
Alla Biennale di Venezia sarà esposto il natante del naufragio che causò la morte di centinaia di migranti nel Canale di Sicilia. Dovrebbe essere un toccante omaggio alle vittime, ma sembra solo la strumentalizzazione di dubbio gusto di una tragedia.«Quella barca invita solo a un grande silenzio». Ma il relitto del peschereccio libico che fu la tomba dei migranti nel Canale di Sicilia nel 2015 non tace come spera il presidente della Biennale di Venezia, Paolo Baratta. Al contrario grida, soprattutto se presentato all'Arsenale per una mostra d'arte. Idealmente dentro un catalogo, in un contesto di prosecco, tartine e di un bisbigliare chic di gente indignata con la Vuitton al braccio - signora mia che tragedia - e la barchetta da 18 metri con gli ottoni lucidi in laguna. Questa è lunga 25, avrebbe potuto trasportare 20 persone ma ne aveva in pancia 700, stipate dagli scafisti a forza e abbandonate alle onde e alle correnti fino al naufragio.Per trovare un silenzio profondo e dignitoso non si va alla Biennale. Laddove c'erano l'orinatoio di Marcel Duchamp, le minestre Campbell di Andy Warhol, la Cicciolina dal vivo di Jeff Koons e i piccioni di Maurizio Cattelan oggi c'è un'enorme bara azzurra e rossa, con il colore scrostato dalla salsedine, simbolo di un dramma infinito e della follia dei nostri tempi. Nessuna pace per quelle vittime, per quel groviglio di corpi recuperati nella sentina che tornano come fantasmi nella terra di mezzo. Quella abitata da uomini così scioccamente allegri da essere incapaci di distinguere fra il dolore e la sua esibizione plastica, fra le lacrime e la pioggia, fra una tragedia e un brivido in società con l'abito da cocktail. Alla Biennale Arte che comincia oggi senza chiedersi niente vince la morte esibita, quindi la pornografia della morte. L'installazione sarà esposta fino al 24 novembre e ha pure un nome, «Barca nostra»; è stata trasferita da Augusta in Sicilia dove al ritorno dovrebbe far parte di un Giardino della memoria. L'ha richiesta in comodato d'uso l'artista svizzero Christoph Büchel, specialista in provocazioni da upper class. Alcuni anni fa fece chiacchierare a lungo, sempre alla Biennale, per una chiesa trasformata guardacaso in moschea. Quindi appare peloso l'atteggiamento suo e della curatrice dell'installazione, Maria Chiara Di Trapani, i quali si rifiutano di farsi fotografare accanto al barcone perché «l'opera parla da sola». L'opera, appunto.Il relitto sul quale punta oggi per richiamare l'attenzione fu ripescato dal fondo del mare (con un esborso di nove milioni di euro) dal governo di Matteo Renzi perché fungesse da monito per tutti, quindi anche per lui. È infatti la testimonianza non solo della criminalità impunita degli scafisti, della stupidità delle politiche europee e della superficialità delle braccia aperte ad ogni costo da parte di chi - come certi sacerdoti - considera la morte un incidente di percorso di fronte all'eternità. Quella nave dei disperati con la chiglia all'asciutto oggi è il simbolo della passività della sinistra (allora Renzi era premier) davanti alle partenze senza alcuna garanzia, alle traversate senza un controllo, a quel 93% in più rispetto a oggi di uomini, donne e bambini che veniva spinto a imbarcarsi a proprio rischio e pericolo.La tendenza a spettacolarizzare il dramma dei migranti per creare senso di colpa in chi (Lega e Movimento 5 Stelle) prova a smantellare la tratta di esseri umani, è nata un paio d'anni fa nel luogo meno prevedibile, la parrocchia. E ha avuto il suo culmine lo scorso Natale a Pistoia quando, invece che nella tradizionale mangiatoia, l'ineffabile don Massimo Biancalani fece nascere il Bambino Gesù su un gommone. Ineffabile perché, travolto dalla smania di popolarità mediatica, il sacerdote è lo stesso che realizzò un calendario con le foto dei suoi ospiti africani in piscina con orologi e occhiali di marca, e provò a venderlo al mercatino parrocchiale. La mistica del barcone attecchì anche a Castenaso, dove il sindaco Stefano Sermenghi fece stampare cartoline di auguri con tutto il presepe in piena traversata. E si meritò la rampogna del vescovo emerito di Bologna, monsignor Ernesto Vacchi, che lo gelò con una frase lapidaria: «Ricordiamo che Gesù è il salvatore di ogni problema, non solo di uno». Oggi la società non ha più pudore, la strumentalizzazione non ha più confini. E l'arte viene utilizzata per distorcere la verità più che per illuminarla. Come accadde un anno e mezzo fa a Pagazzano, nella bassa Bergamasca, dove all'ingresso di una mostra fu piazzata una doppia stele alta tre metri per commemorare le vittime dell'attentato islamista sulle Ramblas di Barcellona. Ma accanto ai nomi dei morti innocenti c'erano anche quelli dei terroristi che li avevano massacrati. Il relitto della strage del mare ha attraversato Venezia su una chiatta e ha trovato la terraferma davanti al ponte realizzato da Lorenzo Quinn (il figlio dell'attore hollywoodiano) con due gigantesche mani intrecciate che «spingono a costruire ponti». Nonostante l'invito al silenzio cimiteriale l'installazione non poteva passare inosservata. Gianantonio Da Re, segretario della Liga Veneta e candidato alle Europee con la Lega: «Le vittime dei trafficanti di esseri umani meritano il massimo rispetto. D'arte non mi intendo molto, ma questa è una madornale sciocchezza». Federico D'Incà, deputato pentastellato: «Quel peschereccio, monumento alle disgrazie di questo mondo, dovrebbe stare davanti al Parlamento europeo, monito per politiche comuni in favore dell'Africa». Più facile dedicare tre minuti di struggimento a un relitto trasformato in icona pop.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.