
Grazie all’iniziativa del settimanale e della «Verità», e soprattutto dei loro lettori che hanno contribuito economicamente, è stata ricostruita l’identità di alcuni soldati trucidati dai titini a guerra finita, in Croazia.Ventisette cassette avvolte nel tricolore. Ventisette vite che da oggi hanno un posto nella storia e un’identità simbolica. Una dignità l’hanno sempre avuta quei 27 caduti, nella memoria e nell’affetto di chi li aveva perduti ma non li ha mai dimenticati. E attraverso memorie, fotografie, abiti, oggetti aveva tenuto vivo il ricordo in attesa che almeno il vento li riportasse a casa. Il destino si è compiuto il 13 dicembre scorso quando - come racconta Fausto Biloslavo nel numero di Panorama in edicola - nel Sacrario dei caduti d’oltremare di Bari si è tenuta una cerimonia particolare, avvolta nella commozione: la restituzione alle famiglie delle spoglie terrene dei marò trucidati a Ossero, in Croazia, dai partigiani di Tito nella notte fra il 21 e il 22 aprile 1945, in uno dei più feroci massacri perpetrati quando la seconda guerra mondiale era ormai finita. Si erano arresi sull’isola di Cherso, quegli italiani della Decima Mas con la divisa sbagliata, perché in cambio era stata garantita loro la vita. Erano prigionieri di guerra, ormai inermi. E invece, come spesso raccontato anche da Giampaolo Pansa nei suoi libri così realistici da essere osteggiati, i partigiani slavi li hanno costretti alla marcia dell’infamia, fra sputi e vessazioni, denudati e insultati, poi trucidati con colpi a bruciapelo alla nuca, deturpati con mazze ferrate e gettati in una fossa comune che avrebbe dovuto fungere da eterna tomba. Una foiba per dimenticare l’eccidio e la vergogna che lo accompagnò. E invece i 27 sono tornati 79 anni dopo con la forza del ricordo e dell’amore di parenti che non li hanno mai dimenticati, e che hanno messo a disposizione di medici ed esperti il necessario per recuperare, grazie al Dna, nomi, discendenze, incastri famigliari.Ora riposano nelle 27 cassette avvolte nel tricolore. Ora stanno di nuovo dentro gli alberi genealogici famigliari al posto della dicitura «disperso» o «caduto ignoto». La soluzione del cold case è dovuta anche all’impegno de La Verità, di Panorama, e dei nostri lettori che con oltre 300 donazioni (per un totale di 26.293 euro) hanno contribuito a finanziare il lavoro della Difesa, delle università di Bari e Trieste per imbastire e portare a termine l’operazione. Il vizio della memoria è stupendo e faticoso, non conosce ostacoli e neppure quei pregiudizi ideologici che il nostro Paese non è ancora riuscito ad archiviare.L’idea era nata dopo il ritrovamento (nel 2019) dei resti di 21 marò e di 6 militi del battaglione Tramontana in due fosse comuni dietro il muro della chiesa di Ossero. Il primo a svelare la storia del massacro era stato il capitano Federico Scopinich grazie a testimonianze raccolte sul posto. «Qualcuno ha continuato a depistare, a dire che non era vero nulla», disse a Fausto Biloslavo in un famoso reportage di Panorama. «C’era chi sosteneva che i marò erano stati gettati in mare e che dopo così tanti anni era impossibile fare l’esame del Dna». La svolta è avvenuta quando la presidente degli esuli della comunità di Lussinpiccolo, Licia Giandrossi, ha proposto alla rivista una raccolta di fondi per finanziare l’operazione verità e identificare i caduti.I lettori hanno immediatamente capito il valore storico e morale dell’iniziativa, hanno aderito con silenziosa e discreta partecipazione. Sono arrivate in redazione centinaia di donazioni, compresa quella del generale Mario Arpino, ex capo di stato maggiore della Difesa, dell’associazione degli Incursori della Marina, dei parenti di Norma Crosetto, la martire istriana violentata e infoibata dai titini. Ne è scaturita anche una tesi di laurea, Gli eccidi della seconda guerra mondiale, firmata da Aurora Carnio che descrive minuziosamente l’indagine genetica. «È stato un lavoro complicato e coinvolgente. Uno degli scopi della medicina legale è identificare i resti umani, che significa anche ridare giustizia e dignità alle vittime». Decisiva è stata la collaborazione di Francesco Introna, direttore dell’Istituto di medicina legale di Bari, città che ospita il Sacrario nel quale riposano le spoglie di 75.000 caduti italiani di quella grande tragedia collettiva. Decisivo il lavoro dell’ex carabiniere Riccardo Maculan, che con una minuziosa ricerca ha rintracciato i parenti per il test genetico.La riesumazione, l’identificazione e infine la restituzione alle famiglie il 13 dicembre scorso. Quando i 27 militari del picchetto d’onore hanno consegnato ai famigliari le urne mentre una tromba suonava il Silenzio, la commozione ha preso il sopravvento sulla solennità. Emilio Biffi, Ettore Brogi, Gino Civolani, Ermanno Coppi, Francesco De Muro, Dino Fantechi, Giuseppe Mangolini, Enea Gesualdo, Luciano Medri, Aleandro Petrucci, Iginio Sersanti, Fabio Venturi. Presenti. Testimoni con un’identità e un anima di un sacrificio, di una storia, di un crimine di guerra. Una lapide li aspettava in Sardegna, in Romagna, in Abruzzo, in Toscana. «Finalmente li riportiamo a casa», sussurravano i nipoti. Perché nessuno, in nessuna guerra, mai, ha l’esclusiva del dolore e della consolazione.
Il neo sindaco di New York Zohran Mamdani (Ansa)
Il sindaco di New York non è un paladino dei poveri e porta idee che allontanano sempre più i colletti blu. E spaccano l’Asinello.
La vulgata giornalistica italiana sta ripetendo che, oltre a essere uno «schiaffo» a Donald Trump, la vittoria di Zohran Mamdani a New York rappresenterebbe una buona notizia per i diritti sociali. Ieri, Avvenire ha, per esempio, parlato in prima pagina di una «svolta sociale», per poi sottolineare le proposte programmatiche del vincitore: dagli autobus gratuiti al congelamento degli affitti. In un editoriale, la stessa testata ha preconizzato un «laboratorio politico interessante», sempre enfatizzando la questione sociale che Mamdani incarnerebbe.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 7 novembre con Carlo Cambi
Il luogo dell'accoltellamento a Milano. Nel riquadro, Vincenzo Lanni (Ansa)
Nei principali Paesi europei, per essere riconosciuto «pericoloso» basta la segnalazione di un medico. Qui invece devi prima commettere un delitto. E pure in questo caso non è detto che una struttura ti accolga.
Vincenzo Lanni, l’accoltellatore di Milano, aveva già colpito. Da condannato era stato messo alla Rems, la residenza per le misure di sicurezza, poi si era sottoposto a un percorso in comunità. Nella comunità però avevano giudicato che era violento, pericoloso. E lo avevano allontanato. Ma allontanato dove? Forse che qualcuno si è preso cura di Lanni, una volta saputo che l’uomo era in uno stato di abbandono, libero e evidentemente pericoloso (perché se era pericoloso in un contesto protetto e familiare come quello della comunità, tanto più lo sarebbe stato una volta lasciato libero e senza un riparo)?
Ansa
Dimenticata la «sensibilità istituzionale» che mise al riparo l’Expo dalle inchieste: ora non c’è Renzi ma Meloni e il gip vuole mettere sotto accusa Milano-Cortina. Mentre i colleghi danno l’assalto finale al progetto Albania.
Non siamo più nel 2015, quando Matteo Renzi poteva ringraziare la Procura di Milano per «aver gestito la vicenda dell’Expo con sensibilità istituzionale», ovvero per aver evitato che le indagini sull’esposizione lombarda creassero problemi o ritardi alla manifestazione. All’epoca, con una mossa a sorpresa dall’effetto immediato, in Procura fu creata l’Area omogenea Expo 2015, un’avocazione che tagliò fuori tutti i pm, riservando al titolare dell’ufficio ogni decisione in materia.






