2022-01-11
Il «barone» Galli continua a insultarci. Ma sui monoclonali alla fine ci dà ragione
Massimo Galli (Getty images)
Il prof attacca «La Verità» e glorifica il booster. Sul privilegio del farmaco, però, ammette: «Bisognava procurarsene di più».Si vede a occhio nudo che sta bene. Il professor Massimo Galli è combattivo come non mai, presenzialista come nessun altro e deve essergli tornato anche l’appetito. Neppure una settimana dopo essere uscito dalla morsa della variante Omicron, ieri l’ex responsabile del reparto Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano è riuscito a dare in meno di 24 ore tre interviste, due pareri tv in programmi diversi (Agorà su Rai 3 e L’aria che tira a La 7) e annunciare che sta finendo di scrivere un libro. Come Roberto Speranza, Luigi Di Maio e Lucia Azzolina, ma niente di infettivo. Qualche tempo fa aveva fatto sapere: «È una storia di fantascienza con un po’ di Trono di Spade. Mia moglie mi ha detto che nel primo volume succede poco, quindi dovrò fare qualche correttivo».In attesa di pubblicare la Treccani e di difendersi dall’accusa di avere condizionato concorsi pubblici (è indagato per associazione a delinquere e falso), da pensionato pratica due hobby: intrattiene il pubblico televisivo come un reduce dalla ritirata di Russia e attacca La Verità. Con effetti peraltro stranianti perché al culmine delle invettive è costretto a dare ragione al nostro giornale. Ha contratto il virus da trivaccinato? Sì. Era la variante Omicron? Sì. Lo ha curato a casa? Sì. Con gli anticorpi monoclonali? Sì. Visto che allora funzionano? Ni. Qui il professore interista-leninista si impunta e minimizza, spiega che senza il vaccino sarebbe morto, si infila in gineprai lessicali. E insomma la soddisfazione a chi ritiene che le terapie alternative - se implementate per tempo - avrebbero avuto successo, non la vuol dare.Myrta Merlino è incline a spaventare il pubblico sull’aggressività della Omicron, ma il professore non appoggia neppure lei: «La mia malattia non è stata una passeggiata di salute, ma neppure una condizione di particolare gravità. Qualcosa di più di un’influenza». Poi precisa: «Stiamo parlando di una malattia che vede una maggioranza di casi asintomatici e paucisintomatici». Che ruolo hanno avuto i monoclonali per ridurre il virus a poco più di un’influenza? È l’unica domanda decisiva ma per sentirla bisogna passare ad Agorà. Sollecitato da Luisella Costamagna, l’infettivologo spiega: «Se presi nella prima settimana dalla diagnosi, i malati possono avere beneficio da un trattamento non risolutivo come quello degli anticorpi monoclonali».Quando Susanna Ceccardi, europarlamentare della Lega, gli chiede come mai a cinque giorni dalla febbre è vispo in tv, il Galli da combattimento entra in modalità Alessandro Cecchi Paone e schiamazza. «Perché ho fatto tre vaccinazioni, sennò sarei crepato. Alla faccia di quelli come lei e come certi giornalisti che devono per forza dire il contrario. Sa tutto lei». La frase contiene un’evidente contraddizione: se i tre vaccini lo hanno comunque preservato da complicazioni peggiori che bisogno c’era di sottoporsi a terapia monoclonale? Galli ormai è sopra le righe e diventa cattedratico: «Se le domando banalmente cos’è il Sotrovimab (il monoclonale usato da lui, ndr) e come va utilizzato, dubito che lei lo sappia». Ceccardi non molla la presa, chiede perché non ci sono monoclonali per tutti in Italia, lasciando intendere che solo i privilegiati possono accedervi. Galli indispettito: «La cosa non dipende da me, avremmo avuto bisogno di più approvvigionamento. Comunque per i malati gravi dopo la prima settimana di infezione i monoclonali non servono. Ma attenzione, chi ce lo aveva detto che l’unico utile per la variante Omicron è il Sotrovimab perché gli altri due disponibili non servono? Lei lo sa questo? Se non lo sa, si informi».Al di là della gazzarra la spiegazione è utile per comprendere meglio la vicenda legata alla malattia della virostar, con trattamento facilitato dal ruolo. Galli ha ottenuto il tampone e il sequenziamento in 24 ore, di conseguenza gli è stato somministrato il monoclonale giusto. Non Regdanvimab o Casirivimab che non avrebbero funzionato, a smentita di ciò che dichiarava qualche settimana fa - e che ha ribadito ieri in conferenza stampa - il coordinatore del Cts, Franco Locatelli. Un’operazione tempestiva e impossibile per i comuni cittadini, con conseguente effetto da marchese del Grillo: difficile che il tornitore Brambilla possa far sequenziare o genotipizzare il virus; è già un miracolo se non trova occupato il telefono del medico di base. Così gli italiani perdono giorni con la ricetta Speranza sponsorizzata dagli stessi immunologi governativi: tachipirina e vigile attesa. Campa cavallo mentre la situazione può aggravarsi. La notizia del ricorso agli anticorpi monoclonali infastidisce particolarmente il professor Galli per un altro motivo. Lui ha partecipato al pool del ministero della Salute che ha elaborato le linee guida per le cure domiciliari dei pazienti Covid e ha sempre sostenuto che «parlare di cure alternative al vaccino è inaccettabile». I monoclonali non sono alternativi, ma un supporto importante sì. Ne è buon testimone proprio lui. Avrà tempo di spiegarcelo meglio in tv, dove è tornato a imperversare h24.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)