2020-04-03
Conte e Pd scaricano le loro colpe
La Regione ha commesso errori ma affibbiarle quelle degli altri, i no alle zone rosse, alle mascherine e ai tamponi, è pretestuoso.Fuoco alle polveri. Concentrico, chirurgico ma non imprevedibile arriva l'attacco alla Regione Lombardia. Era nell'aria da tempo, ma dopo l'apertura dell'ospedale in Fiera a Milano (dieci giorni per allestirlo, tutto selfmade, esempio mondiale di efficienza) il centrosinistra di lotta e di governo deve avere sincronizzato gli orologi. Il premier Giuseppe Conte, i sindaci lombardi del Pd (Giuseppe Sala e Giorgio Gori in testa) e alcuni media compiacenti (Il Fatto e Il Corriere della Sera) hanno scatenato un'offensiva senza precedenti per provare ad addossare il coronavirus italiano sulle spalle della principale vittima, quella con 7.600 morti, la Lombardia. Neppure un giorno dopo il messaggio ai bergamaschi del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella («Sono orgoglioso di questa Italia»), affidato non a caso al governatore Attilio Fontana in visita all'ospedale da campo degli alpini, è partita la blitzkrieg. La prima cannonata è di Conte: «Se la Lombardia voleva la zona rossa nella bergamasca poteva disporla». Una dichiarazione che contraddice i reiterati no di Palazzo Chigi nei giorni del braccio ferro a inizio marzo. Un'uscita alla quale si accodano i sindaci del Pd lombardi con una lettera d'accusa: «Quando arrivano le mascherine? Cosa fa la Regione per proteggere il personale sanitario? Perché non vengono sottoposti a tampone i sintomatici e i familiari? Perché la Lombardia non ha avviato la sperimentazione di test sierologici come Veneto ed Emilia?». Il governatore Fontana subodora la trappola e replica con veemenza. Al premier: «Lui che è un fine giurista deve darmi due risposte. Come faccio io che non ho titoli a bloccare un diritto costituzionale protetto? Anche se avessi disposto la zona rossa, con che forze dell'ordine avrei potuto chiuderla? Questo è un tentativo di scaricare le sue responsabilità». Ai sindaci piddini: «Bieca speculazione politica; è un modo irresponsabile di comportarsi per chi ricopre un ruolo istituzionale. Agiremo secondo le indicazioni della scienza. Se non ci fossimo mossi noi ad acquistare materiale in autonomia avremmo chiuso gli ospedali dopo due giorni».Il tentativo di scaricare sul Pirellone ogni fattore negativo si intuisce già il 7 marzo, sera del primo decreto di parziale isolamento del Paese, quando Conte giustifica il caos sui treni per il Sud con una generica «fuga di notizie» attribuita dal Fatto, dai troll dem e grillini proprio all'entourage di Fontana. A smontare la bufala ci pensano la Cnn con una smentita e La Stampa con una ricostruzione impeccabile degli eventi. Anche sulle mascherine il premier tenta di smarcarsi («Se non si trovano è colpa delle Regioni») dimenticandosi di avere egli stesso nominato un commissario per l'approvvigionamento, Domenico Arcuri, per procurarle o confiscarle. Con un doppio smacco: quelle confiscate erano già destinate a ospedali italiani e, parola dell'Arcuri medesimo, «l'altra metà arriverà a emergenza finita». Il punto centrale dello scontro fra Palazzo Chigi e il Pirellone è la zona rossa negata a Bergamo. Qui basta ricostruire i fatti con onestà. A inizio marzo, con i contagi che si moltiplicano - anche a causa del #bergamononsiferma con i Pinguini Tattici Nucleari e degli inviti del sindaco Gori ad andare «in pizzeria da Mimmo» in Città Alta -, i sindaci della Val Seriana chiedono una zona arancione. Rossa no perché Confindustria è contraria. Come ricorda il primo cittadino di Alzano Lombardo, Camillo Bertocchi: «Capivamo la necessità di blindarci». Conte temporeggia (lo farà per otto giorni) ma il borbottio nelle Gallie inquieta il governo, anche perché Fontana sta con chi protesta. Fra il 2 e il 3 marzo viene protocollata e inviata ai sindaci una circolare del prefetto di Bergamo, Elisabetta Margiacchi, nella quale si ricordano i «poteri dei sindaci in materia di ordinanze contingibili ed urgenti». È un invito a rispettare le prerogative dello Stato e a non varare provvedimenti impugnabili. È improbabile che il Viminale sia estraneo al richiamo.Sul tema c'è una seconda testimonianza che inchioda il premier Conte. Il 10 marzo Fontana, tutti i sindaci lombardi (quindi anche Sala, Gori e Del Bono che oggi sono preda di amnesie) e il rappresentante regionale dell'Anci, Mauro Guerra (sempre Pd), condividono una lettera con la quale chiedono la zona rossa per tutta la Lombardia, quindi anche per Bergamo. Il gesto è una smoking gun: l'unica istituzione non ancora allineata è il governo, ma senza il governo non si fa nulla. Il commissario della Protezione civile, Angelo Borrelli, risponde così: «Vedremo nei prossimi giorni». Per lui si potrebbe aspettare ancora. L'11 marzo arriva il decreto «Io sto a casa» per l'Italia intera. Pur con un numero di contagiati tre volte superiore, la Lombardia ha dovuto aspettare gli altri.«Dove sono le mascherine? Dove sono i tamponi?». A dare man forte a Conte nella pressione a Fontana adesso arrivano Sala e Gori. Sappiamo che le mascherine costituiscono il buco nero della task force di Arcuri. Ma mentre i piccoli paesi si organizzano da soli, il sindaco di Milano si dedica all'approvvigionamento di pennarelli per far colorare gli album ai bambini. Sui tamponi il ministro della Salute, Roberto Speranza, e il suo consulente dell'Oms, Walter Ricciardi, hanno cambiato idea quattro volte in un mese. Nessuno può accusare a cuor leggero altri senza rischiare il boomerang. Sala ha tagliato le corse della metro a Milano il 13 marzo, costringendo i lavoratori a concentrarsi in piena emergenza. E Gori voleva intestarsi l'ospedale da campo usando i medici sfiniti del Papa Giovanni. Non è un caso che parta dopo l'arrivo dei rinforzi dal resto d'Italia. Questo non significa che la Regione Lombardia non abbia commesso errori e non debba condividere le responsabilità. Ma affibbiarle quelle degli altri è pretestuoso. Quando Sala parla di «modelli diversi da uniformare e centralizzare» cogliamo il profilo del bersaglio grosso: il modello Lombardia, eccellenza internazionale invidiata in tutta Europa che la sinistra statalista, cavalcando orrendamente il contagio, vorrebbe smantellare. In questo contesto spicca un'intervista del Corriere della Sera all'ennesimo virologo (c'è sempre un virologo esperto in virate) Giorgio Palù che celebra la strategia veneta e critica quella lombarda dell'ospedalizzazione diffusa, fiore all'occhiello che da 30 anni attrae pazienti da tutta Italia. «Hanno ricoverato tutti. La scelta di trasferire i malati dall'ospedale di Codogno ad altre strutture si è rivelata infelice. Tutti dentro, invece dovevano tenerne fuori il più possibile». Per sentirsi dire da qualche suo esimio collega che facevano morire le persone in casa.
«Murdaugh: Morte in famiglia» (Disney+)
In Murdaugh: Morte in famiglia, Patricia Arquette guida il racconto di una saga reale di potere e tragedia. La serie Disney+ ricostruisce il crollo della famiglia che per generazioni ha dominato la giustizia nel Sud Carolina, fino all’omicidio e al processo mediatico.