2021-02-08
I ricchi affari della finanza islamica
Mohammed bin Salman (Ansa)
Ecco il report che spiega la strategia dei Paesi musulmani; hanno investito 2 trilioni di dollari per sviluppare settori economici che rispettano le regole della sharia e ora vogliono crescere del 3% ogni anno Il mercato attira l'interesse di parecchi lobbisti. L'obiettivo, per le economie islamiche, ha dei contorni ben definiti: «Prosperare nell'incertezza». Nonostante la pandemia, che ha messo in ginocchio la quasi totalità dei sistemi finanziari mondiali, nel mondo musulmano alcuni indicatori di spesa torneranno ai livelli pre-crisi già alla fine dell'anno. La previsione è contenuta in un report elaborato dalla società di consulenza statunitense DinarStandard per conto della Salaam Gateway, azienda, con sede a Dubai, che monitora lo sviluppo dell'economia islamica nel mondo. La stesura del rapporto rientra in una più ampia strategia di lobbying, per «ispirare imprenditori e funzionari governativi a valutare strategie di mercato incentrate sull'economia islamica globale». Nell'ultimo anno, la spesa complessiva del mondo musulmano supera i 2 trilioni di dollari, in crescita di oltre il 3% rispetto al 2018. Nelle valutazioni dei consulenti statunitensi, rientrano anche le spese per il cibo, i cosmetici, i farmaci, la moda e i viaggi, settori su cui impattano le regole della sharia, la legge religiosa islamica. Nei prossimi 3 anni, è previsto un ulteriore balzo del 3%, con la cifra totale della spesa che si assesterà a 2,4 trilioni di dollari. Nella classifica dei Paesi che si sono mossi meglio per sviluppare le opportunità dell'economia islamica, DinarStandard cita il caso dell'Arabia Saudita. Nel 2019, il valore delle attività finanziarie sono aumentate del 16%. A Riyhad, hanno messo in cantiere una serie di operazioni, tra cui il lancio di un fondo da 4 miliardi di dollari per supportare le innovazioni tecnologiche nel campo turistico. Sarà anche per questa vitalità che, nel bel mezzo della crisi di governo, Matteo Renzi non si è fatto grossi problemi a volare in Arabia Saudita dal principe Mohammed bin Salman, per partecipare a una conferenza organizzata dal Future investment initiative institute, fondazione di diretta emanazione della famiglia reale. La due giorni di incontri per parlare di investimenti, con annesso volo privato da 28.000 euro per il senatore di Scandicci, rientra nel tentativo del regime di accreditarsi a livello internazionale. Di eventi del genere, negli ultimi anni, ne sono stati organizzati parecchi. Uno dei più importanti, secondo gli analisti di DinarStandard, è stato il Fashion futures, dedicato interamente alla moda. Tre giorni di esibizioni e dibattiti, cui hanno preso parte imprenditori, designer e modelle. Nel 2019, la spesa totale della popolazione islamica per l'abbigliamento ha toccato i 277 miliardi di dollari, in crescita del 4% rispetto all'anno precedente. Insieme con l'Arabia Saudita, sono l'Iran e la Turchia i Paesi ad aver investito di più per lo sviluppo del settore. A causa della pandemia, a spingere le vendite ci hanno pensato le piattaforme online e le startup emergenti. Basti pensare a quanto successo in Indonesia, con la piattaforma Evermos che ha ricavato più di 8 milioni di dollari nella prima fase di raccolta del capitale. Tracce della moda islamica arrivano anche in Italia, con la prima piattaforma digitale dedicata esclusivamente ai clienti musulmani: Deenary.com. In questo mercato di prodotti halal, cioè conformi alla legge islamica, si può trovare di tutto: dai capi di abbigliamento agli accessori per la casa. Per finire con il cibo, che è il vero comparto forte dell'economia islamica: oltre il 51% degli investimenti totali, secondo DinarStandard. Nel 2019, la spesa totale per il cibo ha abbondantemente superato il trilione di dollari. Il commercio di alimenti halal si è esteso anche grazie ad alcuni accordi che hanno coinvolto Paesi non appartenenti all'Organizzazione per la cooperazione islamica, come il Brasile. Molte compagnie, anche in Europa, si sono dovute adattare alle richieste del mercato. In Italia, quasi 100 aziende lavorano già prodotti certificati halal. Scorrendo l'elenco dell'Ente per la certificazione islamica, spuntano fuori nomi noti dell'agroalimentare: dai produttori di Parmigiano Reggiano Dop a quelli che commerciano carne. Per finire con i grissini per snack o l'acqua naturale. A soffrire di più l'impatto della pandemia sarà il settore turistico, con una perdita stimata nel 2020 di 58 miliardi di dollari. Secondo i dati dell'Osservatorio della finanza islamica di Torino, l'Italia «non è considerato un paese accogliente per i turisti musulmani». O almeno, non quanto lo siano altri Paesi, come Regno Unito, Francia e Spagna. I precetti islamici, del resto, impongono regole piuttosto stringenti, che hanno poco o nulla a che vedere con l'idea occidentale dell'accoglienza: la stanza d'albergo andrebbe attrezzata con un tappeto per la preghiera, le immagini o le statue di religione diversa dall'Islam andrebbero bandite e l'alcol in stanza è assolutamente vietato. Eppure, qualcuno ci sta provando: a Venezia, l'accordo tra l'associazione degli albergatori e l'Halal Italia Venezia darà vita a una rete di hotel con certificazione di qualità per l'ospitalità musulmana; a Firenze, ci sono già 15 alberghi extra-lusso «muslim friendly». La scelta la spiega il presidente di Federalberghi Firenze, Francesco Bechi: «Questa è una nicchia di altissimo valore aggiunto. Per uscire dalla crisi che stiamo vivendo, sarà fondamentale recuperare i mercati tradizionali, ma anche aprirsi ad altre culture. Gli spazi di crescita sono enormi: dovremmo prepararci a offrire una rete di servizi anche a chi ci richiede particolari necessità».