2021-01-11
Altra censura. Stampa e dem misurano il bavaglio
Donald Trump bloccato sulle piattaforme di una Rete ormai in mano a poche aziende private politicamente schierate. E la sinistra esulta per gli spazi di libertà sempre più ridotti.L'abbiamo finalmente sotto gli occhi la straordinaria libertà offerta dalla rivoluzione digitale. Anni fa ci dicevano che i social network e il Web avrebbero consentito di abbattere regimi dittatoriali e dare finalmente voce al popolo, sostenendo rivoluzioni democratiche. Ebbene, oggi i social network e la Rete sono il regime dittatoriale. O, comunque, sono lo strumento principe del potere, le armi più affilate del capitalismo di sorveglianza.Uno dopo l'altro, i giganti della Silicon Valley hanno srotolato attorno a Donald Trump e ai suoi sostenitori un bel cordone sanitario. The Donald è stato bloccato su Instagram e Facebook, poi su Twitter. La scusa ufficiale è che si deve impedirgli di fomentate altre sommosse: così si chiude la bocca a un uomo votato da milioni di americani, e portavoce - pur con tutti i suoi difetti e le sue mancanze - delle istanze di un intero universo culturale. Ma non era ancora sufficiente. I Grandi Fratellini digitali dovevano completare l'opera e fare terra bruciata ovunque Trump potesse trovare spazi di dialogo con il suo popolo. Apple, Amazon e Google hanno deciso così di rimuovere dai loro server anche un altro social, Parler, molto utilizzato dalla destra americana e ovviamente da The Donald. Con questa mossa, Parler è stato di fatto condannato alla scomparsa o, nella migliore delle ipotesi, a un fortissimo ridimensionamento. Capite bene che qui il punto non è condividere o meno le posizioni di Trump o apprezzare i suoi comportamenti. Il punto è che se a gestire la comunicazione a livello mondiale sono aziende private le quali agiscono in base a regole proprie e sostanzialmente insindacabili, si pone un gigantesco problema di libertà di espressione e di democrazia. Non solo negli Usa, ma nel mondo intero. Eppure, anche dalle nostre parti, c'è chi esulta per la mordacchia imposta ai perfidi populisti. Ieri, Gianni Riotta su La Stampa ha spiegato che quella dei colossi digitali non è stata «censura, [...] ma tardiva azione di autodifesa, per evitare ulteriori tragiche violenze e conseguenze dirette agli azionisti». Poi l'insigne editorialista ha concluso: «Non parlate dunque di censura, non prendetevela esclusivamente con le, pur complici, piattaforme: la tragedia che viviamo coinvolge tutti i media, nessuno escluso, e tutti dobbiamo reagire perché non si ripeta». Chiaro: bisogna censurare ogni sussurro sconveniente, che le destre non trovino più spiragli. Persino Roberto Saviano è riuscito a mostrarsi più liberale. «Giusto sospendere l'account di Trump? Verrebbe da dire di sì incondizionatamente», ha scritto sui social. «Eppure, che a decidere per questioni così vitali per la democrazia siano i colossi dei social media solleva più di un interrogativo». Già: finché si censura l'odioso nemico destrorso va tutto bene. Ma se un domani la mordacchia dovesse allargare il tiro? Questi commenti svelano il vero volto dei «democratici» di casa nostra. A parole sono pronti a celebrare la libertà d'espressione; ultimamente hanno pure preso l'abitudine di scagliarsi contro gli eccessi del politicamente corretto (di cui sono tuttavia i primi responsabili). Ma se di mezzo ci sono i sovranisti cattivi, allora ogni pietà svanisce. Chi professa idee di destra non è un avversario da rispettare, bensì un criminale da mettere ai ceppi, una malattia da estirpare. Censurare Trump diventa così un gesto di autodifesa. Processare Matteo Salvini per aver fatto ciò che prometteva (chiudere i confini) diventa un atto di giustizia. Stracciare un cartellone sgradito, respingere una domanda impertinente, togliere di mezzo un libro «scorretto»: tutto è lecito se c'è da colpire il nemico politico. Ogni demonizzazione è buona, ogni insulto appropriato. Vero: qualche progressista si fa scrupoli, temendo che un domani possano essere le sue idee a finire nel mirino del potere digitale. Ma i più non hanno remore, per un motivo semplice: di idee da censurare, questi democratici non ne hanno. Hanno preferito rinunciarvi per compiacere i nuovi feudatari neoliberisti.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)