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2022-10-02
Vietato indagare sulla trattativa Pfizer-Ursula
Ursula von der Leyen e Albert Bourla (Ansa)
Puff: si è volatilizzato. Ha alzato i tacchi. Se l’è data a gambe. Albert Bourla, presidente e amministratore delegato di Pfizer, qualche giorno fa era risultato positivo al tampone per la seconda volta in un mese. Ma non è per questo - e men che meno perché non ha ancora ricevuto la punturina anti Omicron - che diserterà l’audizione presso la commissione speciale sul Covid-19 del Parlamento europeo.
Lunedì 10 ottobre, il manager grecoamericano era atteso a Bruxelles dai 38 onorevoli che compongono il comitato, per rispondere ad alcune «domande toste» - così le ha definite Politico.eu - sulla questione dei contratti segreti per i vaccini, siglati con l’Ue. E invece, niente: gli eurodeputati parleranno con «altri Ceo», come recita il programma della giornata, ma non con quello del principale venditore di rimedi antivirus al Vecchio continente. Bourla non testimonierà. Pfizer, al posto suo, manderà Janine Small, presidente della sezione dedicata allo sviluppato dei mercati internazionali - e il nostro è piuttosto ghiotto, in effetti. Secondo la casa farmaceutica, costei sarebbe più indicata «a supportare la commissione nel raggiungimento dei suoi obiettivi». Ma che preziosa collaborazione… Difficile, invero, che al colosso dei medicinali sfugga un dettaglio: gli sms privati, da cui sarebbe passata almeno una parte del negoziato sulle forniture, Ursula von der Leyen se li era scambiati con Bourla.
Riavvolgiamo il nastro. Nel 2021, il New York Times aveva rivelato che, tra febbraio e marzo di quell’anno, la presidente dell’esecutivo comunitario e il numero uno di Pfizer avevano intrattenuto una fitta corrispondenza via smartphone. Quelle conversazioni sarebbero state determinanti per trovare un accordo sulla consegna delle fiale di Comirnaty all’Ue, in una fase in cui si erano manifestati gravi problemi negli approvvigionamenti delle dosi. Giusto un anno fa, il mediatore europeo, Emily O’Reilly, aveva aperto un’inchiesta sull’accaduto. Anche perché, in seguito a una richiesta di accesso agli atti, la Commissione Ue aveva fatto spallucce, dichiarando di non aver mai archiviato gli sms dell’ex ministro della Difesa tedesco. Un modo di procedere anomalo: in teoria, Bruxelles aveva a disposizione una squadra di negoziatori, capitanata dall’italiana Sandra Gallina. E c’è l’aggravante del mistero che continua ad aleggiare sui contratti firmati con Big pharma. In questa storia, cosa bisognerebbe nascondere? Forse, il team incaricato di procurare i sieri salvifici stava facendo un buco nell’acqua ed è sceso in campo, in sua vece, il pezzo da novanta? È un’ipotesi. In effetti, sulla tecnologia dei vaccini a mRna, la von der Leyen doveva avere una qualche infarinatura. Suo marito, il nobile Heiko von der Leyen, giusto nel 2020 - tempismo perfetto - era andato a lavorare alla Orgenesis, una biotech statunitense che si occupa di terapie geniche. La società, pochi mesi dopo lo scoppio della pandemia, aveva provato a lanciare un suo vaccino a base cellulare. Del quale, a essere onesti, non s’è saputo più nulla.
Poche settimane fa, al giallo della trattativa Pfizer-Ursula, si è aggiunto un altro capitolo. Si tratta del caustico report della Corte dei conti europea, che ha ribadito le accuse di scarsa trasparenza alla Commissione, la quale si sarebbe rifiutata di rivelare dettagli cruciali sul modo in cui sono state condotte le contrattazioni. In particolare, mancherebbero i rendiconti delle discussioni con Pfizer, siano essi verbali, nomi degli esperti consultati, o termini degli accordi. Inoltre, a parere della magistratura contabile, «i negoziatori dell’Ue hanno analizzato a fondo le difficoltà insite nella catena di produzione e di approvvigionamento dei vaccini», che si erano manifestate drammaticamente nella primavera del 2021, «soltanto dopo la stipula della maggior parte dei contratti». Una svista che ha facilitato l’affare per i produttori, mentre i compratori continuano a fare incetta di medicinali: le scorte continentali bastano praticamente per dieci iniezioni a testa e, a quelle attualmente disponibili, vanno aggiunti gli ordini di altri milioni e milioni di dosi dei vaccini aggiornati.
La presidente della commissione speciale, l’onorevole socialista belga Kathleen Van Brempt, reduce dalla visita al quartier generale di Biontech, ha riferito che «si rammarica molto» per la decisione di Bourla. Davanti agli occhi dei deputati Ue, finora, erano passati diversi funzionari di altissimo rango di Astrazeneca e Sanofi. I veri king maker della risposta farmacologica alla pandemia, dal canto loro, ci tengono a mantenere un profilo basso: meglio che sul ring non salga il peso massimo.
L’atto politico e industriale più importante degli ultimi decenni nell’Ue, quindi, rimane avvolto nella nebbia. Il vertice della compagnia che ha ideato il vaccino evita le situazioni che potrebbero metterlo in difficoltà, specie se su di lui sono puntati gli occhi di autorità preposte alla vigilanza. E la Commissione Ue, che sempre si balocca con roboanti proclami sulla trasparenza, mantiene la linea dell’opacità: contratti segreti, conversazioni occultate, messaggini spariti. Peccato: il vaccino contro l’ipocrisia non l’hanno ancora inventato.
La Svezia ferma le iniezioni ai minori: «Bassissimo rischio di casi gravi»
In Svezia, dal 31 ottobre, le vaccinazioni anti Covid non saranno più raccomandate in fascia 12-17 anni. Folkhälsomyndigheten (Fohm), l’agenzia per la salute pubblica, l’ha annunciato sul suo portale: «Il motivo è il bassissimo rischio di malattie gravi e di morte per Covid-19 nei bambini e nei giovani», spiegano gli esperti scandinavi.
Dal primo novembre, l’inoculo verrà consigliato solo ai giovanissimi con particolari fragilità. C’è già un bel segnale positivo, dunque, dopo la svolta a destra della Svezia dello scorso 11 settembre. Ieri, Greta Thunberg ha manifestato a Stoccolma in sostegno ad «antifascismo, antirazzismo e giustizia climatica», senza spendere una parola in difesa della salute dei coetanei più giovani, ai quali per fortuna stanno pensando le massime autorità sanitarie svedesi.
La puntura ai ragazzini sani non ha più senso. Per loro, il Covid «può essere considerato un comune virus respiratorio», hanno stabilito al Fohm, d’accordo con l’Associazione pediatrica svedese. Durante la pandemia, pochi bambini e giovani si sono ammalati gravemente di Covid-19 «e hanno avuto bisogno di cure», sostiene Sören Andersson, capo unità dell’Agenzia per la salute pubblica. Con la variante Omicron i sintomi sono sempre più lievi negli adolescenti sani, inoltre «l’immunità in questa fascia è molto alta».
Quindi stop a ormai inutili raccomandazioni, che varranno unicamente per i soggetti ritenuti più sensibili alle infezioni respiratorie, in generale, o con un sistema immunitario significativamente ridotto. Non si pensi che la Svezia abbia smesso di monitorare la situazione sanitaria dovuta al Covid, tutt’altro, visto che nel Paese si sta registrando un aumento, anche se sostenuto, di nuovi contagi.
Però gli esperti, quelli veri, aggiornano le raccomandazioni in base ai dati epidemiologici e se «le attuali conoscenze sul virus e sulla malattia suggeriscono che le varianti del virus stanno diventando sempre più lievi per i bambini e i giovani sani», lo dicono ai genitori. Mica fanno come in Italia. Senza dimenticare che in Svezia la vaccinazione contro il Covid-19 non è raccomandata per i bambini di età inferiore ai 12 anni. «Più piccolo è il bambino, minore è il rischio», dichiara il Fohm, che ha deciso di aspettare a inoculare le creature dai 5 agli 11 anni.
«L’incidenza della malattia è sempre stata bassa per i bambini sotto i 12 anni, fascia in cui non abbiamo mai vaccinato», ha precisato Andersson. Solo se soffrono di gravi patologie e sono considerati soggetti a rischio, viene offerto loro il vaccino. Interessante è anche vedere come la Svezia sta affrontando la questione dei giovani che, comunque, volessero ricevere il vaccino anti Covid. «È qualcosa su cui stiamo ragionando e che dovremo affrontare prima di novembre», afferma Sören Andersson. Come dire, se non è raccomandato, quando decade l’opportunità sotto il profilo sanitario forse non verrà nemmeno più inoculato.
Ha ben altro atteggiamento il nostro ministero, purtroppo ancora nelle mani di Roberto Speranza (speriamo per poco). Nella circolare del 7 settembre, aggiornata il 23, «si raccomanda prioritariamente l’utilizzo delle formulazioni di vaccini a m-Rna bivalenti» come prima dose di richiamo anche a partire dai 12 anni. Non solo gli adolescenti vengono tuttora invitati a porgere il braccio, sebbene le varianti non stiano dando preoccupazioni, ma dovrebbero pure farsi il booster.
Bastava che le indicazioni fossero rivolte agli over 60 con elevata fragilità, includendo anche i giovani con patologie, per i quali servirebbe un secondo richiamo. Ma consigliare doppio richiamo a tutti, anche se sani e forniti di robusti anticorpi contro il Covid, è privo di ogni fondamento scientifico. In Svezia, le autorità sanitarie raccomandano una dose aggiuntiva agli ultrasessantacinquenni e agli over 18 «che fanno parte di gruppi a rischio», non a tutta la popolazione indiscriminatamente.
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Albert Bourla diserterà l’incontro con la commissione d’inchiesta a Bruxelles: doveva riferire sui contratti segreti per i vaccini In ballo c’è pure il mistero dei suoi sms con Ursula von der Leyen, di cui non si trova più traccia. La società manderà un’altra dirigente.La Svezia ferma le iniezioni ai minori: «Bassissimo rischio di casi gravi». Fine della raccomandazione per la fascia 12-17 anni. Che Roberto Speranza insegue con l’ago.Lo speciale comprende due articoli.Puff: si è volatilizzato. Ha alzato i tacchi. Se l’è data a gambe. Albert Bourla, presidente e amministratore delegato di Pfizer, qualche giorno fa era risultato positivo al tampone per la seconda volta in un mese. Ma non è per questo - e men che meno perché non ha ancora ricevuto la punturina anti Omicron - che diserterà l’audizione presso la commissione speciale sul Covid-19 del Parlamento europeo. Lunedì 10 ottobre, il manager grecoamericano era atteso a Bruxelles dai 38 onorevoli che compongono il comitato, per rispondere ad alcune «domande toste» - così le ha definite Politico.eu - sulla questione dei contratti segreti per i vaccini, siglati con l’Ue. E invece, niente: gli eurodeputati parleranno con «altri Ceo», come recita il programma della giornata, ma non con quello del principale venditore di rimedi antivirus al Vecchio continente. Bourla non testimonierà. Pfizer, al posto suo, manderà Janine Small, presidente della sezione dedicata allo sviluppato dei mercati internazionali - e il nostro è piuttosto ghiotto, in effetti. Secondo la casa farmaceutica, costei sarebbe più indicata «a supportare la commissione nel raggiungimento dei suoi obiettivi». Ma che preziosa collaborazione… Difficile, invero, che al colosso dei medicinali sfugga un dettaglio: gli sms privati, da cui sarebbe passata almeno una parte del negoziato sulle forniture, Ursula von der Leyen se li era scambiati con Bourla.Riavvolgiamo il nastro. Nel 2021, il New York Times aveva rivelato che, tra febbraio e marzo di quell’anno, la presidente dell’esecutivo comunitario e il numero uno di Pfizer avevano intrattenuto una fitta corrispondenza via smartphone. Quelle conversazioni sarebbero state determinanti per trovare un accordo sulla consegna delle fiale di Comirnaty all’Ue, in una fase in cui si erano manifestati gravi problemi negli approvvigionamenti delle dosi. Giusto un anno fa, il mediatore europeo, Emily O’Reilly, aveva aperto un’inchiesta sull’accaduto. Anche perché, in seguito a una richiesta di accesso agli atti, la Commissione Ue aveva fatto spallucce, dichiarando di non aver mai archiviato gli sms dell’ex ministro della Difesa tedesco. Un modo di procedere anomalo: in teoria, Bruxelles aveva a disposizione una squadra di negoziatori, capitanata dall’italiana Sandra Gallina. E c’è l’aggravante del mistero che continua ad aleggiare sui contratti firmati con Big pharma. In questa storia, cosa bisognerebbe nascondere? Forse, il team incaricato di procurare i sieri salvifici stava facendo un buco nell’acqua ed è sceso in campo, in sua vece, il pezzo da novanta? È un’ipotesi. In effetti, sulla tecnologia dei vaccini a mRna, la von der Leyen doveva avere una qualche infarinatura. Suo marito, il nobile Heiko von der Leyen, giusto nel 2020 - tempismo perfetto - era andato a lavorare alla Orgenesis, una biotech statunitense che si occupa di terapie geniche. La società, pochi mesi dopo lo scoppio della pandemia, aveva provato a lanciare un suo vaccino a base cellulare. Del quale, a essere onesti, non s’è saputo più nulla. Poche settimane fa, al giallo della trattativa Pfizer-Ursula, si è aggiunto un altro capitolo. Si tratta del caustico report della Corte dei conti europea, che ha ribadito le accuse di scarsa trasparenza alla Commissione, la quale si sarebbe rifiutata di rivelare dettagli cruciali sul modo in cui sono state condotte le contrattazioni. In particolare, mancherebbero i rendiconti delle discussioni con Pfizer, siano essi verbali, nomi degli esperti consultati, o termini degli accordi. Inoltre, a parere della magistratura contabile, «i negoziatori dell’Ue hanno analizzato a fondo le difficoltà insite nella catena di produzione e di approvvigionamento dei vaccini», che si erano manifestate drammaticamente nella primavera del 2021, «soltanto dopo la stipula della maggior parte dei contratti». Una svista che ha facilitato l’affare per i produttori, mentre i compratori continuano a fare incetta di medicinali: le scorte continentali bastano praticamente per dieci iniezioni a testa e, a quelle attualmente disponibili, vanno aggiunti gli ordini di altri milioni e milioni di dosi dei vaccini aggiornati.La presidente della commissione speciale, l’onorevole socialista belga Kathleen Van Brempt, reduce dalla visita al quartier generale di Biontech, ha riferito che «si rammarica molto» per la decisione di Bourla. Davanti agli occhi dei deputati Ue, finora, erano passati diversi funzionari di altissimo rango di Astrazeneca e Sanofi. I veri king maker della risposta farmacologica alla pandemia, dal canto loro, ci tengono a mantenere un profilo basso: meglio che sul ring non salga il peso massimo. L’atto politico e industriale più importante degli ultimi decenni nell’Ue, quindi, rimane avvolto nella nebbia. Il vertice della compagnia che ha ideato il vaccino evita le situazioni che potrebbero metterlo in difficoltà, specie se su di lui sono puntati gli occhi di autorità preposte alla vigilanza. E la Commissione Ue, che sempre si balocca con roboanti proclami sulla trasparenza, mantiene la linea dell’opacità: contratti segreti, conversazioni occultate, messaggini spariti. Peccato: il vaccino contro l’ipocrisia non l’hanno ancora inventato. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-capo-di-pfizer-fugge-dalleuroparlamento-2658370645.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-svezia-ferma-le-iniezioni-ai-minori-bassissimo-rischio-di-casi-gravi" data-post-id="2658370645" data-published-at="1664681050" data-use-pagination="False"> La Svezia ferma le iniezioni ai minori: «Bassissimo rischio di casi gravi» In Svezia, dal 31 ottobre, le vaccinazioni anti Covid non saranno più raccomandate in fascia 12-17 anni. Folkhälsomyndigheten (Fohm), l’agenzia per la salute pubblica, l’ha annunciato sul suo portale: «Il motivo è il bassissimo rischio di malattie gravi e di morte per Covid-19 nei bambini e nei giovani», spiegano gli esperti scandinavi. Dal primo novembre, l’inoculo verrà consigliato solo ai giovanissimi con particolari fragilità. C’è già un bel segnale positivo, dunque, dopo la svolta a destra della Svezia dello scorso 11 settembre. Ieri, Greta Thunberg ha manifestato a Stoccolma in sostegno ad «antifascismo, antirazzismo e giustizia climatica», senza spendere una parola in difesa della salute dei coetanei più giovani, ai quali per fortuna stanno pensando le massime autorità sanitarie svedesi. La puntura ai ragazzini sani non ha più senso. Per loro, il Covid «può essere considerato un comune virus respiratorio», hanno stabilito al Fohm, d’accordo con l’Associazione pediatrica svedese. Durante la pandemia, pochi bambini e giovani si sono ammalati gravemente di Covid-19 «e hanno avuto bisogno di cure», sostiene Sören Andersson, capo unità dell’Agenzia per la salute pubblica. Con la variante Omicron i sintomi sono sempre più lievi negli adolescenti sani, inoltre «l’immunità in questa fascia è molto alta». Quindi stop a ormai inutili raccomandazioni, che varranno unicamente per i soggetti ritenuti più sensibili alle infezioni respiratorie, in generale, o con un sistema immunitario significativamente ridotto. Non si pensi che la Svezia abbia smesso di monitorare la situazione sanitaria dovuta al Covid, tutt’altro, visto che nel Paese si sta registrando un aumento, anche se sostenuto, di nuovi contagi. Però gli esperti, quelli veri, aggiornano le raccomandazioni in base ai dati epidemiologici e se «le attuali conoscenze sul virus e sulla malattia suggeriscono che le varianti del virus stanno diventando sempre più lievi per i bambini e i giovani sani», lo dicono ai genitori. Mica fanno come in Italia. Senza dimenticare che in Svezia la vaccinazione contro il Covid-19 non è raccomandata per i bambini di età inferiore ai 12 anni. «Più piccolo è il bambino, minore è il rischio», dichiara il Fohm, che ha deciso di aspettare a inoculare le creature dai 5 agli 11 anni. «L’incidenza della malattia è sempre stata bassa per i bambini sotto i 12 anni, fascia in cui non abbiamo mai vaccinato», ha precisato Andersson. Solo se soffrono di gravi patologie e sono considerati soggetti a rischio, viene offerto loro il vaccino. Interessante è anche vedere come la Svezia sta affrontando la questione dei giovani che, comunque, volessero ricevere il vaccino anti Covid. «È qualcosa su cui stiamo ragionando e che dovremo affrontare prima di novembre», afferma Sören Andersson. Come dire, se non è raccomandato, quando decade l’opportunità sotto il profilo sanitario forse non verrà nemmeno più inoculato. Ha ben altro atteggiamento il nostro ministero, purtroppo ancora nelle mani di Roberto Speranza (speriamo per poco). Nella circolare del 7 settembre, aggiornata il 23, «si raccomanda prioritariamente l’utilizzo delle formulazioni di vaccini a m-Rna bivalenti» come prima dose di richiamo anche a partire dai 12 anni. Non solo gli adolescenti vengono tuttora invitati a porgere il braccio, sebbene le varianti non stiano dando preoccupazioni, ma dovrebbero pure farsi il booster. Bastava che le indicazioni fossero rivolte agli over 60 con elevata fragilità, includendo anche i giovani con patologie, per i quali servirebbe un secondo richiamo. Ma consigliare doppio richiamo a tutti, anche se sani e forniti di robusti anticorpi contro il Covid, è privo di ogni fondamento scientifico. In Svezia, le autorità sanitarie raccomandano una dose aggiuntiva agli ultrasessantacinquenni e agli over 18 «che fanno parte di gruppi a rischio», non a tutta la popolazione indiscriminatamente.
Mohammad Shahin (Ansa)
Naturalmente non stupisce che la Corte d’Appello sia di manica larga con un imam che teorizza che l’assassinio di 1.200 persone e il rapimento di altre 250 non sia violenza. In fondo la sentenza si inserisce in una tendenza che nei tribunali italiani gode di una certa popolarità. Non furono ritenute incompatibili con il trattenimento nel Cpr in Albania anche decine di extracomunitari con la fedina penale lunga una spanna? Nonostante nel casellario giudiziale figurassero precedenti per reati anche gravi come aggressioni e perfino un tentato omicidio, i migranti furono prontamente rimpatriati e ovviamente lasciati liberi di scorrazzare per il Paese e di commettere altri crimini. Sia mai che qualcuno venga trattenuto e successivamente espulso.
Del resto, recentemente un altro magistrato, questa volta di Bologna, ha detto al Manifesto che le recenti disposizioni europee in materia di Paesi sicuri sono da ritenersi incostituzionali. Perché ovviamente per alcune toghe il diritto è à la carte, cioè si sceglie da un menù quello che più gusta. Se bisogna opporre un diniego alla legge varata dal Parlamento ci si appella alla giurisprudenza europea, che va da sé è preminente rispetto a quella nazionale. Ma se poi una direttiva Ue o del Consiglio europeo non piace si fa il contrario e ci si appella al diritto italiano, che in questo caso torna prevalente. Insomma, comunque vada il migrante ha sempre ragione e deve essere ritenuto discriminato e dunque coccolato e tutelato. Se un italiano inneggia al fascismo deve essere messo in galera, se un imam si dichiara d’accordo con una strage, non considerandola violenza ma resistenza invece scatta la libertà di espressione, quella stessa espressione che gli autori del massacro di Charlie Hebdo anni fa negarono ai vignettisti del settimanale francese, colpevoli di aver disegnato immagini sarcastiche sull’islam.
Purtroppo, la tendenza a giustificare tutto e dare addosso a chi denuncia i pericoli legati a un’immigrazione indiscriminata ormai dilaga. Ieri sulla prima pagina di Repubblica campeggiava uno studio in cui la questione che lega gli stranieri al crescente clima di insicurezza era addebitata ai media. Colpa di giornali e tv se si parla di migranti. «I picchi di informazione e audience sul pericolo stranieri avvengono nei periodi elettorali», tiene a precisare il quotidiano che la famiglia Agnelli ha messo in vendita. In realtà i picchi coincidono sempre con fatti di cronaca nera. Stragi, rapine, stupri: quei fatti che né i giudici, né alcuni giornali vogliono vedere.
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Sergio Mattarella (Ansa)
Dite che in tutto questo c’è qualcosa che non funziona? Forse non avete tutti i torti. Però è esattamente quello che è successo. Alla XVIII Conferenza delle ambasciatrici e degli ambasciatori, Mattarella si è lasciato possedere dallo spirito di Kaja Kallas e ha impugnato lo spadone: «Permane l’aggressione russa ai danni dell’Ucraina», ha detto, «con vittime e immani distruzioni, e con l’aberrante intendimento, malgrado gli sforzi negoziali in atto, di infrangere il principio del rifiuto di ridefinire con la forza gli equilibri e i confini in Europa. Infrangere questo principio è un’azione ritenuta irresponsabile e inammissibile già oltre cinquanta anni addietro nella Conferenza di Helsinki sulla cooperazione e sicurezza nel continente». Quindi anche il bombardamento di Belgrado era già un’azione «ritenuta irresponsabile e inammissibile»...
Ma il particolare non ha turbato l’uomo del Colle, che ha proseguito bellicoso: «Appare, a dir poco, singolare che, mentre si affacciano, in ambito internazionale, esperienze dirette a unire Stati e a coordinarne le aspirazioni e le attività, si assista a una disordinata e ingiustificata aggressione nei confronti dell’Unione europea, alterando la verità e presentandola, anziché come una delle esperienze storiche di successo per la democrazia e i diritti dei popoli, sviluppatasi anche con la condivisione e l’apprezzamento dell’intero Occidente, come una organizzazione oppressiva se non addirittura nemica della libertà». Oplà: sistemati anche i nemici della meravigliosa e infallibile Unione europea «apprezzata dall’intero Occidente». Intero. E pazienza se anche alcuni scudieri del sovrano del Quirinale, segnatamente Enrico Letta e Mario Draghi, si sono recentemente azzardati a criticare anche aspramente l’architettura parasovietica allestita a Bruxelles. Per Mattarella è l’ora delle decisioni irrevocabili: «È evidente che è in atto un’operazione, diretta contro il campo occidentale, che vorrebbe allontanare le democrazie dai propri valori, separando i destini delle diverse nazioni. Non è possibile distrarsi e non sono consentiti errori».
Ecco, non sono consentiti errori. E allora perché, proprio mentre si tratta a Berlino, il presidente della Repubblica compie un’invasione di campo così clamorosa? Come mai è tanto ansioso di metterci in rotta di collisione con la Russia da superare in oltranzismo i Volenterosi e persino lo stesso Zelensky, ormai pragmaticamente orientato a discutere per evitare la catastrofe finale al suo popolo stremato? Che cosa hanno in testa Mattarella e il suo consigliere Francesco Saverio Garofani, che siede ancora con lui (e con Giorgia Meloni) nel Consiglio supremo di Difesa malgrado le imbarazzanti frasi, rivelate dalla Verità, su «provvidenziali scossoni» per impedire alla stessa leader di Fratelli d’Italia di rivincere le elezioni e, orrore, magari insediare qualcuno non di sinistra sul Colle più alto di Roma?
Il Quirinale, con la docile stampa al seguito, si è affrettato a far calare una cappa di silenzio su quella voce dal sen fuggita che rivelava desideri e trame di chi sussurra all’orecchio di Mattarella. Ma ora è il capo dello Stato in persona a uscire allo scoperto. È lui a dare sulla voce al premier, che pochi giorni fa, accogliendolo a Roma, ha parlato a Zelensky della necessità di fare «dolorose concessioni». È lui a dare una linea alternativa (anche al sé stesso più giovane) in politica estera, esondando dalle sue funzioni. Ennesima dimostrazione che l’opposizione vera a questo governo si fa sul Colle. E che forse Garofani non esprimeva solo considerazioni personali.
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Il titolare del supermercato Conad City, che si trova a ridosso del centro storico della città, dopo l’ennesimo episodio di violenza avvenuto all’interno del suo negozio, ha deciso di dotare le dipendenti, e in particolare le cassiere, di spray al peperoncino da tenere a portata di mano durante il turno di lavoro.
Pochi giorni fa, infatti, a metà mattinata, due ubriachi sono entrati con cattive intenzioni e mentre uno si dirigeva verso il reparto alcolici, l’altro si è avvicinato ai banchi dell’ortofrutta e, afferrato un grappolo d’uva, si è messo a mangiare con gusto, cerando di farsi consegnare denaro dai presenti. Invitati ad allontanarsi, i due, hanno reagito con violenza minacciando il titolare del negozio e spaventando il resto del personale, costretto a rifugiarsi nel box informazioni per la paura di essere assalito. Decisivo l’intervento della figlia del proprietario che, vista la situazione di pericolo, con un impeto di coraggio ha sfoderato lo spray al peperoncino e messo in fuga i due. Da lì l’idea di dotare tutte le cassiere del presidio deterrente: «Le cassiere sono giovani e hanno paura» ha dichiarato il titolare alla tv locale, ricordando altri tre episodi simili avvenuti nel giro di un solo mese, uno dei quali costato la frattura di una mano ad un dipendente che cercava di difendere una collega.
Recentemente Il Sole 24 Ore ha posizionato la Provincia di Treviso al primo posto in Italia per numero di minori coinvolti in rapine e aggressioni perché, in città e nel suo comprensorio, il 9,5% delle persone denunciate o arrestate per atti violenti è risultato essere un under 18 (il dato nazionale si ferma al 5%). E insieme ai dati anche le cronache recenti confermano il trend.
A meno di un chilometro di distanza dal supermercato con le cassiere costrette ad «armarsi», dalla parte opposta del centro cittadino, una settimana fa, in una serata di movida, dieci maranza hanno accerchiato e brutalmente pestato quattro giovani i trevigiani, colpevoli solo di aver risposto per le rime alle offese pronunciate dalla gang, con l’intento di provocare. In risposta allo scambio colorito di epiteti uno degli stranieri ha colpito uno dei rivali e, per tentare di far rientrare la situazione, un amico è corso a difenderlo. A quel punto, però, il gruppo di maranza si è accanito su di lui colpendolo al volto, rompendogli mandibola e orbita, e ferendo gli altri con calci e colpi sferrati con il tirapugni. In risposta all’episodio, il comitato Prima i Trevigiani, in sinergia con Azione Studentesca, si è recato nei luoghi dell’aggressione, affiggendo uno striscione con su scritto «Baby gang e maranza, è finita la tolleranza». «Siamo stanchi di associare la nostra generazione a questi atti di teppismo e criminalità. Treviso ha dato prova di una lunga pazienza, ma ora siamo al limite. Chiediamo fermezza immediata, più controlli e l'applicazione di sanzioni esemplari per ripristinare il diritto alla sicurezza e alla serenità di tutti i trevigiani. La tolleranza verso chi semina il panico è ufficialmente finita», ha dichiarato Federico Piasentin, referente giovani del Comitato. A fargli eco il presidente, Leonardo Capion, che ha spiegato: «La violenza nella nostra città, messa in atto da parte di queste bande, va avanti da tempo, anche se in questo periodo è diventata ancora più frequente e comincia ad essere sotto i riflettori. Come Comitato raccogliamo un numero sempre più alto di segnalazioni e di adesioni dai cittadini stanchi della paura di subire assalti e di non poter vivere liberamente le strade e i luoghi pubblici e proseguiremo con le passeggiate che già da tempo organizziamo per la città come forma di deterrenza».
Per Capion «il problema principale è che la giustizia è troppo lenta nel fare il suo corso e che i violenti sono molto spesso minorenni verso cui le pene sono tutt’altro che severe».
In effetti proprio a distanza di un anno dalla morte di Favaretto, il giovane sgozzato con un vetro il 12 dicembre 2024 durante una rissa, è arrivata, per quattro dei sei ragazzi che lo aggredirono, un maxi sconto di pena. Due ragazzi e due ragazze che presero parte al pestaggio, rinviati a giudizio per omicidio volontario aggravato dall’intenzione di effettuare una rapina e di rapina in concorso, hanno chiesto il rito abbreviato e ottenuto la messa alla prova. Non finiranno in carcere ma se la caveranno dedicandosi ai lavori sociali. E nemmeno lavoreranno gratis: per le loro mansioni saranno retribuiti, in modo da poter - secondo i giudici - risarcire la mamma di Francesco nell’ottica di una «giustizia riparativa».
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Se per i Maya erano oggetto di venerazione quasi religiosa, tanto era il loro riconosciuto valore non solo economico, per gli europei coltivare il cacao era troppo complesso e, in seguito, ci si «accontentò» di mangiarne le fave importate in forma di cioccolata. L’Europa iniziò a conoscere per bene la cioccolata in tazza dopo il 1517. In quell’anno il conquistatore spagnolo Hernàn Cortés era sbarcato anch’egli sull’attuale Messico e l’imperatore azteco Montezuma II gli aveva fatto conoscere la «chocolatl», il trito di fave di cacao e mais cotto con acqua e miele che l’imperatore beveva come afrodisiaco. Quando Cortés, morto Montezuma II e conquistato l’impero azteco, divenne governatore, esportò stabilmente la cioccolata presso la corte spagnola di Carlo V. Da lì, la squisita bevanda divenne in breve tempo una specie di ambrosia dei nobili poiché consumarla voleva dire acquisire un vero e proprio status symbol: solo il nobile poteva bere l’esotica e buonissima cioccolata quando voleva. Pensate che Carlo V la mandava come regalo di nozze quando un familiare sposava un nobile di altra nazione e, addirittura, questo farne dono fu il primo modo di diffusione della cioccolata nel resto d’Europa. Inoltre, un po’ come un vero chef, Carlo V non dava la sua ricetta e perciò si svilupparono diverse varianti. E perfino diversi luoghi dedicati dove trovarla per berla, quando era diventata accessibile anche ai borghesi. A Londra, nel 1657 nacque la prima Chocolate house, sulla scia delle Coffee house, e poi in tutta la Gran Bretagna si diffusero tante altre chocolate house, oggi in Italia le chiameremmo cioccolaterie, luoghi nei quali bere la cioccolata e intrattenersi. Dai Maya a noi la cioccolata calda ha fatto tanta strada in ogni senso. Un po’ come la pizza o la pasta, la cioccolata calda è diventata un’icona pop che più passa il tempo più espande la sua costellazione di innovazioni che insieme la confermano e la mutano.
La cioccolateria contemporanea ci ha dato innanzitutto la cioccolata calda fatta con cioccolato diverso da quello al latte o fondente: c’è la cioccolata calda bianca fatta con cioccolato bianco, che a sua volta può essere aromatizzata e quindi possiamo trovare anche la cioccolata calda di colore verde e al sapore di pistacchio, per esempio. E c’è la cioccolata calda rosa realizzata col cioccolato ruby, un cioccolato fatto con fave di cacao provenienti da Ecuador, Costa d’Avorio e Brasile che contengono naturalmente pigmenti rosa. La cioccolata si può preparare sia con il cioccolato tritato, in questo casa potrà essere al latte, fondente, bianca oppure ruby, sia con il cacao. Al di là del tipo di materia prima usata, la cioccolata calda si può poi ormai declinare in mille modi, non solo nel laboratorio della propria cucina, dove basta aggiungere una spolverizzata di cacao oppure di cannella in cima, sia che ci sia panna, sia che non ci sia. O di peperoncino oppure, perché no?, di pepe. I cafè nei quali si beve cioccolata calda hanno i propri mix oppure offrono il menu completo dei mix pensati da produttori artigianali o industriali di preparati per cioccolate in busta. Il marchio apripista in questa direzione fu Eraclea, fondato a Milano circa 50 anni fa e passato dal 2010 al gruppo Lavazza. Quel preparato in busta che decenni or sono era pioneristico oggi è diventato un genere di prodotti e molti fanno il proprio, dalla storica pasticceria Marchesi di Milano al pasticcere torinese Guido Gobino passando per Antonino Cannavacciuolo e le sue choco bomb, versione solida e sferica del preparato, e il Ciobar, l’offerta per preparare una squisita cioccolata in tazza a casa seguendo semplicemente le istruzioni sulla confezione degli ingredienti predosati è vastissima e spazia fin dove si può spaziare. Cioccolata con tocco crunchy? Basta aggiungere granella di nocciole, di pistacchi, perfino bacche di Goji. Cioccolata salata (parzialmente)? Nessun problema, c’è la cioccolata con caramello salato. Cioccolata vegana (recentemente anche la gelateria Grom, artefice di una cioccolata in tazza super cremosa, ha modificato la ricetta per renderla vegana)? Ancora nessun impedimento, basta sostituire il latte con bevanda vegetale. La più sorprendente è sicuramente quella che sembra la negazione della cioccolata calda: la cioccolata fredda. In realtà, si tratta di una versione che destagionalizza la cioccolata calda, disponibile in concomitanza con l’arrivo del freddo per tutta la stagione autunnale e invernale, fino alla primavera. La cioccolata fredda si oppone a questa stagionalità e rendendola estiva attua l’estensione della cioccolata calda a tutto l’anno, naturalmente però raffreddandola. Si prepara con gli stessi ingredienti, ma poi si fa freddare in frigo e si gusta quando fa caldo per rinfrescarsi, non quando fa freddo per riscaldarsi. A proposito di riscaldarsi, sapevate che in montagna è prassi bere una cioccolata calda per contrastare il clima chiaramente molto freddo e riprendere energia dopo una giornata di sci alpino? Deriva da questo l’idea che l’ora della cioccolata calda sia le 16:30, in (giocosa) differenziazione rispetto alle 17, l’ora del tè.
La cioccolata calda è considerata un comfort food e insieme un peccato di gola. Conosciamone meglio le caratteristiche e come trarne il massimo beneficio per la nostra salute ed il nostro benessere.
In 100 ml di cioccolata calda preparata con cioccolato, latte intero, zucchero, un po’ di addensante (qualunque farina oppure amido o fecola) troviamo circa 90 calorie, per il 60% derivanti da carboidrati, per il 25% da grassi e per il 15% da proteine. Fate attenzione perché spesso le tazze sono da 200 ml, quindi considerate 180 calorie. Inoltre, più la cioccolata è densa, più è calorica. Per diminuire i carboidrati si può eliminare lo zucchero, per diminuire un po’ di proteine e di grassi si può usare l’acqua al posto del latte, per diminuire tutto, grassi, proteine e carboidrati, si può usare il cacao magro al posto della cioccolata. Un cucchiaio raso di panna montata aggiunge circa 20 calorie. Durante la stagione fredda, caratterizzata anche dalla diminuzione delle ore di luce, la cioccolata calda è sicuramente un momento di piacere gastronomico, ma anche una spinta energetica per il nostro organismo e per il nostro umore. I flavonoidi hanno effetto antiossidante che aiuta anche la salute del sistema cardiocircolatorio. Grazie a triptofano, feniletilamina e teobromina di cacao o cioccolato, che stimolano la produzione di neurotrasmettitori come la serotonina (il cosiddetto ormone della felicità) e le endorfine (che riducono dolore e stress), una cioccolata in tazza solleva il nostro umore, funge da antistress e ci dona serenità anche nei giorni no. Migliorano anche la memoria e la concentrazione e aumenta un pochino il livello di alcuni sali minerali (potassio, rame, magnesio e ferro). Inoltre, abbiamo sollievo se abbiamo la gola secca e ci scaldiamo: la bevanda, infatti, scalda la bocca, la trachea, lo stomaco e quindi il nucleo centrale del nostro organismo, la parte interna costituita dal busto, che protegge gli organi e che in inverno va protetta dal freddo per mantenere la sua temperatura ottimale di circa 37 gradi centigradi. Inoltre, la cioccolata calda ci dà l’energia che serve al nostro organismo per attuare le sue pratiche anti freddo. Funziona così: il nostro guscio periferico (capo, arti, pelle, muscoli, grasso) cerca di minimizzare la dispersione termica dovuta al fatto che la temperatura esterna è molto bassa tramite la vasocostrizione che diminuisce il flusso sanguigno. Il calore che serve a mantenere il nostro nucleo centrale a 37 gradi (pena malanni o malesseri anche letali se la temperatura scende di troppo) viene prodotto nel nucleo centrale attraverso il metabolismo, che trasforma il cibo in kilocalorie e si trasferisce verso il guscio. Quando fa freddo, il corpo riduce questo trasferimento per conservare il calore centrale, a scapito della temperatura periferica. Tutto questo è un lavoro continuo del nostro organismo, di cui non ci accorgiamo e che richiede molte kilocalorie. Le pratiche che il nostro organismo mette in atto per riscaldarci in inverno ci richiedono e ci fanno consumare molte più calorie di quelle che esso mette in atto per disperdere il calore in estate, perciò mangiamo di più in inverno, perché consumiamo più kilocalorie per mantenere la nostra temperatura interna a circa 37 gradi di quante ne consumiamo in estate per non farla aumentare troppo oltre i 37 gradi. Non bisogna certamente esagerare nel bere cioccolata calda, soprattutto pensando ai grassi (per riscaldarsi va bene anche un tè caldo senza zucchero), ma concedersi una cioccolata di tanto in tanto non può che fare bene. Ultimi consigli. Se avete mal di gola o in generale siete raffreddati, aggiungete in cima alla vostra cioccolata calda polvere di peperoncino, di cannella, di curry, di curcuma. Se avete problemi digestivi, polvere di té verde, di té matcha o di semi di finocchio.
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