2018-10-13
Il bugiardo seriale che ha sempre fallito
Il commissario Ue per l'Economia Pierre Moscovici mentì anche sul padre. Disse che nel 1937 era fuggito dalla Romania e dal fascismo Invece scappò nel 1947 dai sovietici. Da ministro francese proclamò il rigore, ma sforò regolarmente il rapporto deficit/PilÈ nei dettagli che emerge quant'è birba Pierre Moscovici, il commissario Ue per l'Economia. Ricorderete quando un mese fa disse che in Europa crescevano dei «piccoli Mussolinì», con l'accento sulla i alla francese, la sua lingua. Alludeva a Matteo Salvini, oltre che all'ungherese Viktor Urban. Fatta la battutaccia, cominciò a piangersi addosso. Sono, disse, figlio di immigrati ebrei, madre di origine polacca, papà rumeno, e conosco bene l'ansia dei perseguitati che anelano all'accoglienza di un libero paese. Poiché aveva evocato l'ombra del fascismo, disse che il padre Serge (1925-2014) ne era stato bersaglio. In Romania, dove è nato, aveva vissuto l'incubo dei pogrom e della Guardia di ferro. Finché, nel 1937, riuscì a scappare, trovando asilo in Francia. Col sottinteso che se a Parigi, all'epoca, ci fosse stato un Salvini, col piffero che il babbo salvava la ghirba. Ora la vera storia di Serge Moscovici, che nella seconda patria francese divenne un importante psicosociologo, è un'altra, rispetto a quella falsata dal figlio per avvalorare la sciocchezzuola sui «petits Mussolinì». Serge, infatti, non giunse in Francia nel 1937 ma nel 1948. Durante l'adolescenza rumena, negli anni Trenta, era effettivamente antifascista e comunista ma rimase a casa sua. Fuggì invece a gambe levate quando nel 1947, arrivati i sovietici, re Michele abdicò in dicembre e fu proclamata la repubblica popolare. Serge fece fagotto e, giusto in tempo, attraversò la cortina di ferro per approdare da questa parte del mondo mettendo 5.000 chilometri tra sé e Stalin.Che dobbiamo pensare di Pierre Moscovici capace di stravolgere una vicenda intima per un po' d'antifascismo d'accatto? E cosa della stampa francese che, pur conoscendo la realtà, ha avvalorato il trucco? La risposta è che Moscovici (che una settimana fa ci è ricascato, tacciando il governo Conte di xenofobia) e i suoi sodali sono pronti alle sassate pur di affossare l'Italia «ribelle» dei populisti. Calunniate, calunniate, qualcosa resterà. Chiarito il tipetto, addentriamoci nella sua storia. Dal novembre 2014, Pierre è il supremo responsabile dell'economia Ue. Voi direte: sarà un genio delle ascisse se gli hanno affidato il benessere dell'Europa. Bè, è il solito enarca francese, col suo bagaglio di idee fisse. Nato a Parigi nel 1957 dalla già accennata famiglia intellettuale di sinistra, il ragazzo fu trozkista al liceo. Si stinse poi nel Ps su influsso di Dominique Strauss-Kahn suo insegnante all'Ena. Strauss-Kahn è l'ex presidente del Fmi che la cameriera di un hotel americano accusò di focose attenzioni, condannando il cascamorto a un ostracismo che dura tutt'ora. Da socialista, Pierre seguì la carriera di partito. Si mise sulla scia di Lionel Jospin e a 40 anni fu suo ministro per gli Affari europei. Era già stato segretario nazionale del Ps a 33 anni, il più giovane di sempre; poi tesoriere, già più maturo, perché i soldi sono cosa seria. Tra il 1994 e il 2007, fu 2 volte deputato europeo e altrettante deputato nazionale. Ha saltabeccato tra i 2 parlamenti, mollando a metà gli incarichi pur di cumularli tutti, in barba agli elettori. Tramontato Jospin, si è appiccicato a François Hollande, l'astro nascente. Fu l'incidente di Strauss-Kahn, che prima dello stupro era il socialista più in auge, a fare emergere Hollande. All'inizio, legato com'era a Strauss, Pierre sostenne lui a scapito di François. Meditò addirittura di contendergli nel 2012 la candidatura all'Eliseo, il cui inquilino, Nicolas Sarkozy, era nel pallone. Strada facendo, Pierre rinunciò però al progetto, piegandosi a Hollande. Addirittura si offrì di organizzargli la campagna elettorale. Spiegando le ragioni del ritiro, la buttò sui tormenti dello spirito. Disse: «Qualcosa mi è mancato. Infatti, per andare fino in fondo nell'ambizione, bisogna non avere voglia di tornare la sera a casa a leggere e vedere gli amici. Hollande quando rientra continua a fare politica e quando si sveglia sente la radio per sapere le ultime. Io no. Resto attaccato al mondo intellettuale dei miei genitori». Ossia, io ho un'anima, l'altro è un mentecatto. Il mentecatto lo premiò per i servigi elettorali - far trangugiare Hollande ai francesi, fu una grossa impresa - nominandolo ministro dell'Economia del governo Ayrault. È l'infelice gabinetto cui toccò varare l'imposta del 75 % pretesa da Hollande sui redditi oltre il milione. Moscovici, che oggi ci predica di abbassare le tasse piuttosto che alzare il deficit, fu un applicatore draconiano di quel balzello che spinse l'attore, Gerard Depardieu, a strappare il passaporto e farsi suddito di Vladimir Putin.Da ministro, Moscovici fallì su tutta la linea. Proclamò il rigore, come fa tutt'oggi, ma sforò sempre il rapporto deficit Pil: 4,8 nel 2012, 4,1 nel 2013, 3,9 nel 2014. Mi chiedo con che faccia spari oggi a pallettoni sul nostro 2,4. I risultati complessivi del biennio furono due. Una mazzata di 52 miliardi di nuove imposte; l'impoverimento senza precedenti della classe media francese. Hollande, che pure aveva le sue colpe, capì che era troppo. Ne fece il capro espiatorio e lo rimosse. Cacciato dal ministero per salvare la Francia, fu rifilato a Bruxelles per impiombare l'Ue. Di lì, Moscovici usa da un quadriennio due pesi e due misure: severo coi mediterranei, di manica larga col conterraneo Emmanuel Macron. Un nome che cade a fagiolo a questo punto della storia.Moscovici e Macron, gemelli per un verso, entrambi socialisti ed ex ministri dell'Economia, sono però due opposti psicosessuali. Emmanuel è sposato con Brigitte di 24 anni più anziana. Pierre è uno che le donne neanche le guarda se non sono scambiate per sue figlie. Scapolo impenitente, un amico ha detto di lui: «Non l'ho mai visto non tampinare una bella ragazza in una festa». A 51 anni, nel 2008, si fiondò su una ragazzina di 20, Marie-Charlie Pacquot, e la svezzò per 6 anni. Le regalò un gatto, Hamlet, che le lasciò quando la mise fuori casa per mettersi con una «figlia» più grande, Michelle Bastéri, 22 anni meno di lui. L'aveva conosciuta al ministero delle Finanze, rue de Bercy, di cui la signora era consulente. Dopo una breve convivenza, Pierre ha abdicato, impalmandola nel 2015. Quest'anno a giugno hanno avuto un bambino, Joseph, di cui, a 61 anni, Moscovici potrebbe essere il nonno. Il nucleo familiare intergenerazionale ricorda «Le tre età» di Gustav Klimt.Come tutte le persone che incanutiscono - frase fatta, data la calvizie -, Pierre rimpiange il passato ma al modo delle élite di Parigi. «La Francia», ripete spesso, «è stata una speranza per l'immigrazione. Oggi invece si sente invasa e declassata, quando non è né invasa né declassata». In più, serpeggia l'antieuropeismo. «Bisognerebbe fare una psicanalisi collettiva dei francesi», conclude. Attentati, banlieu bruciate, islamismo integralista che straborda, nemmanco lo sfiorano. Si è pure detto addolorato per il padre che ha assistito alla crescita dell'antisemitismo prima di morire. Ma neppure questo gli è bastato per fare 2 più 2. Al ministro Giovanni Tria, che dovrà discutere di cifre con questo sordo, consiglierei di infilargli un Amplifon nelle tube di Eustachio.
Federico Cafiero De Raho (Ansa)
(Totaleu)
Lo ha detto l'eurodeputato di Fratelli d'Italia Paolo Inselvini alla sessione plenaria di Strasburgo.
Giornata cruciale per le relazioni economiche tra Italia e Arabia Saudita. Nel quadro del Forum Imprenditoriale Italia–Arabia Saudita, che oggi riunisce a Riyad istituzioni e imprese dei due Paesi, Cassa depositi e prestiti (Cdp), Simest e la Camera di commercio italo-araba (Jiacc) hanno firmato un Memorandum of Understanding volto a rafforzare la cooperazione industriale e commerciale con il mondo arabo. Contestualmente, Simest ha inaugurato la sua nuova antenna nella capitale saudita, alla presenza del vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani.
L’accordo tra Cdp, Simest e Jiacc – sottoscritto alla presenza di Tajani e del ministro degli Investimenti saudita Khalid A. Al Falih – punta a costruire un canale stabile di collaborazione tra imprese italiane e aziende dei Paesi arabi, con particolare attenzione alle opportunità offerte dal mercato saudita. L’obiettivo è facilitare l’accesso delle aziende italiane ai mega-programmi legati alla Vision 2030 e promuovere partnership industriali e commerciali ad alto valore aggiunto.
Il Memorandum prevede iniziative congiunte in quattro aree chiave: business matching, attività di informazione e orientamento ai mercati arabi, eventi e missioni dedicate, e supporto ai processi di internazionalizzazione. «Questo accordo consolida l’impegno di Simest nel supportare l’espansione delle Pmi italiane in un’area strategica e in forte crescita», ha commentato il presidente di Simest, Vittorio De Pedys, sottolineando come la collaborazione con Cdp e Jiacc permetterà di offrire accompagnamento, informazione e strumenti finanziari mirati.
Parallelamente, sempre a Riyad, si è svolta la cerimonia di apertura del nuovo presidio SIMEST, inaugurato dal ministro Tajani insieme al presidente De Pedys e all’amministratore delegato Regina Corradini D’Arienzo. L’antenna nasce per fornire assistenza diretta alle imprese italiane impegnate nei percorsi di ingresso e consolidamento in uno dei mercati più dinamici al mondo, in un Medio Oriente considerato sempre più strategico per la crescita internazionale dell’Italia.
L’Arabia Saudita, al centro di una fase di profonda trasformazione economica, ospita già numerose aziende italiane attive in settori quali infrastrutture, automotive, trasporti sostenibili, edilizia, farmaceutico-medicale, alta tecnologia, agritech, cultura e sport. «L’apertura dell’antenna di Riyad rappresenta un passo decisivo nel rafforzamento della nostra presenza a fianco delle imprese italiane, con un’attenzione particolare alle Pmi», ha dichiarato Corradini D’Arienzo. Un presidio che, ha aggiunto, opererà in stretto coordinamento con la Farnesina, Cdp, Sace, Ice, la Camera di Commercio, Confindustria e l’Ambasciata italiana, con l’obiettivo di facilitare investimenti e cogliere le opportunità offerte dall’economia saudita, anche in settori in cui la filiera italiana sta affrontando difficoltà, come la moda.
Le due iniziative – il Memorandum e l’apertura dell’antenna – rafforzano dunque la presenza del Sistema Italia in una delle aree più strategiche del panorama globale, con l’ambizione di trasformare le opportunità della Vision 2030 in collaborazioni concrete per le imprese italiane.
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