
Il tesoriere del Carroccio Giulio Centemero è indagato a Roma per un finanziamento a Più Voci. «Abbiamo ricevuto 250.000 euro: tracciati e donati alla radio. I magistrati di Genova pensano che abbiamo riciclato con la stessa fondazione denaro all'estero: falso».La Procura di Roma lo ha da poco iscritto sul registro degli indagati per finanziamento illecito. Giulio Centemero, 39 anni, milanese (ma residente ad Arcore), padre italiano e madre romena, laurea in Economia, passione per lo yoga, dal 2014 è il tesoriere della Lega di Matteo Salvini. I magistrati capitolini stanno investigando su 250.000 euro erogati dalle società del costruttore Luca Parnasi (arrestato con l'accusa di corruzione) all'associazione Più Voci di cui Centemero è presidente.Onorevole, come si sta da indagati? «Mi chiami pure Giulio, e comunque guardi che non non ho ricevuto nulla».Per iscriverla non devono mandarle mica un avviso di garanzia.«Certo, questo lo so».Da quanto non sente Parnasi?«Da molto tempo, da un bel po' prima che lo arrestassero, dai primi mesi del 2018».A quando risalgono i suoi finanziamenti?«Il 2 e il 31 dicembre 2015 ha fatto due donazioni: una da 125.000 euro e l'altra da 55.000 euro; il 12 febbraio 2016 una terza da 70.000. Si trattava di “erogazioni liberali", come risulta dalle causali, e sono state utilizzate per attività istituzionali, niente è andato per l'attività politica della Lega, sono due cose completamente separate».È in grado di dimostrare come siano state utilizzate quelle somme?«Assolutamente sì. Per esempio a sostegno di Radio Padania. È una cooperativa di persone fisiche completamente separata dalla Lega e non è nemmeno la radio ufficiale del partito».Quanto denaro avete dato a Radio Padania?«Una cifra consistente. Ma non sono andati alla radio solo i soldi di Parnasi. Lui non è il solo erogatore liberale. Ne abbiamo altri. Anche per cifre consistenti. C'è chi eroga il massimo, 100.000 euro l'anno. Avrebbe potuto farlo anche Parnasi suddividendo su tre anni i suoi 250.000 euro. È stata una sua scelta quella di voler partecipare ad altri progetti. Le sue donazioni hanno consentito, per un certo periodo, di pagare gli stipendi alla radio, altrimenti sarebbe stata chiusa. Hanno permesso pure di sostenere la start-up del blog Populista, e poi la presentazione del libro di Marcello Foa (il presidente della Rai in pectore, ndr), questo molto di recente. Abbiamo fatto attività di questo tipo. Tutte spese dimostrabili al centesimo». Le elargizioni andavano su un conto intestato a Più Voci?«Sì, certo».Mai ritirato somme consistenti in contanti?«Mai. Il conto di Più Voci è a disposizione della magistratura con tutti i movimenti».Anche con i bonifici di Parnasi?«I suoi non erano bonifici, ma assegni. Pure quelli, però, sono tracciabili perché li abbiamo depositati in banca».Quanti sono passati da quel conto nel periodo sotto osservazione? «Circa 400.000 euro in tutto, dal 2015 a oggi. E sono in grado di dimostrare che non sono stati utilizzati per attività della Lega, come è certificato da una primaria società di revisione».E qual è questa società?«È una delle big four, non posso dirle il nome. I legali hanno già depositato la loro perizia al Tribunale di Genova. Che i soldi erogati da Parnasi siano andati a Più Voci è dimostrato e dimostrabile».Che cosa c'entra Più Voci con il processo genovese sui 49 milioni di euro che la Lega deve restituire allo Stato?«Preferirei non lo scrivesse, ma i magistrati liguri sono convinti che abbiamo occultato una decina di milioni, che li abbiamo riciclati attraverso Più Voci e che poi li abbiamo mandati all'estero. Ma non è così». In un'intercettazione Parnasi e un suo collaboratore parlavano di dare alla Lega 200.000 euro in piena campagna elettorale 2018. Quei quattrini sono arrivati?«Mai visti. Nel 2018 non ci sono state erogazioni da parte di Parnasi».Sempre dalle intercettazioni emergerebbe l'intenzione di quest'ultimo di chiedervi documentazione retro datata per giustificare le donazioni del 2015-2016.«Nessuno mi propose di emettere fatture false». Chiederà di essere sentito dai pm?«Lo valuteremo con l'avvocato, ma non avrei problemi».Cosa sa dei rapporti tra Parnasi e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti?«Mi risulta che fossero vicini di casa a Roma».Era Giorgetti a interessarsi dei finanziamenti di Parnasi?«Io e Giancarlo ci conosciamo molto bene, e lui sapeva che mi ero preso a cuore questa causa persa dell'editoria. Facendo il tesoriere mi ero reso conto che stava morendo tutto quel mondo. A inizio 2015 abbiamo voluto creare un'associazione non profit (e non una onlus) per cercare di aiutare queste realtà. Giorgetti sapeva che c'era questo giovane che voleva dare una mano».Dunque vi ha presentati Giorgetti?«Certo. Io facevo fundraising per la Lega, e c'erano questi progetti legati a Più Voci». Parnasi ora è accusato di corruzione…«Magari è stato borioso, ma a me non pare che ci siano prove che abbia commesso reati o sbaglio? Ha dato 50.000 euro a Beppe Sala per attività politiche. Certo, vorrei vedere se sono stati dichiarati tutti in maniera regolare. Ha versato soldi a Eyu (fondazione legata al Pd, ndr). Ha finanziato esponenti dei 5 stelle, come un candidato poi non eletto…».Secondo lei sono state tutte donazioni innocenti?«Non parlo per gli altri. Sicuramente non siamo stati corrotti da Parnasi. Ha dato tutto a un'associazione d'area leghista: la Lega nel 2015-2016 che potere aveva sullo stadio della Roma che Parnasi voleva costruire?».Il suo predecessore, l'ex tesoriere Francesco Belsito, dice che quando se n'è andato nelle casse della Lega c'erano ancora 40 milioni. Che fine hanno fatto?«Belsito non lo ascolto neanche se racconta barzellette. Lui è la causa di tutti i nostri mali e dovrebbe stare in gattabuia. Detto questo, quelle somme sono state utilizzate per retribuire i 72 dipendenti della Lega. Erano i peggio pagati tra tutti i partiti, ma quello che percepiva di meno incassava 1.700 euro netti al mese. In cinque anni sono andati via 24 milioni in stipendi. Solo la campagna elettorale per la Lombardia di Roberto Maroni è costata 6 milioni. Con le altre campagne arriviamo a 20. I conti sono presto fatti: abbiamo speso 44 milioni. Prima o poi dovranno crederci. E comunque sui nostri rendiconti è sempre stata apposta la vidimazione di Camera e Senato. Il Pd negli stessi anni ha percepito 189 milioni di euro». Per vostra sfortuna hanno intercettato le telefonate di Belsito…«I soldi sono stati spesi. Al massimo potrebbero farci una sanzione per errori formali». Però se scoprissero che avete nascosto milioni all'estero, come sospettano, sarebbe un problema. «Ma non ci sono. Io non ne ho mai avuto contezza».Gli inquirenti hanno puntato l'attenzione su 10 milioni di euro trasferiti dalla Sparkasse in Lussemburgo e su 3 milioni rientrati in Italia dal Principato…«Io ho chiuso il conto corrente della Lega presso quell'istituto appena sono diventato tesoriere, nel 2014. I movimenti sospetti sono del 2016 e del 2018. La Lega non c'entra nulla con quei trasferimenti».
Ansa
È la logica conseguenza del wokismo: i giudizi non si basano più su parametri oggettivi.
Se è vero che «i fascisti» sono tutti quelli che la sinistra definisce tali indipendentemente dalla loro adesione o meno agli ideali del fascismo, allora anche «i ricchi» sono tutti coloro che la sinistra indica come tali, in maniera puramente circostanziale e situazionista, in base all’opportunità politica del momento.
La surreale discussione sui «ricchi» privilegiati dalla Legge di bilancio, che altri non sarebbero se non quelli che guadagnano 2.500 euro al mese, non si limita a mostrarsi come una delle tante battaglie propagandistiche che la politica deve fare per segnalare la sua esistenza in vita ma è indice di una forma mentis estremamente interessante. Perché se è vero che definire «il fascista» in base al giudizio soggettivo che l’osservatore dà ai comportamenti dell’osservato - per arrivare ad associare un comportamento, una tendenza e financo un’espressione del volto a qualcosa di «fascista» - stabilire la categoria di «ricco» indipendentemente dal denaro che quella persona possiede significa, ancora una volta, rifiutare il principio di oggettività del dato del reale con tutto ciò che tale scelta implica.
Maurizio Landini e Elly Schlein (Ansa)
Bombardieri, come la Cisl, dice che non incrocerà le braccia e isola ancor più la Cgil Che ieri non ha firmato un rinnovo di contratto nella Pa: ennesimo dispetto al governo.
L’esecutivo nazionale della Uil, al termine di un vertice convocato ieri, ha approvato all’unanimità la convocazione di una manifestazione nazionale a Roma per sabato 29 novembre. Obiettivo? ottenere modifiche alla manovra economica varata dal governo. Insomma, sì a una manifestazione, no a uno sciopero. Questo significa anche che la Uil non aderirà allo sciopero generale del 12 dicembre convocato dalla Cgil, confermando l’allontanamento tra le due realtà sindacali.
Nelle stesse ore il segretario della Cgil Maurizio Landini si incontrava al Nazareno con Elly Schlein e altri dirigenti del Pd, che in questi giorni stanno incontrando le le parti sociali. Ma che l’azione di Landini sia ispirata politicamente lo dimostra la scelta di convocare uno sciopero in un giorno diverso da quello convocato dall’Usb. Questi ultimi, infatti, che negli ultimi mesi hanno dimostrato di riuscire a portare nelle piazze numeri importanti di manifestanti, ha scelto il 27 e il 28 novembre per l’agitazione indetta non solo da Usb, ma anche Cobas e altre sigle e riguarderà il personale di sanità, scuola, servizi e pubblica amministrazione, ma a rischio ci sono anche i treni e il trasporto aereo.
(Ansa)
Si è svolta a Roma la quarta Giornata del Veterano, durante la quale la sottosegretaria alla Difesa Isabella Rauti ha ricordato il ruolo dei militari che hanno riportato traumi nel servizio: «La Difesa non lascia indietro nessuno», ha commentato a margine dell’evento.
Il generale Florigio Lista, direttore dell’Istituto di Scienze Biomediche della Difesa, ha spiegato: «Abbiamo fondato un laboratorio di analisi del movimento e stiamo formando dei chirurghi militari che possano riportare in Italia innovazioni chirurgiche come l’osteointegrazione e la Targeted Muscle Reinnervation».
Il rettore della Scuola Superiore Sant’Anna, Nicola Vitiello, ha evidenziato l’obiettivo dell’iniziativa: «Dare ai veterani gli strumenti per un reinserimento completo all’interno della società e del mondo del lavoro».
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Giorgia Meloni (Ansa)
A beneficiarne è stato soprattutto chi guadagna fino a 15.000 euro (-7%) e fino a 35.000 euro (-4%). Corsa agli emendamenti alla manovra. Leo: «Dall’aumento dell’Irap potremmo escludere automotive e logistica».
Ormai è diventato un mantra, una litania che la sinistra, con il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, che fa da apripista, ripete da giorni. È una legge di bilancio che diminuisce le tasse ai «ricchi», che dimentica le classi meno abbienti, una manovra squilibrata a vantaggio di pochi. La risposta del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è che è stata effettuata invece un’operazione di riequilibrio a vantaggio del ceto medio, che nelle precedenti leggi di bilancio era stato sacrificato per concentrare risorse sulle famiglie in maggiore difficoltà. C’è quindi un filo conduttore che segna gli anni del governo Meloni, ovvero la riduzione complessiva del carico fiscale, come annunciato nel programma elettorale, che si realizza per tappe dovendo sempre rispondere ai vincoli di bilancio e agli obiettivi di rientro del deficit concordati con la Ue. Obiettivi che dovrebbero essere raggiunti con il calo del deficit sotto il 3% del Pil, in anticipo sulla tabella di marcia.






