2020-12-09
Il Bullo capeggia l’assalto a Conte con le spalle coperte da grillini e Pd
Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti condividono le bordate di Matteo Renzi a Giuseppi: se va avanti con la task force per i fondi Ue, gli alleati lo scaricheranno. I nomi per il rimpasto ci sono già e il capo dello Stato non si metterà di traverso. Altro che Mes o non Mes: il giorno del giudizio, per Giuseppe Conte, sta per arrivare, e stavolta il premier non si troverà a dover affrontare qualche scalcagnata fronda grillina, ma l'intera sua maggioranza. Sul Recovery plan, infatti, Conte dovrà decidere se è meglio abbassare la cresta, anzi il ciuffo, o fare le valigie dicendo addio a Palazzo Chigi. Secondo quanto apprende La Verità da fonti di primo livello, infatti, le bordate di Matteo Renzi, che sta cannoneggiando Conte sulla governance del Recovery plan, sono apprezzate dalla stragrande maggioranza del M5s e pure dal Pd. Proprio così: Renzi sta vestendo i panni dell'incursore, ma ha le spalle stracoperte: sia Luigi Di Maio sia Nicola Zingaretti condividono al 100% le critiche a Conte, e si preparano non solo a chiedere un robusto rimpasto, ma anche a spingere fino alla fine sull'acceleratore per convincere Giuseppi a rinunciare al suo proposito di affidare al solito esercito di tecnici la gestione dei 196 miliardi di fondi europei destinati all'Italia. Non è un caso se ieri Renzi ha passato l'intera giornata a minacciare Conte senza che nessuno dei big di Pd o M5s gli rispondesse difendendo il premier. «Conte», attacca Renzi su Radio radicale, «sulla cabina di regia sta facendo un errore che può evitare fermandosi. Non credo che il premier vada avanti, credo che cambierà idea. A meno che non abbia accordi con altri, cioè se ha una maggioranza che non conosciamo. Secondo me Conte non si impunta, se lo fa il parlamento è sovrano. Il mio appello a Conte è a fermarsi», aggiunge Renzi, «perché fa del male al governo. Gliel'ho detto personalmente. Alla fine della legge di bilancio, a gennaio, si convoca il Parlamento per una sessione ad hoc, si propongono le idee della maggioranza e si ascoltano quelle dell'opposizione. Alla fine, si decide chi spende i soldi e come. Non direi: Conte stai sereno», ironizza Renzi, «l'ultima volta non ha portato bene: è un'espressione che ho già bandito. La struttura di Conte pensa a moltiplicare le poltrone», dice ancora Renzi al Tg2, «ma non va a dare una mano ai disoccupati, ai negozi chiusi, a chi soffre. Se le cose rimangono come sono voteremo contro. Per noi un ideale vale più di una poltrona. Circa il rischio di una rottura, spero proprio di no, ma temo di sì». Dicevamo: Renzi bombarda Conte e nessuno gli risponde, tranne don Vito Crimi, quasi ex capo politico del M5s: «In vista del nuovo anno», dice Crimi, «è fondamentale mettere a punto una struttura efficiente e qualificata per la gestione delle ingenti risorse del Recovery plan e le discussioni e polemiche in corso non sono certo di aiuto, perché finiscono con lo svilire un lavoro che viene portato avanti con accuratezza ed equilibrio». È l'eccezione che conferma la regola: se l'unico difensore di Conte e della sua megalomania è Crimi, che ormai viene considerato un parlamentare semplice da tutto il M5s, significa che Giuseppi è rimasto solo.«La stragrande maggioranza di parlamentari e ministri del M5s», confida una fonte parlamentare assai bene informata, «è totalmente contraria all'idea di Conte di esautorare governo e Parlamento dalla gestione del Recovery. Basta con i tecnici, basta con i superconsulenti: ci vuole una gestione politica. Conte vuole replicare quello che ha fatto sulla pandemia: si è nascosto dietro il Comitato tecnico scientifico, i superconsulenti, i supercommissari, pensando di decidere tutto senza assumersi responsabilità. Sappia», aggiunge la fonte, «che anche sul rimpasto farà bene a smetterla di opporsi: o si cambiano i ministri, o cambiamo lui».In fondo sostituire Giuseppi anche in piena pandemia non è più considerato un tabù da nessuno, neanche dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, che da fedele custode della Costituzione, se Conte venisse sfiduciato, non ostacolerebbe la nascita di un nuovo esecutivo, guidato da un nuovo premier, purché, naturalmente, sostenuto da una maggioranza politica coesa e numericamente autosufficiente. Se la sindrome di onnipotenza, fondata sul nulla, abbandonerà Giuseppi, allora il presidente del Consiglio potrà anche andare avanti. Naturalmente, accettando il rimpastone, che Conte teme perché sa che quando si apre una crisi, non si sa mai dove si va a finire, ma che alla fine ingoierà pur di restare incollato alla poltrona di Palazzo Chigi. Il Conte ter vedrà l'addio di Alfonso Bonafede, in rotta di collisione con i parlamentari M5s: al suo posto, al ministero della Giustizia, arriverà il vicesegretario dem Andrea Orlando, già guardasigilli nei governi guidati da Renzi e Paolo Gentiloni. Confermato agli Esteri Luigi Di Maio, che tornerà ad essere capodelegazione del M5s: Giggino negli ultimi giorni ha indossato i panni del democristiano doc per risanare la frattura con la fronda no Mes. Italia viva incasserà la poltrona di ministro della Innovazione tecnologica con Ettore Rosato al posto di Paola Pisano (M5s). Il Pd ha già deciso di sostituire il ministro dei Trasporti, Paola De Micheli, con l'attuale capogruppo dem alla Camera, Graziano Delrio.
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