2022-09-11
Il problema non è Peppa Pig. È un’alternativa al pensiero unico
La quasi totalità dei prodotti d’intrattenimento contemporanei non rappresenta la realtà ma raffigura il mondo «come dovrebbe essere»: un universo artificiale multiculturale, multirazziale e ovviamente Lgbt.Siamo sinceramente solidali con Enrico Letta: comprendiamo che per lui doversi occupare di Peppa Pig sia difficile, soprattutto dopo le infuocate settimane trascorse a trattare con Carlo Calenda. L’argomento di sicuro non è al suo livello: per trattarlo serve un minimo di sensibilità, e non bastano il disprezzo e la sufficienza con cui il segretario del Pd ha liquidato la questione, come se le «cose da bambini» non fossero in realtà estremamente rilevanti. A suo dire, siamo arrivati a discutere dei porcelli del celebre cartone animato perché la destra italiana è «arretrata» e «incapace di cogliere quello che accade in Italia. Su questo», ha aggiunto, «c’è un’arretratezza culturale che trovo francamente preoccupante». Non avrebbe potuto scodellare un commento peggiore: il solo utilizzo della parola «arretrato» rivela l’ottusità del progressismo caricaturale secondo cui bisogna «andare avanti» e «stare al passo coi tempi», anche se i tempi sono oscuri. Come noto, ad aprire la discussione - su impulso di Provita e famiglia - è stato Federico Mollicone, responsabile culturale di Fratelli d’Italia. Ha avuto da ridire su una puntata del cartone (in onda sulle reti Rai) in cui appare un personaggio chiamato Penny Polar Bear che ha «due mamme». «È inaccettabile la scelta degli autori del cartone animato Peppa Pig di inserire un personaggio con due mamme», ha detto Mollicone. «Ancora una volta il politicamente corretto ha colpito e a farne le spese sono i nostri figli. Ma i bambini non possono essere solo bambini? Siamo e saremo sempre in prima linea contro le discriminazioni, ma non possiamo accettare l’indottrinamento gender. Per questo chiediamo alla Rai, che acquista i diritti sulle serie di Peppa Pig in Italia col canone di tutti gli italiani, di non trasmettere l’episodio in questione su nessun canale o piattaforma Web».In effetti, a prima vista la vicenda potrebbe apparire grottesca. Di certo uno spettacolo per bambini con maiali protagonisti non è certo la peggiore minaccia incombente sulla nazione. E agli adulti l’idea che ci si scontri su dei suini animati può suscitare risate. Di fronte a tutto ciò, la scelta più facile è quella della derisione, per cui hanno optato alcuni dei principali commentatori italiani. Mattia Feltri, su La Stampa, se l’è cavata sbertucciando Mollicone e Fdi. Massimo Gramellini, sul Corriere della Sera, ha scelto invece un’impostazione più pedagogica, spiegando che i cartoni animati devono raccontare «l’amore e l’accoglienza», perché a traumatizzare i bambini sono semmai «l’odio e l’esclusione». Motivo per cui è meglio mostrare ai piccoli «due mamme che si vogliono bene» invece di «una mamma e un papà che si detestano».Ecco, basta la conclusione del ragionamento di Gramellini per comprendere quanto sia delicata e rilevante la questione. Notate la contrapposizione, ovviamente figlia dell’ideologia: perché la scelta dovrebbe essere tra due donne che si vogliono bene e tra un uomo e una donna che litigano? Non potrebbe essere pure il contrario? Non si potrebbero vedere mamma e papà che si amano e mamma e mamma che litigano? Evidentemente no. Ed è esattamente qui che si arriva al nodo più robusto. L’ideologia che avvolge la quasi totalità dei prodotti d’intrattenimento contemporanei (o degli spot, che è uguale) non li rende descrittivi, bensì prescrittivi. Il cartone animato o il film o la serie televisiva «ideologicamente corretti» non rappresentano la realtà, bensì mettono in scena il mondo «come dovrebbe essere», cioè accogliente nei confronti delle istanze arcobaleno. La cosiddetta famiglia tradizionale - osteggiata dal pensiero attualmente prevalente - può dunque apparire litigiosa e magari violenta. Secondo alcuni, addirittura, il fatto che la famiglia eterosessuale venga presentata come luogo d’amore e di cura è sgradevole: Monica Cirinnà, qualche tempo fa, ha presentato una proposta di legge per imporre alle pubblicità televisive di evitare «stereotipi distorsivi». In sostanza, la senatrice Pd voleva impedire che gli spot presentassero la famiglia in maniera troppo positiva.Al contrario, la «famiglia arcobaleno» deve essere rappresentata in ogni occasione come amorevole, dolce e accogliente. Anche se ciò non corrisponde - per forza di cose - alla realtà. Pochi giorni fa, giusto per citare un caso r ecente, il tribunale di Bari ha stabilito che due donne possono essere considerate «entrambe madri» di una bambina anche se si sono separate e una delle due non ha legami biologici con la piccola. Significa che le due donne hanno rotto l’unione e si sono messe a litigare per la bimba avuta tramite fecondazione artificiale. Avviene fra gli eterosessuali, perché non dovrebbe avvenire tra i gay? Come sosteneva un tale russo, ognuno è infelice a modo suo: come esistono problematiche specifiche delle relazioni fra sessi diversi, esistono anche quelle tipiche delle relazioni omosessuali (tra cui la violenza domestica). Non riguardano tutte le coppie, ma alcune sì: negarlo significa scollarsi dalla realtà e affidarsi alle prescrizioni ideologiche. Da anni, l’industria dell’intrattenimento produce profezie che si autoavverano: ha costruito un universo artificiale multiculturale e multirazziale, ha iper rappresentato transessuali e gay, ha stabilito quote etniche arrivando al parossismo di far interpretare biondi eroi greci da scurissimi attori africani. Fatalmente, dopo un lungo martellamento, parte di queste prescrizioni si è effettivamente tramutata in realtà. E questa realtà prodotta in vitro è adesso utilizzata come base per ulteriori iniezioni di ideologia.Dove sta il problema? Nel fatto che forse, in un mondo perfetto, il modello hollywoodiano multiculti e fluido potrebbe convivere con quello tradizionale. Ma nel mondo attuale ciò non succede: per affermarsi, il modello hollywoodiano deve prima sgretolare l’altro. Come ha notato lo storico Christopher Lasch, i progressisti sono convinti che «alla base della democratizzazione della cultura debba esserci un progetto educativo o un progetto sociale (o entrambi) che possa affrancare gli individui dai loro legami familiari, indebolendo così i legami di parentela, le tradizioni locali e regionali, l’attaccamento alla terra. In particolare negli Stati Uniti, la rottura rispetto alle radici è stata vista come una condizione chiave per la crescita e la libertà».A differenza di ciò che sostiene Enrico Letta, insomma, la questione dei programmi televisivi a cui i bambini hanno accesso non è roba da bambini o da bigotti retrogradi: è uno dei temi più rilevanti della contemporaneità, sul quale sarebbe necessaria una riflessione serissima e approfondita, che va ben oltre i cartoni animati e riguarda tutti i contenuti che i minorenni (e non solo loro) fruiscono quotidianamente, facendosi da essi permeare.Proprio perché il problema è così urgente e fondamentale, alla superficialità interessata e colpevole della sinistra non si può opporre una superficialità di segno eguale e contrario. Non è sufficiente che la destra berci contro questo o quel programma invocandone la chiusura: non è risolutivo, e spesso è dannoso. Prima di tutto, semmai, occorre rivedere i toni, approfondire maggiormente, dettagliare di più: meno scimitarra, più fioretto. In secondo luogo, non è produttivo affidarsi alle richieste di censura (che per lo più non vengono accolte): molto meglio valorizzare, sostenere e promuovere una offerta differente, cosa che la destra ha fatto pochissimo, e spesso male e in maniera amatoriale e ridicola. Esiste un sottobosco culturale florido, al di fuori del progressismo, che potrebbe e dovrebbe essere aiutato a crescere, e a svilupparsi qualitativamente e quantitativamente. Infine, sarebbe opportuno che il prossimo governo, qualora cambiasse di segno, creasse opportuni spazi di confronto sui media e la loro influenza. Lontano dalla cloaca social, lontano dalle sparate utili a comparire sui quotidiani per un paio di giorni. L’ideologia avanza e - lo riconoscono ormai anche tanti intellettuali gauchiste - sta diventando eccessivamente pervasiva, intollerante e pericolosa. È una sfida enorme, e bisogna esserne all’altezza: non bisogna prendersela con i porcellini, ma con i somari di potere che continuano a imporre il pensiero unico.
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