2019-11-14
I tifosi della battaglia contro l’odio sono i primi a fare discriminazioni
Oggi, con metodi sempre più repressivi, si dice di voler combattere l'intolleranza. Chi esprime disprezzo per i poliziotti, i disabili o gli embrioni non viene mai trattato come un pericoloso hater.Da qualche tempo si è tornato a parlare di censura. Ma non lo si fa più, come era in uso dall'illuminismo, per denunciare i resti di una piaga antica, legata ai poteri autocratici di un tempo. No. Lo si fa per auspicare una stretta censoria sul Web e sui social, che essendo un landa desolata e libera, creerebbe una nuova categoria di mostri della modernità: gli haters, ovvero gli odiatori.Secondo gli opinion maker, in tutta Europa ci sarebbe una inattesa vampata di odio che andrebbe duramente repressa, poiché in mancanza di repressione, si rischierebbe di tornare, come dice la vulgata dei dotti, «alle ore più buie della nostra storia». A questo proposito i gestori di Youtube hanno dichiarato: «Noi vietiamo specificatamente i video che affermano la superiorità di un gruppo per giustificare la discriminazione, la segregazione, o l'esclusione basate su criteri come l'età, il sesso, la razza, la casta, la religione e l'orientamento sessuale».Sembra un programma magnifico e altisonante, ma a ben vedere il ragionamento non tiene e fa acqua da tutte le parti. Per motivi di natura logica, ma anche giuridica e penale.Se gli odiatori, gli intolleranti e i razzisti (categorie comunque poco precise) sono nocivi alla società, dovremmo allora, tutti noi democratici, preferire gli amatori e i non razzisti. Giusto? Quindi alcuni cittadini - gli amatori - dovrebbero essere preferiti, a norma di legge, ad altri cittadini. E gli odiatori dovrebbero essere discriminati, censurati, banditi... Ma proprio qui è palese la preferenza di un gruppo (mal) definito su un altro. E allora come si fa? Si rischia di cadere nel corto circuito storico di chi ha pensato di poter far coincidere la libertà con l'uguaglianza. Se costringo tutti i cittadini ad essere uguali (nel censo, negli studi, nel vestiario, nel pensiero…), la libertà svanisce. E se lascio tutti liberi, sul piano economico per esempio, è l'uguaglianza a svaporare. Domanda. Alla luce della libertà di pensiero, che dovrebbe essere uno dei cardini della moderna democrazia, si dovrebbe impedire agli ebrei di preferire la propria religione a quella altrui, perché la preferenza è discriminazione? E un credente potrà ancora preferire i credenti agli atei, oppure già questo sarebbe il segno di una larvata discriminazione da correggere? Ce lo dicano coloro che (giustamente) si indignano per gli insulti a Mario Balotelli e a Liliana Segre, ma che (assurdamente) non si indignano per gli insulti, non meno gravi, a Salvini, alla Meloni eccetera.Ora, i giganti del Progresso, come i portali del Web e le istituzioni pubbliche, come l'Ue e l'Onu, si battono o dicono di battersi non più per la libertà di pensiero, di parola, di opinione e di espressione. Ma contro l'abuso di queste libertà. Solo che distinguere l'uso dall'abuso si rivela all'atto pratico difficilissimo e facilmente strumentale. La lotta alle cosiddette fake news, ad esempio, è divenuta la nuova arma dei governi e dei poteri forti per indirizzare il pensiero comune nella maniera sperata, correggendolo e impedendolo se occorre. L'origine del concetto di odiatore e dell'assimilazione tra odio e reato si trova senza dubbio della legge Mancino. Tale legge, approvata nel 1993, prese il nome dal ministro democristiano Nicola Mancino. Il contesto era quello delle violenze di alcuni estremisti, detti allora naziskin, verso stranieri o avversari politici. Secondo Wikipedia, la legge «è oggi il principale strumento legislativo che l'ordinamento italiano offre per la repressione dei crimini d'odio». Ma quale odio è preso in considerazione? L'odio per la polizia o per i tifosi di una squadra rivale? L'odio per gli anziani e i malati giudicati spesso di peso nella società iperconsumista e salutista attuale? Ebbene, no. C'è una antipatica selezione degli odi. Solo gli odi razziali, sessuali e religiosi sarebbero da contrastare: e nessuna legge prevede multe per chi esprime disprezzo per poliziotti, down, non vedenti, embrioni (definiti ammassi di cellule), preti, eccetera.In questi anni la lotta alle fobie, vere o presunte, è diventata cultura. E parallelamente sono aumentate le «discriminazioni» di coloro che hanno semplicemente espresso delle idee - giuste o sbagliate - ma critiche e contrarie al pensiero egemone. Dire che gli uomini hanno storicamente più successo nelle scienze matematiche, come ha scritto più volte coraggiosamente Piergiorgio Odifreddi, significa discriminare le donne? E dire che le mamme sono in genere più dolci e affettuose dei papà, significa odiare i maschi? E scrivere su un giornale che gli stranieri, in media, compiono più furti e stupri degli italiani? Il rispetto per il prossimo - qualunque esso sia - è il cuore e il dna del cristianesimo e della civiltà europea e occidentale. E questo rispetto, pur nella libertà di pensiero e di critica, non può essere imposto per legge: altrimenti non sarebbe più rispetto della persona, ma della legge. Per timore della sanzione.Una società che deve tornare all'educazione civica per contrastare il bullismo tra i suoi giovani e che vuole proibire l'odio per legge (imponendo l'amore per decreto) è una società che sta deragliando follemente e rischia un collasso. Fermate il treno delle censure di Stato prima che sia troppo tardi e qualcuno più forte di voi, domani censuri i censori…
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)