Anche in questa legislatura si moltiplicano i cambi di casacca tra i partiti. I più colpiti sono i due al governo, Pd e M5s: uno decimato dai renziani, l'altro dagli espulsi. E dagli scontenti.
Anche in questa legislatura si moltiplicano i cambi di casacca tra i partiti. I più colpiti sono i due al governo, Pd e M5s: uno decimato dai renziani, l'altro dagli espulsi. E dagli scontenti.Il ritmo è spedito, quasi incessante: un cambio di casacca alla settimana, tra Camera e Senato. Chi pensava che l'emergenza sanitaria legata al coronavirus avrebbe almeno rallentato la diaspora dei voltagabbana in Parlamento dovrà ricredersi. Le attività in aula hanno subìto rallentamenti, il valzer dei transfughi invece no. L'ultimo a lasciare è stato il deputato barese Paolo Lattanzio. Eletto nel collegio uninominale Puglia 1 con il M5s, lo scorso 7 agosto ha formalizzato il suo passaggio nel Misto. «La motivazione», ha spiegato in un post su Facebook, «è legata all'aperto dissenso rispetto al mancato posizionamento in uno schieramento largo di centrosinistra per le regionali pugliesi». Avrebbe voluto l'intesa con il governatore uscente Michele Emiliano, Paolo Lattanzio. Ora si ritrova a sostenere il governo dai banchi sempre più affollati del Misto. Dall'inizio della legislatura, Lattanzio è l'ottantaduesimo deputato ad aver lasciato il proprio gruppo di appartenenza. Sommati ai 37 cambi di casacca in Senato, il totale dei transfughi arriva a 119. I numeri li snocciola la fondazione Openpolis, che monitora la mobilità interna ai due rami del Parlamento. Secondo il report Il Parlamento sospeso, che analizza i primi due anni della legislatura corrente, ancora una volta «il trasformismo parlamentare sta caratterizzando l'attività di deputati e senatori». La tendenza, notano i ricercatori, è in crescita, anche se ancora lontana da quella della passata legislatura, che ha fatto registrare un dato record: 569 passaggi di gruppo, portati a termine da 348 parlamentari. A segnare il cambio di passo è stata la nascita del secondo governo Conte, poco meno di un anno fa. I primi 18 mesi della legislatura, governo gialloverde, non avevano mostrato una particolare fibrillazione: i cambi di gruppo erano stati 28, poco meno di 2 al mese. La maggior parte dei quali dovuti al «regalino» del presidente Roberto Fico ai parlamentari di Liberi e uguali. L'ufficio di presidenza di Montecitorio, infatti, ha concesso ai 14 eletti con Leu di costituire un gruppo autonomo alla Camera, in deroga alle disposizioni del regolamento, secondo il quale servono almeno 20 deputati per poter creare un proprio gruppo. Con tante grazie di Bersani, Boldrini e compagni che hanno lasciato il Misto, dove all'inizio si erano iscritti. La crisi del Papeete prima e la scissione di Renzi poi hanno cambiato le carte in tavola. Dallo scorso settembre, è partita la diaspora dei parlamentari. I flussi parlano chiaro: Italia Viva è il partito che ha accolto il maggior numero di parlamentari, sia alla Camera sia al Senato, 49 in tutto. Uno dopo l'altro, sono finiti nelle braccia di Renzi esponenti di quasi tutti gli schieramenti. Non solo i fedelissimi Maria Elena Boschi, Ettore Rosato e Teresa Bellanova, ma anche ex forzisti come Donatella Conzatti e Vincenzo Carbone. Persino ex 5 stelle, come Gelsomina Vono. Il primo grande sconfitto è il Partito democratico, che ha visto ridurre progressivamente le proprie truppe in entrambi i rami del Parlamento. Tra i banchi di Italia Viva hanno trovato posto 25 ex deputati e 14 ex senatori dem. Gli unici a resistere alle sirene renziane, non senza qualche tentennamento, sono i senatori Matteo Richetti e Tommaso Cerno. Ha mollato il Pd per passare al Misto anche la deputata palermitana Daniela Cardinale. Saldo negativo anche per l'altro partito forte della coalizione di governo, il Movimento 5 stelle. Nel corso della legislatura il flusso delle perdite è pressoché costante. In quasi 28 mesi, 35 parlamentari hanno detto addio: 22 deputati e 13 senatori. I cambi di gruppo sono dovuti a due motivazioni principali: l'abbandono spontaneo o l'espulsione. Tra le fila di chi ha deciso di lasciare, rientrano Paola Nugnes, l'ex ministro dell'Istruzione Lorenzo Fioramonti e Alessandra Ermellino, una delle ultime a dire addio. «Il vero limite dimostrato dal M5s è stato quello di arrovellarsi su ruoli e funzioni interne, dimenticando di rispondere ai cittadini», ha scritto. Diverso il caso degli espulsi, la pattuglia più nutrita. Qui si trova davvero di tutto: chi è stato cacciato per aver votato contro le direttive del partito, chi perché non in regola con le rendicontazioni. I fuoriusciti si sono sparpagliati un po' ovunque, data «la natura post-ideologica» del partito. C'è chi ha raggiunto il Misto, chi la Lega, come i senatori Urraro, Grassi, Lucidi e Riccardi. E chi è finito tra i banchi di Forza Italia, come il deputato Matteo Dall'Osso. Nelle alchimie di Palazzo, può capitare addirittura che gli ex grillini resuscitino un partito dato per sepolto, quell'Alternativa popolare di alfaniana memoria. Nell'impresa sono riusciti i tre deputati Michele Nitti, Gianluca Rospi e Antonio Zennaro. A loro si è aggiunta poi Fabiola Bologna, che ha lasciato il M5s a giugno. La nuova formazione nel Misto di Montecitorio si chiama Popolo protagonista-Alternativa popolare. L'autorizzazione dell'ufficio di presidenza della Camera a costituire la componente è arrivata dopo che Alternativa popolare ha concesso l'utilizzo del simbolo. Chissà cosa avrà pensato Luigi Di Maio, che della lotta al trasformismo aveva fatto un cavallo di battaglia. Sembrano lontani i tempi in cui proponeva l'introduzione del vincolo di mandato: «Se non si può cambiare la Costituzione, almeno modifichiamo i regolamenti parlamentari», aveva tuonato. Molti dei suoi hanno scelto una strada diversa: piuttosto che la Costituzione, si fa prima a cambiare partito.
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Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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