi. In effetti, sulla tecnologia dei vaccini a mRna, la von der Leyen doveva avere una qualche infarinatura. Suo marito, il nobile Heiko von der Leyen, giusto nel 2020 - tempismo perfetto - era andato a lavorare alla Orgenesis, una biotech statunitense che si occupa di terapie geniche. La società, pochi mesi dopo lo scoppio della pandemia, aveva provato a lanciare un suo vaccino a base cellulare. Del quale, a essere onesti, non s’è saputo più nulla. Poche settimane fa, al giallo della trattativa Pfizer-Ursula, si è aggiunto un altro capitolo. Si tratta del caustico report della Corte dei conti europea, che ha ribadito le accuse di scarsa trasparenza alla Commissione, la quale si sarebbe rifiutata di rivelare dettagli cruciali sul modo in cui sono state condotte le contrattazioni. In particolare, mancherebbero i rendiconti delle discussioni con Pfizer, siano essi verbali, nomi degli esperti consultati, o termini degli accordi. Inoltre, a parere della magistratura contabile, «i negoziatori dell’Ue hanno analizzato a fondo le difficoltà insite nella catena di produzione e di approvvigionamento dei vaccini», che si erano manifestate drammaticamente nella primavera del 2021, «soltanto dopo la stipula della maggior parte dei contratti». Una svista che ha facilitato l’affare per i produttori, mentre i compratori continuano a fare incetta di medicinali: le scorte continentali bastano praticamente per dieci iniezioni a testa e, a quelle attualmente disponibili, vanno aggiunti gli ordini di altri milioni e milioni di dosi dei vaccini aggiornati.La presidente della commissione speciale, l’onorevole socialista belga Kathleen Van Brempt, reduce dalla visita al quartier generale di Biontech, ha riferito che «si rammarica molto» per la decisione di Bourla. Davanti agli occhi dei deputati Ue, finora, erano passati diversi funzionari di altissimo rango di Astrazeneca e Sanofi. I veri king maker della risposta farmacologica alla pandemia, dal canto loro, ci tengono a mantenere un profilo basso: meglio che sul ring non salga il peso massimo. L’atto politico e industriale più importante degli ultimi decenni nell’Ue, quindi, rimane avvolto nella nebbia. Il vertice della compagnia che ha ideato il vaccino evita le situazioni che potrebbero metterlo in difficoltà, specie se su di lui sono puntati gli occhi di autorità preposte alla vigilanza. E la Commissione Ue, che sempre si balocca con roboanti proclami sulla trasparenza, mantiene la linea dell’opacità: contratti segreti, conversazioni occultate, messaggini spariti. Peccato: il vaccino contro l’ipocrisia non l’hanno ancora inventato. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-capo-di-pfizer-fugge-dalleuroparlamento-2658370645.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-svezia-ferma-le-iniezioni-ai-minori-bassissimo-rischio-di-casi-gravi" data-post-id="2658370645" data-published-at="1664681050" data-use-pagination="False"> La Svezia ferma le iniezioni ai minori: «Bassissimo rischio di casi gravi» In Svezia, dal 31 ottobre, le vaccinazioni anti Covid non saranno più raccomandate in fascia 12-17 anni. Folkhälsomyndigheten (Fohm), l’agenzia per la salute pubblica, l’ha annunciato sul suo portale: «Il motivo è il bassissimo rischio di malattie gravi e di morte per Covid-19 nei bambini e nei giovani», spiegano gli esperti scandinavi. Dal primo novembre, l’inoculo verrà consigliato solo ai giovanissimi con particolari fragilità. C’è già un bel segnale positivo, dunque, dopo la svolta a destra della Svezia dello scorso 11 settembre. Ieri, Greta Thunberg ha manifestato a Stoccolma in sostegno ad «antifascismo, antirazzismo e giustizia climatica», senza spendere una parola in difesa della salute dei coetanei più giovani, ai quali per fortuna stanno pensando le massime autorità sanitarie svedesi. La puntura ai ragazzini sani non ha più senso. Per loro, il Covid «può essere considerato un comune virus respiratorio», hanno stabilito al Fohm, d’accordo con l’Associazione pediatrica svedese. Durante la pandemia, pochi bambini e giovani si sono ammalati gravemente di Covid-19 «e hanno avuto bisogno di cure», sostiene Sören Andersson, capo unità dell’Agenzia per la salute pubblica. Con la variante Omicron i sintomi sono sempre più lievi negli adolescenti sani, inoltre «l’immunità in questa fascia è molto alta». Quindi stop a ormai inutili raccomandazioni, che varranno unicamente per i soggetti ritenuti più sensibili alle infezioni respiratorie, in generale, o con un sistema immunitario significativamente ridotto. Non si pensi che la Svezia abbia smesso di monitorare la situazione sanitaria dovuta al Covid, tutt’altro, visto che nel Paese si sta registrando un aumento, anche se sostenuto, di nuovi contagi. Però gli esperti, quelli veri, aggiornano le raccomandazioni in base ai dati epidemiologici e se «le attuali conoscenze sul virus e sulla malattia suggeriscono che le varianti del virus stanno diventando sempre più lievi per i bambini e i giovani sani», lo dicono ai genitori. Mica fanno come in Italia. Senza dimenticare che in Svezia la vaccinazione contro il Covid-19 non è raccomandata per i bambini di età inferiore ai 12 anni. «Più piccolo è il bambino, minore è il rischio», dichiara il Fohm, che ha deciso di aspettare a inoculare le creature dai 5 agli 11 anni. «L’incidenza della malattia è sempre stata bassa per i bambini sotto i 12 anni, fascia in cui non abbiamo mai vaccinato», ha precisato Andersson. Solo se soffrono di gravi patologie e sono considerati soggetti a rischio, viene offerto loro il vaccino. Interessante è anche vedere come la Svezia sta affrontando la questione dei giovani che, comunque, volessero ricevere il vaccino anti Covid. «È qualcosa su cui stiamo ragionando e che dovremo affrontare prima di novembre», afferma Sören Andersson. Come dire, se non è raccomandato, quando decade l’opportunità sotto il profilo sanitario forse non verrà nemmeno più inoculato. Ha ben altro atteggiamento il nostro ministero, purtroppo ancora nelle mani di Roberto Speranza (speriamo per poco). Nella circolare del 7 settembre, aggiornata il 23, «si raccomanda prioritariamente l’utilizzo delle formulazioni di vaccini a m-Rna bivalenti» come prima dose di richiamo anche a partire dai 12 anni. Non solo gli adolescenti vengono tuttora invitati a porgere il braccio, sebbene le varianti non stiano dando preoccupazioni, ma dovrebbero pure farsi il booster. Bastava che le indicazioni fossero rivolte agli over 60 con elevata fragilità, includendo anche i giovani con patologie, per i quali servirebbe un secondo richiamo. Ma consigliare doppio richiamo a tutti, anche se sani e forniti di robusti anticorpi contro il Covid, è privo di ogni fondamento scientifico. In Svezia, le autorità sanitarie raccomandano una dose aggiuntiva agli ultrasessantacinquenni e agli over 18 «che fanno parte di gruppi a rischio», non a tutta la popolazione indiscriminatamente.
La Juventus resta sotto il controllo di Exor. Il gruppo ha chiarito con un comunicato la propria posizione sull’offerta di Tether. «La Juventus è un club storico e di successo, di cui Exor e la famiglia Agnelli sono azionisti stabili e orgogliosi da oltre un secolo», si legge nella nota della holding, che conferma come il consiglio di amministrazione abbia respinto all’unanimità l’offerta per l’acquisizione del club e ribadito il pieno impegno nel sostegno al nuovo corso dirigenziale.
A rafforzare il messaggio, nelle stesse ore, è arrivato anche un intervento diretto di John Elkann, diffuso sui canali ufficiali della Juventus. Un video breve, meno di un minuto, ma importante. Elkann sceglie una veste informale, indossa una felpa con la scritta Juventus e parla di identità e di responsabilità. Traduzione per i tifosi che sognano nuovi padroni o un ritorno di Andrea Agnelli: il mercato è aperto per Gedi, ma non per la Juve. Il video va oltre le parole. Chiarisce ciò che viene smentito e ciò che resta aperto. Elkann chiude alla vendita della Juventus. Ma non chiude alla vendita di giornali e radio.
La linea, in realtà, era stata tracciata. Già ai primi di novembre, intervenendo al Coni, Elkann aveva dichiarato che la Juve non era in vendita, parlando del club come di un patrimonio identitario prima ancora che industriale. Uno dei nodi resta il prezzo. L’offerta attribuiva alla Juventus una valutazione tra 1,1 e 1,2 miliardi, cifra che Exor giudica distante dal peso economico reale (si mormora che Tether potrebbe raddoppiare l’offerta). Del resto, la Juventus è una società quotata, con una governance strutturata, ricavi di livello europeo e un elemento che in Italia continua a fare la differenza: lo stadio di proprietà. L’Allianz Stadium non è solo un simbolo. Funziona come asset industriale. È costato circa 155 milioni di euro, è entrato in funzione nel 2011 e oggi gli analisti di settore lo valutano tra 300 e 400 milioni, considerando struttura, diritti e capacità di generare ricavi. L’impianto produce flussi stabili, consente pianificazione e riduce l’esposizione ai risultati sportivi di breve periodo.
I numeri di bilancio completano il quadro. Nei cicli più recenti la Juventus ha generato ricavi operativi tra 400 e 450 milioni di euro, collocandosi tra i principali club europei per fatturato, come indicano i report Deloitte football money league. Prima della pandemia, i ricavi da stadio oscillavano tra 60 e 70 milioni di euro a stagione, ai vertici della Serie A. Su queste basi, applicando multipli utilizzati per club con brand globale e asset infrastrutturali, negli ambienti finanziari la valutazione industriale della Juventus viene collocata tra 1,5 e 2 miliardi di euro, al netto delle variabili sportive.
Il confronto con il mercato rafforza questa lettura. Il Milan è stato ceduto a RedBird per circa 1,2 miliardi di euro, senza stadio di proprietà e con una governance più complessa. Quel prezzo resta un riferimento nel calcio italiano. Se quella è stata la valutazione di un top club privo dell’asset stadio, risulta difficile immaginare che la Juventus possa essere trattata allo stesso livello senza che il socio di controllo giudichi l’operazione penalizzante.
A incidere è anche il profilo dell’offerente. Tether, principale emittente globale di stablecoin, opera in un perimetro regolatorio diverso da quello degli intermediari tradizionali, seguito con attenzione anche da Consob. Dopo l’ultimo aumento di capitale bianconero, Standard & Poor’s ha declassato la capacità di Usdt di mantenere l’ancoraggio al dollaro. Sul piano reputazionale pesa, inoltre, il giudizio dell’Economist (del gruppo Exor), secondo cui la stablecoin è diventata uno strumento utilizzato anche nei circuiti dell’economia sommersa globale, cioè sul mercato nero.
Intorno alla Juventus circolano anche altre ipotesi. Si parla di Leonardo Maria Del Vecchio, erede del fondatore di Luxottica e azionista di EssilorLuxottica attraverso la holding di famiglia Delfin, dopo l’offerta presentata su Gedi, e di un possibile interesse indiretto di capitali mediorientali. Al momento, però, mancano cifre e progetti industriali strutturati. Restano solo indiscrezioni.
Sullo sfondo continua intanto a emergere il nome di Andrea Agnelli. L’ex presidente dei nove scudetti ha concluso la squalifica e raccoglie il consenso di una parte ampia della tifoseria, che lo sogna come possibile punto di ripartenza. L’ipotesi che circola immagina un ritorno sostenuto da imprenditori internazionali, anche mediorientali, in un contesto in cui il fondo saudita Pif, guidato dal principe ereditario Mohammed bin Salman e già proprietario del Newcastle, si è imposto come uno dei principali attori globali del calcio.
Un asse che non si esaurisce sul terreno sportivo. Lo stesso filone saudita riaffiora nel dossier Gedi, ormai entrato nella fase conclusiva. La presenza dell’imprenditore greco Theodore Kyriakou, fondatore del gruppo Antenna, rimanda a un perimetro di relazioni che incrocia capitali internazionali e investimenti promossi dal regno saudita. In questo quadro, Gedi - che comprende Repubblica, Stampa e Radio Deejay - è l’unico asset destinato a cambiare mano, mentre Exor ha tracciato una linea netta: il gruppo editoriale segue una strada propria, la Juventus resta fuori (al momento) da qualsiasi ipotesi di cessione.
Jaki sembra un re Mida al contrario: uccide ciò che tocca ma rimane ricco
Finanziere puro. John Elkann, abilissimo a trasformare stabilimenti e impianti, operai e macchinari, sudore e fatica in figurine panini da comprare e vendere. Ma quando si tratta di gestire aziende «vere», quelle che producono, vincono o informano, la situazione si complica. È un po’ come vedere un mago dei numeri alle prese con un campo di calcio per stabilirne il valore e stabilire il valore dei soldi. Ma la palla… beh, la palla non sempre entra in porta. Peccato. Andrà meglio la prossima volta.
Prendiamo Ferrari. Il Cavallino rampante, che una volta dominava la Formula 1, oggi ha perso la capacità di galoppare. Elkann vende il 4% della società per circa 3 miliardi: applausi dagli azionisti, brindisi familiare, ma la pista? Silenziosa. Il titolo è un lontano ricordo. I tifosi hanno esaurito la pazienza rifugiandosi nell’ironia: «Anche per quest’anno vinceremo il Mondiale l’anno prossimo». E cosi gli azionisti. Da quando Elkann ha collocato quelle azioni il titolo scende e basta. Era diventato il gioiello di Piazza Affari. Dopo il blitz di Elkann per arricchire Exor il lento declino.
E la Juventus? Sotto Andrea Agnelli aveva conquistato nove scudetti di fila, un record che ha fatto parlare tutta Italia. Oggi arranca senza gloria. Racconta Platini di una breve esibizione dell’erede di Agnelli in campo. Pochi minuti e si fa sostituire. Rifiata, chiede di rientrare. Il campione francese lo guarda sorridendo: «John, questo è calcio non è basket». Elkann osserva da lontano, contento dei bilanci Exor e delle partecipazioni finanziarie, mentre tifosi e giornalisti discutono sulle strategie sportive. La gestione lo annoia, ma la rendita finanziaria quella è impeccabile.
Gedi naviga tra conti in rosso e sfide editoriali perdenti. Cairo, dall’altra parte, rilancia il Corriere della Sera con determinazione e nuovi investimenti. Elkann sorride: non è un problema gestire giornali, se sai fare finanza. La lezione è chiara: le aziende si muovono, ma i capitali contano di più.
Stellantis? La storia dell’auto italiana. La storia della dinastia. Ora un condominio con la famiglia Peugeot. Elkann lascia fare, osserva i mercati e, quando serve, vende o alleggerisce le partecipazioni. Anche qui, la gestione operativa non è il punto forte: ciò che conta è il risultato finanziario, non il numero di auto prodotte o le fabbriche gestite.
E gli investimenti? Alcuni brillano, altri richiedono pazienza. Philips è un esempio recente: un investimento ambizioso che riflette la strategia di diversificazione di Exor, con qualche rischio incorporato. Ma se si guarda al quadro generale, Elkann ha accumulato oltre 4 miliardi di liquidità entro metà 2025, grazie a vendite mirate e partnership strategiche. Una cifra sufficiente per pensare a nuove acquisizioni e opportunità, senza perdere il sorriso.
Perché poi quello che conta per John è altro. Il gruppo Exor continua a crescere in valore. Gli azionisti vedono il titolo passare da un minimo storico di 13,44 euro nel 2011 a circa 72 euro oggi, e sorridono. La famiglia Elkann Agnelli si gode i frutti degli investimenti, mentre il mondo osserva: Elkann è il finanziere perfetto, sa fare ciò che conta davvero, cioè far crescere la ricchezza e proteggere gli asset della famiglia.
In fondo, Elkann ci ricorda che la finanza ha il suo fascino anche quando la gestione aziendale è complicata: vendere, comprare, accumulare, investire con giudizio (e un pizzico di fortuna) può essere altrettanto emozionante che vincere scudetti, titoli di Formula 1 o rilanciare giornali. Il sorriso di chi ha azioni Exor vale più di qualsiasi trofeo, e dopotutto, questo è il suo segreto.
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Piero Cipollone (Ansa)
Come spiega il politico europeo i «soldi verranno recuperati attraverso quello che è il signoraggio all’euro digitale». Invece «per quanto riguarda sistema bancario e gli altri fornitori di servizi di pagamento, la stima è che possa essere fra i quattro e sei miliardi di euro per quattro anni», ricorda Cipollone. «Tenete conto che, rispetto a quello che spendono le banche per i sistemi It, questa è una cifra minima. Parliamo di circa il 3,5% di quello che spendono le banche annualmente per implementare i loro sistemi. Quindi non è un costo». Inoltre, aggiunge, «va detto che le banche saranno compensate» con una remunerazione molto simile a come quando si fa «una transazione normale con carta».
Cipollone ha anche descritto una sequenza temporale condizionata dall’iter legislativo europeo e dalla necessità di predisporre un’infrastruttura operativa completa prima di qualunque emissione. «Se per la fine del 2026 avremo in piedi la legislazione a quel punto pensiamo di essere in grado di costruire tutta la macchina entro la prima metà del 2027 e quindi, a settembre del 27, di cominciare una fase di sperimentazione, il “Pilot”. Per poi partire con il lancio effettivo nel 2029».
Per l’ex vicedirettore generale della Banca d’Italia, l’euro digitale è particolarmente importante per l’Europa «perché via via che si espande lo spazio digitale dei pagamenti, su questo spazio la presenza di operatori europei è quasi nulla». Insomma, «più si espande lo spazio dei pagamenti digitali, più la nostra dipendenza da pochi e importanti operatori stranieri diventa più profonda», ricorda Cipollone. «Le parole chiave sono “pochi” e “non europei”, perché pochi richiama il concetto di scarsa concorrenza, stranieri non europei richiama il concetto di dipendenza strategica da altri operatori. Noi non abbiamo nulla contro operatori stranieri che lavorino nell’area dell’euro. Il problema è che noi vorremmo che l’area dell’euro avesse una sua infrastruttura autonoma, indipendente, che non dipenda dalle decisioni degli altri».
Cipollone ribadisce poi la posizione della Bce sul contante: resta centrale perché «estremamente semplice da usare», quindi inclusivo, utilizzabile ovunque e «sicuro» perché «senza alcun rischio associato». Il problema, però, è che nell’economia sempre più digitale il contante diventa meno spendibile: «Sta diventando sempre meno utilizzabile nell’economia». Da qui l’argomento «di mandato»: se manca un equivalente del contante online, si toglie ai cittadini la possibilità di usare moneta di banca centrale nello spazio digitale; «è come discriminare contro la moneta pubblica». Quindi la Bce deve «estendere una specie di contante digitale» con funzioni analoghe al contante, ma adatto ai pagamenti digitali.
Il politico ieri ad Atreju ha anche parlato di metallo giallo ricordando che le riserve auree delle banche centrali sono cresciute fino a circa 36.000 tonnellate. Come ha spiegato l’esperto, queste riserve «hanno un fondamento storico importante» perché, quando c’era la convertibilità, «servivano come riserva rispetto alle banconote». Oggi, con le monete a corso legale, «la credibilità del valore della moneta è affidata a quella della Banca centrale nell’essere capace di controllare i prezzi», ma «una eco di questa convertibilità è rimasta»: oro e valute restano riserve di valore contro rischi rilevanti.
Come ha spiegato, le Banche centrali comprano oro soprattutto come difesa «contro l’inflazione» e contro «i rischi nei mercati finanziari», e perché «le riserve sono una garanzia della capacità del Paese di far fronte a possibili shock esterni». Per questi motivi, «l’oro è tornato di moda».
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