2019-07-18
«I vescovi pro migranti sono carrieristi»
Don Salvatore Picca, parroco dell'Avellinese: «Le parole del Papa sono manipolate da prelati arrivisti. La Dottrina sociale non giustifica l'ingresso dei clandestini. Il compito di un ministro dell'Interno è difendere i confini. E se mette “prima gli italiani", Salvini va in paradiso...».Don Salvatore Picca è parroco a San Martino Valle Caudina (Avellino). «Sono anche professore di teologia a Benevento e giudice al tribunale ecclesiastico campano», ci tiene a precisare.Don Salvatore, Francesco è il Papa dei migranti?«Chi ha costruito l'idea del Papa dei migranti è un certo tipo di “stampa di regime" che ama far dire al Papa ciò che il Papa non dice». Che intende?«Quando il Santo Padre ricorda ai politici che devono fare di tutto per accogliere, accompagnare e integrare i migranti, non sta parlando solo al ministro dell'Interno italiano, ma a quello tedesco, a quello francese, a quello austriaco. Che però preferiscono fare orecchie da mercante». Ma la dottrina della Chiesa che dice sull'accoglienza?«Che chi scappa da persecuzioni e guerre va sempre aiutato a salvare la propria vita. Invece, i migranti economici vanno accolti seguendo la virtù della prudenza». Cioè?«Ogni nazione ha il compito di regolare i flussi migratori e di permettere l'ingresso solo al numero di persone cui può garantire una reale accoglienza e integrazione».Dunque, uno Stato non deve spalancare le frontiere.«Ogni governo ha il dovere di controllare chi entra nei confini dello Stato, perché chi è stato scelto dai cittadini per la difesa del bene comune non può permettere che questo sia messo a rischio dall'ingresso di chi non rispetta le leggi».La sicurezza innanzitutto?«È dovere di ogni governante controllare i confini e permettere l'ingresso all'interno del Paese solo a chi è capace di esibire un documento regolare».Insomma: no all'immigrazione clandestina. «Nessuno può fondare sulla Dottrina sociale della Chiesa l'ingresso irregolare di uomini e di donne all'interno dei confini di uno Stato».Quali sono i limiti all'accoglienza?«È chiaro che, se io ho una casa di dieci stanze, non posso accogliere 1.000 persone, perché chi ospita una persona e la manda a dormire nella cuccia del cane non sta facendo accoglienza. Sta solo trattando l'ospite come una bestia». Meglio aiutarli a casa loro?«Per la Dottrina sociale della Chiesa il modo vero di risolvere il problema delle migrazioni è aiutare le nazioni povere a uscire dalla miseria, perché prima del diritto a emigrare viene il diritto a restare nel Paese in cui si è nati». Bisogna favorire lo sviluppo economico dell'Africa, prevenendo i flussi migratori?«L'Africa è il continente più ricco del mondo. Se i governi europei smettessero di usarlo come la propria riserva di materie prime e permettessero agli africani di gestire le proprie ricchezze, tra qualche anno avremmo un'emigrazione al contrario». E allora papa Francesco cosa pensa veramente?«L'ha ricordato più volte: “Un popolo che può accogliere ma non ha possibilità di integrare, meglio non accolga. Lì c'è il problema della prudenza. E credo che proprio questa sia la nota dolente del dialogo oggi nell'Unione europea". Il punto è che i giornalisti e molti politici amano citare del Papa solo ciò che fa comodo alla loro causa». Un altro problema: la cura delle anime. Possibile che nessuno si preoccupi di evangelizzare i nuovi arrivati? «A questo proposito, bisogna dire che non c'è cosa peggiore dei carrieristi».Cioè? A chi si riferisce? «Le spiego: nella Chiesa di oggi i carrieristi hanno cambiato casacca e, per farsi notare, si sono trasformati in direttori di case di accoglienza, in animatori di dormitori e di mense per poveri, in fautori dell'accoglienza senza se e senza ma, in paladini di Carola Rackete e compagnia…».E quindi? «Quindi il problema non è il Santo Padre, ma gli interpreti del suo pensiero, che, preoccupati dei loro tornaconti, dimenticano che il vero bene dell'uomo è incontrare Cristo. I nuovi carrieristi, pensando di far contento il Papa, dimenticano Cristo e si trasformano in amministratori delegati». I fedeli cosa dicono? Lamentano che il Papa si occupa troppo di stranieri e che sta trascurando gli italiani? «Questo, purtroppo, è un malessere diffuso e che non è colpa del Santo Padre, ma sempre degli interpreti del suo pensiero». Di nuovo?«Be', non è un mistero che la stragrande maggioranza dei fondi che le diocesi italiane gestiscono per la carità oggi siano impegnati per l'accoglienza dei migranti. E, quindi, resta poco o niente per venire incontro alle necessità delle famiglie povere italiane. Ma chi decide come impiegare le risorse per la carità non è il Santo Padre, bensì ogni singolo vescovo».L'ex direttore de La Civiltà Cattolica, padre Bartolomeo Sorge, ha detto che Matteo Salvini sta portando avanti una politica disumana. Il nuovo direttore, padre Antonio Spadaro, aveva praticamente accusato Salvini di non essere cristiano. Il ministro dell'Interno è un eretico?«Nessuno può dare a un altro la “patente" di cristiano. Solo Dio conosce il cuore dell'uomo. Il ministro dell'Interno, se vuole essere un buon cristiano, deve compiere bene il suo dovere». E qual è?«Vigilare sulla sicurezza dei cittadini e sui confini nazionali, perché non entri chi può mettere in pericolo l'ordine e la sicurezza. Il suo compito per andare in paradiso è, anche se a qualcuno non piace l'espressione, di mettere “prima gli italiani"».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)