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2022-10-02
Vietato indagare sulla trattativa Pfizer-Ursula
Ursula von der Leyen e Albert Bourla (Ansa)
Puff: si è volatilizzato. Ha alzato i tacchi. Se l’è data a gambe. Albert Bourla, presidente e amministratore delegato di Pfizer, qualche giorno fa era risultato positivo al tampone per la seconda volta in un mese. Ma non è per questo - e men che meno perché non ha ancora ricevuto la punturina anti Omicron - che diserterà l’audizione presso la commissione speciale sul Covid-19 del Parlamento europeo.
Lunedì 10 ottobre, il manager grecoamericano era atteso a Bruxelles dai 38 onorevoli che compongono il comitato, per rispondere ad alcune «domande toste» - così le ha definite Politico.eu - sulla questione dei contratti segreti per i vaccini, siglati con l’Ue. E invece, niente: gli eurodeputati parleranno con «altri Ceo», come recita il programma della giornata, ma non con quello del principale venditore di rimedi antivirus al Vecchio continente. Bourla non testimonierà. Pfizer, al posto suo, manderà Janine Small, presidente della sezione dedicata allo sviluppato dei mercati internazionali - e il nostro è piuttosto ghiotto, in effetti. Secondo la casa farmaceutica, costei sarebbe più indicata «a supportare la commissione nel raggiungimento dei suoi obiettivi». Ma che preziosa collaborazione… Difficile, invero, che al colosso dei medicinali sfugga un dettaglio: gli sms privati, da cui sarebbe passata almeno una parte del negoziato sulle forniture, Ursula von der Leyen se li era scambiati con Bourla.
Riavvolgiamo il nastro. Nel 2021, il New York Times aveva rivelato che, tra febbraio e marzo di quell’anno, la presidente dell’esecutivo comunitario e il numero uno di Pfizer avevano intrattenuto una fitta corrispondenza via smartphone. Quelle conversazioni sarebbero state determinanti per trovare un accordo sulla consegna delle fiale di Comirnaty all’Ue, in una fase in cui si erano manifestati gravi problemi negli approvvigionamenti delle dosi. Giusto un anno fa, il mediatore europeo, Emily O’Reilly, aveva aperto un’inchiesta sull’accaduto. Anche perché, in seguito a una richiesta di accesso agli atti, la Commissione Ue aveva fatto spallucce, dichiarando di non aver mai archiviato gli sms dell’ex ministro della Difesa tedesco. Un modo di procedere anomalo: in teoria, Bruxelles aveva a disposizione una squadra di negoziatori, capitanata dall’italiana Sandra Gallina. E c’è l’aggravante del mistero che continua ad aleggiare sui contratti firmati con Big pharma. In questa storia, cosa bisognerebbe nascondere? Forse, il team incaricato di procurare i sieri salvifici stava facendo un buco nell’acqua ed è sceso in campo, in sua vece, il pezzo da novanta? È un’ipotesi. In effetti, sulla tecnologia dei vaccini a mRna, la von der Leyen doveva avere una qualche infarinatura. Suo marito, il nobile Heiko von der Leyen, giusto nel 2020 - tempismo perfetto - era andato a lavorare alla Orgenesis, una biotech statunitense che si occupa di terapie geniche. La società, pochi mesi dopo lo scoppio della pandemia, aveva provato a lanciare un suo vaccino a base cellulare. Del quale, a essere onesti, non s’è saputo più nulla.
Poche settimane fa, al giallo della trattativa Pfizer-Ursula, si è aggiunto un altro capitolo. Si tratta del caustico report della Corte dei conti europea, che ha ribadito le accuse di scarsa trasparenza alla Commissione, la quale si sarebbe rifiutata di rivelare dettagli cruciali sul modo in cui sono state condotte le contrattazioni. In particolare, mancherebbero i rendiconti delle discussioni con Pfizer, siano essi verbali, nomi degli esperti consultati, o termini degli accordi. Inoltre, a parere della magistratura contabile, «i negoziatori dell’Ue hanno analizzato a fondo le difficoltà insite nella catena di produzione e di approvvigionamento dei vaccini», che si erano manifestate drammaticamente nella primavera del 2021, «soltanto dopo la stipula della maggior parte dei contratti». Una svista che ha facilitato l’affare per i produttori, mentre i compratori continuano a fare incetta di medicinali: le scorte continentali bastano praticamente per dieci iniezioni a testa e, a quelle attualmente disponibili, vanno aggiunti gli ordini di altri milioni e milioni di dosi dei vaccini aggiornati.
La presidente della commissione speciale, l’onorevole socialista belga Kathleen Van Brempt, reduce dalla visita al quartier generale di Biontech, ha riferito che «si rammarica molto» per la decisione di Bourla. Davanti agli occhi dei deputati Ue, finora, erano passati diversi funzionari di altissimo rango di Astrazeneca e Sanofi. I veri king maker della risposta farmacologica alla pandemia, dal canto loro, ci tengono a mantenere un profilo basso: meglio che sul ring non salga il peso massimo.
L’atto politico e industriale più importante degli ultimi decenni nell’Ue, quindi, rimane avvolto nella nebbia. Il vertice della compagnia che ha ideato il vaccino evita le situazioni che potrebbero metterlo in difficoltà, specie se su di lui sono puntati gli occhi di autorità preposte alla vigilanza. E la Commissione Ue, che sempre si balocca con roboanti proclami sulla trasparenza, mantiene la linea dell’opacità: contratti segreti, conversazioni occultate, messaggini spariti. Peccato: il vaccino contro l’ipocrisia non l’hanno ancora inventato.
La Svezia ferma le iniezioni ai minori: «Bassissimo rischio di casi gravi»
In Svezia, dal 31 ottobre, le vaccinazioni anti Covid non saranno più raccomandate in fascia 12-17 anni. Folkhälsomyndigheten (Fohm), l’agenzia per la salute pubblica, l’ha annunciato sul suo portale: «Il motivo è il bassissimo rischio di malattie gravi e di morte per Covid-19 nei bambini e nei giovani», spiegano gli esperti scandinavi.
Dal primo novembre, l’inoculo verrà consigliato solo ai giovanissimi con particolari fragilità. C’è già un bel segnale positivo, dunque, dopo la svolta a destra della Svezia dello scorso 11 settembre. Ieri, Greta Thunberg ha manifestato a Stoccolma in sostegno ad «antifascismo, antirazzismo e giustizia climatica», senza spendere una parola in difesa della salute dei coetanei più giovani, ai quali per fortuna stanno pensando le massime autorità sanitarie svedesi.
La puntura ai ragazzini sani non ha più senso. Per loro, il Covid «può essere considerato un comune virus respiratorio», hanno stabilito al Fohm, d’accordo con l’Associazione pediatrica svedese. Durante la pandemia, pochi bambini e giovani si sono ammalati gravemente di Covid-19 «e hanno avuto bisogno di cure», sostiene Sören Andersson, capo unità dell’Agenzia per la salute pubblica. Con la variante Omicron i sintomi sono sempre più lievi negli adolescenti sani, inoltre «l’immunità in questa fascia è molto alta».
Quindi stop a ormai inutili raccomandazioni, che varranno unicamente per i soggetti ritenuti più sensibili alle infezioni respiratorie, in generale, o con un sistema immunitario significativamente ridotto. Non si pensi che la Svezia abbia smesso di monitorare la situazione sanitaria dovuta al Covid, tutt’altro, visto che nel Paese si sta registrando un aumento, anche se sostenuto, di nuovi contagi.
Però gli esperti, quelli veri, aggiornano le raccomandazioni in base ai dati epidemiologici e se «le attuali conoscenze sul virus e sulla malattia suggeriscono che le varianti del virus stanno diventando sempre più lievi per i bambini e i giovani sani», lo dicono ai genitori. Mica fanno come in Italia. Senza dimenticare che in Svezia la vaccinazione contro il Covid-19 non è raccomandata per i bambini di età inferiore ai 12 anni. «Più piccolo è il bambino, minore è il rischio», dichiara il Fohm, che ha deciso di aspettare a inoculare le creature dai 5 agli 11 anni.
«L’incidenza della malattia è sempre stata bassa per i bambini sotto i 12 anni, fascia in cui non abbiamo mai vaccinato», ha precisato Andersson. Solo se soffrono di gravi patologie e sono considerati soggetti a rischio, viene offerto loro il vaccino. Interessante è anche vedere come la Svezia sta affrontando la questione dei giovani che, comunque, volessero ricevere il vaccino anti Covid. «È qualcosa su cui stiamo ragionando e che dovremo affrontare prima di novembre», afferma Sören Andersson. Come dire, se non è raccomandato, quando decade l’opportunità sotto il profilo sanitario forse non verrà nemmeno più inoculato.
Ha ben altro atteggiamento il nostro ministero, purtroppo ancora nelle mani di Roberto Speranza (speriamo per poco). Nella circolare del 7 settembre, aggiornata il 23, «si raccomanda prioritariamente l’utilizzo delle formulazioni di vaccini a m-Rna bivalenti» come prima dose di richiamo anche a partire dai 12 anni. Non solo gli adolescenti vengono tuttora invitati a porgere il braccio, sebbene le varianti non stiano dando preoccupazioni, ma dovrebbero pure farsi il booster.
Bastava che le indicazioni fossero rivolte agli over 60 con elevata fragilità, includendo anche i giovani con patologie, per i quali servirebbe un secondo richiamo. Ma consigliare doppio richiamo a tutti, anche se sani e forniti di robusti anticorpi contro il Covid, è privo di ogni fondamento scientifico. In Svezia, le autorità sanitarie raccomandano una dose aggiuntiva agli ultrasessantacinquenni e agli over 18 «che fanno parte di gruppi a rischio», non a tutta la popolazione indiscriminatamente.
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Riduci
Albert Bourla diserterà l’incontro con la commissione d’inchiesta a Bruxelles: doveva riferire sui contratti segreti per i vaccini In ballo c’è pure il mistero dei suoi sms con Ursula von der Leyen, di cui non si trova più traccia. La società manderà un’altra dirigente.La Svezia ferma le iniezioni ai minori: «Bassissimo rischio di casi gravi». Fine della raccomandazione per la fascia 12-17 anni. Che Roberto Speranza insegue con l’ago.Lo speciale comprende due articoli.Puff: si è volatilizzato. Ha alzato i tacchi. Se l’è data a gambe. Albert Bourla, presidente e amministratore delegato di Pfizer, qualche giorno fa era risultato positivo al tampone per la seconda volta in un mese. Ma non è per questo - e men che meno perché non ha ancora ricevuto la punturina anti Omicron - che diserterà l’audizione presso la commissione speciale sul Covid-19 del Parlamento europeo. Lunedì 10 ottobre, il manager grecoamericano era atteso a Bruxelles dai 38 onorevoli che compongono il comitato, per rispondere ad alcune «domande toste» - così le ha definite Politico.eu - sulla questione dei contratti segreti per i vaccini, siglati con l’Ue. E invece, niente: gli eurodeputati parleranno con «altri Ceo», come recita il programma della giornata, ma non con quello del principale venditore di rimedi antivirus al Vecchio continente. Bourla non testimonierà. Pfizer, al posto suo, manderà Janine Small, presidente della sezione dedicata allo sviluppato dei mercati internazionali - e il nostro è piuttosto ghiotto, in effetti. Secondo la casa farmaceutica, costei sarebbe più indicata «a supportare la commissione nel raggiungimento dei suoi obiettivi». Ma che preziosa collaborazione… Difficile, invero, che al colosso dei medicinali sfugga un dettaglio: gli sms privati, da cui sarebbe passata almeno una parte del negoziato sulle forniture, Ursula von der Leyen se li era scambiati con Bourla.Riavvolgiamo il nastro. Nel 2021, il New York Times aveva rivelato che, tra febbraio e marzo di quell’anno, la presidente dell’esecutivo comunitario e il numero uno di Pfizer avevano intrattenuto una fitta corrispondenza via smartphone. Quelle conversazioni sarebbero state determinanti per trovare un accordo sulla consegna delle fiale di Comirnaty all’Ue, in una fase in cui si erano manifestati gravi problemi negli approvvigionamenti delle dosi. Giusto un anno fa, il mediatore europeo, Emily O’Reilly, aveva aperto un’inchiesta sull’accaduto. Anche perché, in seguito a una richiesta di accesso agli atti, la Commissione Ue aveva fatto spallucce, dichiarando di non aver mai archiviato gli sms dell’ex ministro della Difesa tedesco. Un modo di procedere anomalo: in teoria, Bruxelles aveva a disposizione una squadra di negoziatori, capitanata dall’italiana Sandra Gallina. E c’è l’aggravante del mistero che continua ad aleggiare sui contratti firmati con Big pharma. In questa storia, cosa bisognerebbe nascondere? Forse, il team incaricato di procurare i sieri salvifici stava facendo un buco nell’acqua ed è sceso in campo, in sua vece, il pezzo da novanta? È un’ipotesi. In effetti, sulla tecnologia dei vaccini a mRna, la von der Leyen doveva avere una qualche infarinatura. Suo marito, il nobile Heiko von der Leyen, giusto nel 2020 - tempismo perfetto - era andato a lavorare alla Orgenesis, una biotech statunitense che si occupa di terapie geniche. La società, pochi mesi dopo lo scoppio della pandemia, aveva provato a lanciare un suo vaccino a base cellulare. Del quale, a essere onesti, non s’è saputo più nulla. Poche settimane fa, al giallo della trattativa Pfizer-Ursula, si è aggiunto un altro capitolo. Si tratta del caustico report della Corte dei conti europea, che ha ribadito le accuse di scarsa trasparenza alla Commissione, la quale si sarebbe rifiutata di rivelare dettagli cruciali sul modo in cui sono state condotte le contrattazioni. In particolare, mancherebbero i rendiconti delle discussioni con Pfizer, siano essi verbali, nomi degli esperti consultati, o termini degli accordi. Inoltre, a parere della magistratura contabile, «i negoziatori dell’Ue hanno analizzato a fondo le difficoltà insite nella catena di produzione e di approvvigionamento dei vaccini», che si erano manifestate drammaticamente nella primavera del 2021, «soltanto dopo la stipula della maggior parte dei contratti». Una svista che ha facilitato l’affare per i produttori, mentre i compratori continuano a fare incetta di medicinali: le scorte continentali bastano praticamente per dieci iniezioni a testa e, a quelle attualmente disponibili, vanno aggiunti gli ordini di altri milioni e milioni di dosi dei vaccini aggiornati.La presidente della commissione speciale, l’onorevole socialista belga Kathleen Van Brempt, reduce dalla visita al quartier generale di Biontech, ha riferito che «si rammarica molto» per la decisione di Bourla. Davanti agli occhi dei deputati Ue, finora, erano passati diversi funzionari di altissimo rango di Astrazeneca e Sanofi. I veri king maker della risposta farmacologica alla pandemia, dal canto loro, ci tengono a mantenere un profilo basso: meglio che sul ring non salga il peso massimo. L’atto politico e industriale più importante degli ultimi decenni nell’Ue, quindi, rimane avvolto nella nebbia. Il vertice della compagnia che ha ideato il vaccino evita le situazioni che potrebbero metterlo in difficoltà, specie se su di lui sono puntati gli occhi di autorità preposte alla vigilanza. E la Commissione Ue, che sempre si balocca con roboanti proclami sulla trasparenza, mantiene la linea dell’opacità: contratti segreti, conversazioni occultate, messaggini spariti. Peccato: il vaccino contro l’ipocrisia non l’hanno ancora inventato. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-capo-di-pfizer-fugge-dalleuroparlamento-2658370645.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-svezia-ferma-le-iniezioni-ai-minori-bassissimo-rischio-di-casi-gravi" data-post-id="2658370645" data-published-at="1664681050" data-use-pagination="False"> La Svezia ferma le iniezioni ai minori: «Bassissimo rischio di casi gravi» In Svezia, dal 31 ottobre, le vaccinazioni anti Covid non saranno più raccomandate in fascia 12-17 anni. Folkhälsomyndigheten (Fohm), l’agenzia per la salute pubblica, l’ha annunciato sul suo portale: «Il motivo è il bassissimo rischio di malattie gravi e di morte per Covid-19 nei bambini e nei giovani», spiegano gli esperti scandinavi. Dal primo novembre, l’inoculo verrà consigliato solo ai giovanissimi con particolari fragilità. C’è già un bel segnale positivo, dunque, dopo la svolta a destra della Svezia dello scorso 11 settembre. Ieri, Greta Thunberg ha manifestato a Stoccolma in sostegno ad «antifascismo, antirazzismo e giustizia climatica», senza spendere una parola in difesa della salute dei coetanei più giovani, ai quali per fortuna stanno pensando le massime autorità sanitarie svedesi. La puntura ai ragazzini sani non ha più senso. Per loro, il Covid «può essere considerato un comune virus respiratorio», hanno stabilito al Fohm, d’accordo con l’Associazione pediatrica svedese. Durante la pandemia, pochi bambini e giovani si sono ammalati gravemente di Covid-19 «e hanno avuto bisogno di cure», sostiene Sören Andersson, capo unità dell’Agenzia per la salute pubblica. Con la variante Omicron i sintomi sono sempre più lievi negli adolescenti sani, inoltre «l’immunità in questa fascia è molto alta». Quindi stop a ormai inutili raccomandazioni, che varranno unicamente per i soggetti ritenuti più sensibili alle infezioni respiratorie, in generale, o con un sistema immunitario significativamente ridotto. Non si pensi che la Svezia abbia smesso di monitorare la situazione sanitaria dovuta al Covid, tutt’altro, visto che nel Paese si sta registrando un aumento, anche se sostenuto, di nuovi contagi. Però gli esperti, quelli veri, aggiornano le raccomandazioni in base ai dati epidemiologici e se «le attuali conoscenze sul virus e sulla malattia suggeriscono che le varianti del virus stanno diventando sempre più lievi per i bambini e i giovani sani», lo dicono ai genitori. Mica fanno come in Italia. Senza dimenticare che in Svezia la vaccinazione contro il Covid-19 non è raccomandata per i bambini di età inferiore ai 12 anni. «Più piccolo è il bambino, minore è il rischio», dichiara il Fohm, che ha deciso di aspettare a inoculare le creature dai 5 agli 11 anni. «L’incidenza della malattia è sempre stata bassa per i bambini sotto i 12 anni, fascia in cui non abbiamo mai vaccinato», ha precisato Andersson. Solo se soffrono di gravi patologie e sono considerati soggetti a rischio, viene offerto loro il vaccino. Interessante è anche vedere come la Svezia sta affrontando la questione dei giovani che, comunque, volessero ricevere il vaccino anti Covid. «È qualcosa su cui stiamo ragionando e che dovremo affrontare prima di novembre», afferma Sören Andersson. Come dire, se non è raccomandato, quando decade l’opportunità sotto il profilo sanitario forse non verrà nemmeno più inoculato. Ha ben altro atteggiamento il nostro ministero, purtroppo ancora nelle mani di Roberto Speranza (speriamo per poco). Nella circolare del 7 settembre, aggiornata il 23, «si raccomanda prioritariamente l’utilizzo delle formulazioni di vaccini a m-Rna bivalenti» come prima dose di richiamo anche a partire dai 12 anni. Non solo gli adolescenti vengono tuttora invitati a porgere il braccio, sebbene le varianti non stiano dando preoccupazioni, ma dovrebbero pure farsi il booster. Bastava che le indicazioni fossero rivolte agli over 60 con elevata fragilità, includendo anche i giovani con patologie, per i quali servirebbe un secondo richiamo. Ma consigliare doppio richiamo a tutti, anche se sani e forniti di robusti anticorpi contro il Covid, è privo di ogni fondamento scientifico. In Svezia, le autorità sanitarie raccomandano una dose aggiuntiva agli ultrasessantacinquenni e agli over 18 «che fanno parte di gruppi a rischio», non a tutta la popolazione indiscriminatamente.
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Riduci
Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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