2022-09-13
Il centro Onu piazzato a Trieste non è Italia
Foto aerea dell'Igceb nell'Area Science Park a Trieste. Nel riquadro il direttore generale Lawrence Banks (Instagram)
L’istituto di ricerca Icgeb gode dell’immunità, è inviolabile dalla magistratura e i suoi dipendenti hanno privilegi e agevolazioni. Non solo, al suo interno si possono trasferire e convertire valute. Mentre le attività costano al governo 10 milioni di euro l’anno.La piccola Onu della ricerca di Trieste ha fatto bingo. Ha strappato un rinnovo milionario della convenzione con l’Italia, tra sedi e lavori pagati, oltre a uno statuto per i suoi dipendenti degno degli ambasciatori. Chi lavora all’Icgeb, il centro internazionale per l’ingegneria genetica e la biotecnologia, ha una sorta di immunità diplomatica e la sede, come i suoi beni, hanno immunità di giurisdizione. Ovvero, sono intoccabili come chi li possiede. Il centro può anche trasferire liberamente fondi in qualunque valuta e cambiarli. Tutto in linea con un’organizzazione internazionale che lavora da 25 anni sotto l’ombrello delle Nazioni unite, anche se nell’oggetto sociale dell’Icgeb compare «il trasferimento di tecnologie alle imprese di biotecnologie». Insomma, anche transazioni private coperte da immunità diplomatica. Quest’estate è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge di ratifica della convenzione tra l’istituto e lo Stato, siglata il 21 giugno del 2021 già dal governo di Mario Draghi. Per la parte finanziaria, si legge che la sede di Trieste, concessa in uso gratuito, verrà ristrutturata a spese dell’Italia per 2,6 milioni nel 2022 e per altri 620.000 euro annui a decorrere dal prossimo anno. Poi, il governo si impegna a finanziare ogni anno le attività del centro con 10 milioni. Per parte sua, il centro di virologia tumorale nel quartiere di Padriciano, guidato dal 2019 dall’inglese Lawrence Banks, gode dell’immunità di giurisdizione totale, che si estende anche ai suoi beni, ovunque si trovino. Per esempio, vale anche per il computer dell’Icgeb che un suo dipendente si portasse a casa. Non solo, ma in base alla legge, nessun funzionario del governo o chiunque eserciti una pubblica funzione (vale anche per la magistratura) può entrare nel centro triestino, senza il consenso del suo direttore. Anche gli archivi «sono inviolabili», insieme a tutti i materiali e ai documenti delle ricerche. Passando in rassegna le somme guarentigie dell’Icgeb, si scopre che i ricercatori di Trieste hanno una sorta di licenza di trading sulle valute. Dall’articolo 10 della legge, sbuca «il diritto di trasferire liberamente fondi in valuta nazionale o estera verso, da e all’interno dell’Italia, e di convertire tali risorse liberamente in altre valute al tasso di cambio più favorevole nel momento della conversione». Chissà se questa libertà di giocare sui cambi vale anche per le tranche da 10 milioni di finanziamento della Repubblica italiana. Più in generale, i funzionari del centro di ricerca Onu (ce ne sono altri due simili a Nuova Delhi e a Città del Capo) godono in Italia dell’immunità di giurisdizione per gli atti da essi compiuti in veste ufficiale, parole e scritti compresi. E questa immunità legale continuerà a essere accordata anche qualora le persone interessate non fossero più impegnate nell’esercizio delle loro funzioni istituzionali. Inoltre, i funzionari sono esenti da qualsivoglia imposizione fiscale sugli stipendi e sugli emolumenti versati dall’istituto.Poi c’è un codicillo che riguarda espressamente il direttore, Lawrence Banks, che recita: «Oltre ai privilegi e alle immunità specificate nel presente articolo, il direttore gode per sé stesso e per i suoi familiari, dei privilegi, immunità, esenzioni e agevolazioni concesse agli ambasciatori, che sono capi di missione ma che non sono cittadini italiani, o non hanno residenza permanente in Italia». Tuttavia, per non fare dei dipendenti del centro dei marziani, sempre la legge di ratifica della convenzione concede che «ai familiari che non siano cittadini italiani e che non sono residenti permanenti nella Repubblica italiana è consentito svolgere in Italia lavoro dipendente o autonomo, in conformità alle leggi italiane». In ogni caso, l’Icgeb può avvalersi anche di esperti autonomi, che però si vedranno concessa la medesima esenzione da qualsiasi imposta sugli stipendi e sugli emolumenti versati dal centro stesso.Se si va a scorrere la documentazione ufficiale con la quale Icgeb si presenta all’esterno, si scopre che, nella sua storia più che ventennale, ha potuto contare sul sostegno di oltre 60 nazioni e opera nelle citate tre sedi, con più di 500 ricercatori. E la direzione generale del centro è proprio quella di Trieste. Le attività sono quelle di ricerca avanzata, di concessione di borse di studio e di organizzazioni di meeting internazionali, di sostegno alla ricerca sulla genetica, di cooperazione con i governi sui temi Ogm. Nell’elenco compare anche «il trasferimento di tecnologie e know how alle imprese biotecnologiche». Nulla di male, ovviamente, ma si tratta di un’attività che richiede massima trasparenza e nessun favoritismo ai singoli privati. Sicuri che sia compatibile con delle immunità da ambasciatori?
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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