
Negli ultimi 5 anni, su 618 provvedimenti normativi adottati, ben 187 sono di matrice europea. Voluti non dall'Europarlamento, l'unico al mondo privo del diritto di iniziativa legislativa. Ma imposti dalla Commissione, composta da non eletti «competenti».Una legge «italiana» su tre non è davvero italiana. Lo dice un recente report del dipartimento Affari comunitari per Il Sole 24Ore, relativo alla produzione normativa del Parlamento e del governo nel quinquennio 2014-2018, che ci consente di fare il punto della situazione su un aspetto cruciale per le stesse sorti della democrazia. Nell'ultimo lustro i nostri politici hanno legiferato parecchio. Per la precisione, sono state emanate 319 leggi e 299 decreti legislativi. Tra legge e decreto legislativo non c'è alcuna differenza sul piano della gerarchia delle fonti. Hanno entrambi la stessa forza cogente e pari livello di «importanza». Solo che le leggi scaturiscono direttamente dal Parlamento mentre i decreti legislativi sono di competenza del potere esecutivo, cioè del governo, su delega del Parlamento stesso. Quindi, possiamo a buon diritto mettere tutto nello stesso calderone e otteniamo un totale di 618 provvedimenti normativi appartenenti al rango della legislazione «ordinaria». Di questi, ben 187 sono di matrice europea. Per la precisione, 10 leggi e 177 decreti legislativi. A questo punto, fare la proporzione è un gioco da ragazzi. Oltre il 30 per cento delle leggi introdotte in Italia dal 2014 in poi, e a cui noi dobbiamo civile obbedienza, è stato deciso altrove. «E 'l modo ancor m'offende», aggiungerebbe Dante Alighieri. Infatti, ciò che dovrebbe indignare il nostro amor patrio è proprio la «procedura» attraverso la quale la Camera e il Senato della Repubblica sono tenuti ad adeguarsi ai diktat delle centrali di comando della Ue. La legge numero 234 del 2012 ha, infatti, introdotto due strumenti: la «legge europea» e la «legge di delegazione europea». La prima serve a mettere in riga il Paese rispetto ai desiderata dell'Unione: modifica o abroga le leggi italiane bocciate o stigmatizzate da sentenze della Corte di giustizia dell'Ue o messe nel mirino dalla Commissione attraverso le procedure di infrazione. Con la seconda, invece, Montecitorio e Palazzo Madama - ridotti a zelanti esecutori di voleri altrui - conferiscono le dovute deleghe al governo per recepire, tramite decreti legislativi, le nuove direttive Ue. Ecco spiegato perché, nel periodo 2014-18, tra i provvedimenti normativi di origine europea solo dieci sono leggi vere e proprie (e cioè - il calcolo è presto fatto - ogni anno una legge di delegazione europea e una legge europea) mentre ben 177 sono decreti legislativi. Ma ciò che sorprende ancor più sono la tempistica e le sanzioni. Innanzitutto, ci dobbiamo assoggettare a cadenze prestabilite e senza possibilità di sgarro. Il disegno di legge di delegazione europea deve essere presentato in Parlamento dal governo, cascasse il mondo, entro il 28 febbraio di ogni anno. Salva la possibilità di fare il bis entro il 31 luglio laddove ce ne fosse bisogno. Non solo: tale legge deve attribuire al Consiglio dei ministri il compito di adottare severe sanzioni penali e amministrative per chi viola i sacri precetti comunitari. E così l'Italia, notoriamente lenta nel partorire riforme (figurarsi nel farle rispettare), ingrana la quinta quando di mezzo c'è l'Europa. Se ora state pensando che per fortuna c'è il Parlamento europeo dove manderemo, a breve, i nostri eletti, avete sbagliato i conti. Infatti, tale organo è probabilmente l'unico parlamento al mondo privo del diritto di iniziativa legislativa. In altre parole, non può proporre progetti di legge. Questo compito fondamentale, la «democraticissima» Unione lo riserva gelosamente (in base all'articolo 17 comma 2 del Trattato di Maastricht) a un ente, la Commissione, composto da ventisette soggetti, ovviamente non eletti e scelti in base a un criterio (articolo 17 comma 3) da far impallidire la supercazzola del conte Mascetti: «in base alla loro competenza generale e al loro impegno europeo e tra personalità che offrono tutte le garanzie di indipendenza». C'è poi l'aspetto, tutt'altro che secondario e sovente dimenticato, delle materie su cui abbiamo ceduto in tutto o in parte lo scettro del comando a Bruxelles: ai sensi degli articoli 3 e 4 del Trattato di Lisbona, si spazia dalla politica monetaria a quella commerciale, da quella doganale a quella delle gestione delle risorse marine, di agricoltura e pesca, passando per ambiente, politica sociale, protezione dei consumatori, trasporti, reti transeuropee, energia, spazio di libertà, sicurezza e giustizia, problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica. Infine, un colpo quasi mortale alla nostra sovranità lo ha assestato nel 2001 la sciagurata riforma dell'articolo 117 della Costituzione secondo cui la potestà legislativa va esercitata dall'Italia «nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». Ecco come, nel 1992, Salvatore Giachetti, allora presidente di sezione del Consiglio di Stato, ci aveva messi in guardia con profetiche parole sulla pericolosità dei trattati: «Hanno costruito delle gallerie in durissimo cemento attraverso le quali le norme comunitarie, come un esercito di termiti, sono penetrate nell'ordinamento nazionale e lo stanno progressivamente svuotando».Proseguendo lungo questa china, perderemo la sovranità legislativa che è poi la quintessenza dell'indipendenza nazionale. Abbiamo solo due armi a disposizione, per fortuna dotate di ottime munizioni. La prima è l'orientamento ormai consolidato del nostro Giudice delle leggi, secondo cui nemmeno le norme Ue di applicazione diretta nel nostro ordinamento (e cioè i regolamenti) possono averla vinta sui principii inviolabili e sui diritti fondamentali sanciti negli articoli da 1 a 54 della nostra Carta fondamentale. La seconda è la nostra volontà: dobbiamo posizionarci sulla linea di intransigenza assoluta rispetto alla proposta di firma di qualsiasi nuovo trattato alle viste (soprattutto quelli in materia fiscale). Se poi riusciremo anche a riportare alla loro stesura originaria gli articoli 81, 117 e 119 della Costituzione, di cui è stato fatto scempio dal 2001 in poi, allora il progetto di spolpamento della sovranità statuale non potrà mai essere condotto a termine. www.francescocarraro.com
La Philarmonie (Getty). Nel riquadro, l'assalto dei pro Pal
A Parigi i pro Pal interrompono con i fumogeni il concerto alla Philarmonie e creano il caos. Boicottato un cantante pop per lo stesso motivo. E l’estrema sinistra applaude.
In Francia l’avanzata dell’antisemitismo non si ferma. Giovedì sera un concerto di musica classica è stato interrotto da militanti pro Pal e, quasi nello stesso momento, un altro concerto, quello di un celebre cantante di origine ebraica, è stato minacciato di boicottaggio. In entrambi i casi, il partito di estrema sinistra La France Insoumise (Lfi) ha svolto un ruolo non indifferente.
Guido Crosetto (Cristian Castelnuovo)
Il ministro della Difesa interviene all’evento organizzato dalla «Verità» dedicato al tema della sicurezza con i vertici del comparto. Roberto Cingolani (Leonardo) e Nunzia Ciardi (Acn): bisogna prevenire le minacce con l’Ia.
Mai, come nel periodo storico nel quale stiamo vivendo, il mondo è stato più insicuro. Attualmente ci sono 61 conflitti armati attivi, il numero più alto dalla Seconda guerra mondiale, che coinvolgono oltre 92 Paesi. Ieri, a Roma, La Verità ha organizzato un evento dal titolo «Sicurezza, Difesa, Infrastrutture intelligenti», che ha analizzato punto per punto i temi caldi della questione con esponenti di spicco quali il ministro della Difesa Guido Crosetto intervistato dal direttore della Verità, Maurizio Belpietro.
Donald trump e Viktor Orbán (Ansa)
Il premier ungherese è stato ricevuto a pranzo dall’inquilino della Casa Bianca. In agenda anche petrolio russo e guerra in Ucraina. Mosca contro l’Ue sui visti.
Ieri Viktor Orbán è stato ricevuto alla Casa Bianca da Donald Trump, che ha definito il premier ungherese «un grande leader». Di più: tessendo le sue lodi, il tycoon ci ha tenuto a sottolineare che «sull’immigrazione l’Europa ha fatto errori enormi, mentre Orbán non li ha fatti». Durante la visita, in particolare, è stato firmato un nuovo accordo di cooperazione nucleare tra Stati Uniti e Ungheria, destinato a rafforzare i legami energetici e tecnologici fra i due Paesi. In proposito, il ministro degli Esteri magiaro, Péter Szijjártó, ha sottolineato che la partnership con Washington non preclude il diritto di Budapest a mantenere rapporti con Mosca sul piano energetico. «Considerata la nostra realtà geografica, mantenere la possibilità di acquistare energia dalla Russia senza sanzioni o restrizioni legali è essenziale per la sicurezza energetica dell’Ungheria», ha dichiarato il ministro.
Bivacco di immigrati in Francia. Nel riquadro, Jean Eudes Gannat (Getty Images)
Inquietante caso di censura: prelevato dalla polizia per un video TikTok il figlio di un collaboratore storico di Jean-Marie Le Pen, Gannat. Intanto i media invitano la Sweeney a chiedere perdono per lo spot dei jeans.
Sarà pure che, come sostengono in molti, il wokismo è morto e il politicamente corretto ha subito qualche battuta d’arresto. Ma sembra proprio che la nefasta influenza da essi esercitata per anni sulla cultura occidentale abbia prodotto conseguenze pesanti e durature. Lo testimoniano due recentissimi casi di diversa portata ma di analoga origine. Il primo e più inquietante è quello che coinvolge Jean Eudes Gannat, trentunenne attivista e giornalista destrorso francese, figlio di Pascal Gannat, storico collaboratore di Jean-Marie Le Pen. Giovedì sera, Gannat è stato preso in custodia dalla polizia e trattenuto fino a ieri mattina, il tutto a causa di un video pubblicato su TikTok.






