
Il capo della Lega ha ribaltato il tavolo sparando a zero sull'alleato e minacciando una rottura mai così vicina. La chiave è la frattura del Pd, con Matteo Renzi che avversa alleanze con il M5s. Ai dem, così, mancano i numeri per l'inciucio. Ecco perché il lumbard può forzare.Con la storia dei fondi russi, gli alleati erano convinti di avere trovato il modo di metterlo in gabbia e di poterlo finalmente domare con lo spauracchio del governo tecnico, di cui tutti ormai parlano senza più avere il pudore di nascondersi. Ma Matteo Salvini, dopo un paio di giorni passati a difendersi dalla storia oscura del Metropol di Mosca, alla fine ha ribaltato il tavolo, passando all'attacco fino a far balenare una crisi di governo. Il capitano leghista non ha usato mezze parole, né circonlocuzioni, ma è andato dritto al punto: è venuta meno la fiducia, anche personale. Già in passato aveva pronunciato una frase simile, ma in campagna elettorale e, come si sa, per racimolare voti ogni mezzo è buono, anche spararla grossa. Questa volta, però, Salvini non è a caccia di consenso. Anzi, fino a ieri più che un cacciatore sembrava la preda: un animale braccato dagli avversari e anche dagli alleati, con la stampa alle calcagna a interrogarlo su Savoini e la squinternata compagnia di giro che l'ex portavoce del Carroccio si era portato al seguito nella capitale russa. Ma all'improvviso, quando forse i suoi inseguitori meno se l'aspettavano, il capitano leghista ha invertito i ruoli, cominciando a sparare colpi su colpi in direzione di Luigi Di Maio e compagni, i fratelli coltelli che speravano di tagliargli la gola.C'è da chiedersi come gli sia riuscito questo ribaltamento del tavolo, quando tutti cominciavano a pensare che fosse spacciato. Soprattutto, c'è da interrogarsi su che cosa lo abbia convinto di avere la possibilità di reagire, quando fino al giorno prima la minaccia di una crisi e la nascita di un governo tecnico al posto di quello Lega-5 stelle pareva avergli tolto la forza guadagnata con il voto del 26 maggio. La risposta, secondo noi, ha un nome e cognome e, per quanto poco vi piaccia, si chiama Matteo Renzi. Già, proprio il Bullo, l'uomo che forse meno di tutti quelli che calcano la scena della politica può essere considerato un alleato di Salvini. Eppure, paradossalmente, il senatore semplice di Scandicci in questa vicenda è riuscito a rafforzare il Capitano leghista proprio nel momento in cui pareva essere stato messo con le spalle al muro.Se avrete la pazienza di seguirmi ancora per qualche istante, cercherò di spiegare perché penso che l'ex presidente del Consiglio sia stato determinante in questa faccenda e perché, seppur involontariamente, abbia dato una mano a Salvini, facendolo uscire dall'angolo in cui l'avevano ficcato Di Maio e Giuseppe Conte. Come ho scritto l'altro ieri, il vicepremier leghista, pur avendo raddoppiato i voti prosciugando alle europee sia i grillini che Forza Italia, temeva che una crisi di governo non ci avrebbe portato dritti al voto, ma solo a un governo tecnico, cioè a un'ammucchiata in nome della Patria, con un esecutivo appoggiato da tutti, destra e sinistra comprese. Insomma, pur essendo diventato il primo partito, se lo scenario si fosse realizzato, Salvini si sarebbe trovato all'opposizione e con una traversata nel deserto della minoranza lunga almeno tre anni, un periodo che può logorare chiunque e in cui soprattutto può succedere qualsiasi cosa, inchieste giudiziarie comprese. Il capitano leghista temeva cioè di fare la fine del Cavaliere nel 1994: una volta disarcionato da Umberto Bossi, si dovette rassegnare a stare in un angolo, sotto il tiro della magistratura, fino a quando rivinse le elezioni nel 2001.Ma mentre rimuginava su ciò che capitò a Silvio Berlusconi per non farsi fregare, ecco spuntare Renzi, il quale tutto vuole tranne che stringere un patto con i grillini. Fin dal primo giorno della sconfitta alle politiche, l'ex segretario del Pd si è dato da fare per sabotare qualsiasi accordo con i 5 stelle, convinto che un'intesa con Di Maio e compagni sarebbe non solo un suicidio politico che riempirebbe di voti la bisaccia di Salvini, ma rappresenterebbe soprattutto la morte sua, perché tornare e riprendersi il partito per poi accoppiarsi con Forza Italia non sarebbe più possibile. Perciò il senatore semplice di Scandicci, di fronte all'ipotesi di un'alleanza fra Pd e grillini, non è stato zitto, ma ha mobilitato le truppe per affossare l'operazione. Senza tutti i voti dei parlamentari del Partito democratico, un governo tecnico con tendenza pentastellata ovviamente sarebbe impossibile. Già ora i numeri sono risicati e si dovrebbe andare in cerca di qualche soccorso azzurro, ma così l'impresa rischia di essere impossibile.Tutto ciò Salvini lo ha capito e così, da preda in trappola, si è trasformato in cacciatore, alzando i toni e minacciando la crisi. A dargliene l'occasione è stato il voto grillino a favore di Ursula von der Leyen, una mossa che non solo ha messo in sella una pupilla della Merkel, ma che si è accodata a quella del Pd e di Forza Italia, consentendo al capitano leghista di attaccare la nuova maggioranza che si è creata a Bruxelles. A questo punto il ministro dell'Interno andrà fino in fondo e provocherà la caduta del governo Conte? Difficile dirlo. Forse si accontenterà di stringere ancora un po' il lazo intorno al collo di Di Maio e del presidente del Consiglio, facendo passare le cose che gli premono, come autonomia, sicurezza e flat tax. Ce la farà o spunterà da sotto il tavolo qualche altra registrazione tipo quella del Metropol? Lo sapremo presto.
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