2021-07-15
Il vero dramma di questa sinistra è che ignora la propria storia
Murales di Antonio Gramsci a Orgosolo, anni '70. (Getty Images)
L'arma usata dagli intellò contro i nemici è il marchio «fascista». Ma si sprecano i giganti rossi che si ripulirono dopo il Ventennio.Un ennesimo capitolo della saga relativa al rapporto tra «destra politica» e memoria storica è stato inaugurato dall'articolo di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere di qualche giorno fa. Alla provocazione dell'editorialista del quotidiano milanese ha risposto Giorgia Meloni e poi su questo giornale il direttore Maurizio Belpietro, notando come l'appello di Galli a far menare i fascisti non risponde in pieno ai criteri del dialogo democratico.Giusto. Qui però vorrei riportare - sia pure per accenni - il discorso oltre e prima la provocazione dell'editorialista del Corriere ad una questione più fondamentale, quella della esistenza e della pregnanza di una cultura della destra, tema che sottende la critica al mancato antifascismo della destra. Problema sempre sollevato dalla sinistra, sin da quando un intellettuale di vaglia come Norberto Bobbio da un lato metteva in dubbio la stessa esistenza di una cultura di destra ma, dall'altro, invitava gli studiosi della sua parte (che non era sempre stata la sua: basti ricordare la famigerata lettera al Duce) a leggere gli autori reazionari, perché da loro c'era comunque da imparare. Lo stesso Bobbio, del resto, aveva intrattenuto un carteggio con un giurista e filosofo in odore di zolfo come Carl Schmitt, col quale nel 1981 riprese una corrispondenza interrotta per 'prudenza' nel 1951, dopo essersi accorto che il collega tedesco non si era affatto convertito, come invece tanti uomini di cultura italiani, passati dall'elogio di Mussolini a quello di Stalin (ho pubblicato il carteggio tra Schmitt e Bobbio in Diritto e cultura, 1995/1, con l'espressa autorizzazione del filosofo torinese, col quale ebbi sempre un ottimo rapporto).E veniamo al punto: gli uomini di cultura che erano passati dal fascismo al comunismo o alla democrazia borghese erano passati anche dalla «non-cultura« alla cultura vera e unica rappresentata dall'etichetta onnicomprensiva dell'anti fascismo? Un uomo come Delio Cantimori era un barbaro quando scriveva su Jünger e Spengler negli anni Trenta e un colto e fine intellettuale negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento? Spadolini che scriveva su La difesa della razza era un vile nazista diventato di botto un sottile storico? E un filosofo intelligente come Lucio Colletti era un vero intellettuale quando prefazionava i Quaderni filosofici di Lenin per Feltrinelli e un ignobile mascalzone quando frequentava da senatore di Forza Italia la casa di Berlusconi?Una persona intellettualmente onesta dovrebbe riconoscere che la cultura può certamente essere di sinistra e di destra senza per questo cessare di essere cultura, cioè espressione, ecco il punto: di cosa? Di un pregiudizio politico, di una costruzione astratta che si vuole imporre alla realtà, di un sentimento momentaneo che si innalza a dottrina, come l'ideologia gender? Oppure, da un lato risultato di una storia, perché nessuno nasce dal nulla o in un vuoto, ma sempre dentro una società e da qualcuno che è culturalmente formato; e dall'altro risultato di una riflessione, di un pensiero, di uno sforzo (Streben, direbbe il vecchio Fichte) mentale per capire, anzi comprendere il mondo. Ecco il punto: la cultura è storia e comprensione. Può anche essere ideologia, anzi trovo che sia giusto che questo sforzo diventi anche ideologia, che non è una parolaccia, ma la costruzione ideale di un progetto. La cultura è un insieme di concezioni del mondo, che necessariamente si affrontano, si confrontano, si mettono in discussione (il famoso politeismo dei valori di Max Weber). Quando io studio la cultura della Vienna rossa dal 1919 al 1934 non mi limito agli autori del cosiddetto Austromarxismo o alla filosofia politica di Hans Kelsen, liberale e democratico, ma dentro quella cultura studio Othmar Spann, teorico dell'organicismo universalista, e Hugo von Hofmannsthal, «rivoluzionario conservatore«. La cultura è la totalità di un tempo storico, mentre ridurla ad una parte significa fare violenza alla realtà e all'intelligenza. La cultura negli anni Trenta era sia Giovanni Gentile, filosofo dell'attualismo e fascista, sia Benedetto Croce, filosofo storicista liberale, sia Antonio Gramsci che scriveva su Machiavelli nel carcere, sia Julius Evola che nel 1934 pubblicava Rivolta contro il mondo moderno.Weltanschauungen (concezioni del mondo) in conflitto tra loro, ma questa è appunto la storia, un passare e trapassare, a condizione però che tutto venga fatto sotto l'egida della comprensione, del tedesco Verstehen, che presuppone certo anche la spiegazione (Erklären), ma non si identifica con quest'ultima pratica. Il comprendere significa osservazione, approfondimento, messa in discussione, elaborazione, pro-posizione, il tutto in quella pratica di civiltà che Michael Oakeshott chiama conversazione per il piacere della conversazione. Naturalmente ci saranno sempre momenti di rottura, quando la politica della fede, della convinzione, prevarrà sulla filosofia dello scetticismo, sull'etica della responsabilità, ma queste sono le pagine forti della storia, che non si possono cancellare.Ecco il punto: la cultura di sinistra, antifascista senza aver mai studiato il fascismo, non accetta la storia. Non è un caso che oggi si distruggano le statue di coloro che sono testimoni storici di qualcosa che è diverso dalla «cultura« di sinistra, che proprio per questo rinuncia ad essere cultura. Chi ha letto Karl Marx conosce bene sia il suo anti semitismo (La questione ebraica) sia il suo razzismo (si legga la sua corrispondenza con Engels); l'anti semitismo non teologico nasce col socialismo (Dühring, Mehring). Naturalmente la nuova sinistra non può essere identificata con quella vecchia. La vecchia sinistra aveva una concezione del mondo; la nuova sinistra è contro il mondo, contro il reale, contro la storia. Umberto Terracini era un forbito italianista; seguiva nel parlare le regole della grammatica e forse voleva che anche gli operai e i contadini analfabeti potessero comprendere un suo discorso letterariamente ricco. Oggi la nuova sinistra non ha una concezione del mondo, ma è contro il mondo, a partire da quello tramandato a quello che conserva tracce della storia. Non voglio dire che la sinistra antifascista è priva di cultura e questa ce l'ha solo la destra. Purtroppo non è così. Voglio dire che viviamo in un mondo di oggettiva decadenza intellettuale ed etica, che investe tutto e tutti, dall'università alla politica. Personalmente mi intendo benissimo con un vecchio filosofo di sinistra come Biagio De Giovanni; non avrei però nulla da discutere con il «popsofo« Giacomo Marramao, già consigliere di Occhetto. Leggo Massimo Cacciari e da lui apprendo; non apprendo nulla da Nadia Urbinati. Così si può apprendere molto dagli aforismi di Gómez Dàvila, poco o nulla da Robert Brasillach, che una certa destra continua a volerci propinare come depositario di chissà quale verità solo perché ebbe la sventura di essere fucilato dopo la guerra per collaborazionismo.Ecco, e chiudo: la cultura non può non essere di destra e di sinistra, ma appunto deve saper essere cultura e come tale sopra la destra e la sinistra prima di incarnarsi in un discorso politico consapevole della conflittualità storica. Oggi a sinistra vedo molta incultura; anche per questo a destra sarebbe ora di cominciare a porsi dei problemi anche con la storia per farne poi dei discorsi politici. Non si può pensare di fare cultura di destra sempre con gli stessi nomi. Da questo punto di vista il rischio è appunto che sempre venga fuori il Galli di turno a rimproverare Tizio o Caio di non aver fatto i conti con il fascismo. Certo, se non altro a destra nessuno rimprovererà a Galli & C. di non aver fatto i conti con la «democratica« Rivoluzione francese, con Robespierre e il Terrore, quando si tagliavano le teste come se fossero cavoli.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)