2019-11-06
«I renziani rischiano di far perdere alla sinistra perfino la Toscana»
Enrico Rossi, il governatore, che nel 2020 non potrà correre per il terzo mandato, è contrario all'alleanza con i 5 stelle: «Il Nazareno deve smettere di subire la scissione a rate. La patrimoniale? Non mi scandalizza».Enrico Rossi, due volte governatore della Toscana, alle votazioni del prossimo anno non potrà ricandidarsi. Uscito dal Pd in polemica con Matteo Renzi e rientrato dopo l'elezione di Nicola Zingaretti, è oppositore dell'alleanza con i 5 stelle. Che si augura non venga riproposta in Toscana. È sempre stato contrario a un'intesa con Luigi Di Maio.«Ero per sfidare la destra a viso aperto. Più che a un'alleanza organica con i grillini, l'esecutivo deve lavorare a tre-quattro priorità. La messa in sicurezza dei conti, come bene sta facendo Roberto Gualtieri, rimettere sui giusti binari l'autonomia differenziata, come fa Francesco Boccia, assicurare investimenti pubblici al Sud, come annunciato da Giuseppe Provenzano». Qual è la sua analisi sulla sconfitta in Umbria? In fondo il Pd aveva quasi tenuto, non ci fossero stati i grillini.«Il Pd ha tenuto ma la sconfitta ha ragioni profonde. L'Umbria è una regione economicamente viva. Ma è una zona interna dove mancano strade, treni, il digitale, investimenti per la sicurezza e per l'ambiente, questioni di carattere nazionale. La crescita della Lega è anche la cartina tornasole di questa geografia dell'abbandono. O affrontiamo queste situazioni o saremo condannati alla sconfitta».Quali sono le divergenze con il M5s? Si parte dall'idea di democrazia…«Si parte dall'articolo 67 della Costituzione, una conquista dell'antifascismo con la democrazia rappresentativa. Con i 5 stelle divergiamo sull'idea di popolo. Per la sinistra italiana farsi popolo significa liberarlo dalla miseria, dall'ignoranza. Battersi per l'emancipazione. Aderire sì a tutte le pieghe della società ma senza subalternità a sentimenti anti Stato e anti politica».Altre differenze?«L'idea di crescita e sviluppo. Gli stessi temi di giustizia, dalla centralità del lavoro rispetto a quella del reddito».Cosa pensa del reddito di cittadinanza? Lo abolirebbe?«No, anche se sono molto critico. Per anni l'Italia è stata l'unica nazione europea, con la Grecia, a non avere una misura contro la povertà. Poi arrivò il reddito di inclusione ma la sinistra non ebbe la forza di finanziarlo adeguatamente».Cosa pensa del caso Ilva?«Un problema grosso, non solo industriale, ma politico e di serietà. Al di là delle premesse assai discutibili, su Ilva è forte l'impressione che si stia al governo assieme per ridiscutere continuamente decisioni già prese».Lei ha lasciato il Pd per poi farci ritorno. Perché?«La scissione non ha funzionato. Il mio rientro nel Pd significa questo: piuttosto che ricreare un nuovo nido, per dirla con le parole di Antonio Gramsci, sono a disposizione per la manutenzione di quel nido da cui tanti, me compreso, provengono».Lo strappo di Renzi fa bene o no alla sinistra?«Quella di Renzi è una scissione a rate che può funzionare in Toscana più che altrove. Qui mantiene una forte influenza, soprattutto a Firenze. Una sorta di etero direzione del Pd. La mossa di Renzi, più che allargare il centrosinistra, può danneggiarlo seriamente. Per questo dobbiamo definire una strategia autonoma. Serve un lavoro di rigenerazione del partito. Non vorrei che arrivassimo impreparati a subire le altre rate della scissione preannunciate a giugno 2020, dopo le regionali».Lei dice di essere favorevole a una patrimoniale…«Non mi scandalizza l'idea di una tassa sui patrimoni più alti, su quel 10% di italiani. La paura di essere tacciati come gente di sinistra ci ha impedito di fare questa battaglia. Il Pd si impegni a farla adesso».La sua ricetta per arginare il centrodestra di Salvini?«Più che di centrodestra parlerei di destra-destra. Il centro moderato non c'è più, basta vedere cosa è accaduto con la commissione Segre. Il centrosinistra deve lavorare per evitare l'abbraccio fatale tra questa destra estrema e il ceto medio. Battersi per la giustizia sociale, per la redistribuzione, per un fisco veramente progressivo, per aumentare i salari e per finanziare i servizi pubblici a cominciare da sanità, scuola e trasporti. Se non faremo questo, Salvini avrà gioco facile nell'insediare un regime illiberale. Reazionario di massa, direbbe Palmiro Togliatti». Se Salvini vincesse in Emilia Romagna il governo dovrebbe dimettersi?«Penso che la legislatura arriverà all'elezione del capo dello Stato. Il destino di un governo non è legato solo alle regionali. Ora mi concentrerei nel battere la destra».Nel 2020 si vota anche in Toscana, lei però non può ricandidarsi…«Per me la figura ideale è una candidata donna che unisca tutto il centrosinistra. Perché la Toscana ha fatto tante rivoluzioni, nella sanità, nei servizi e nei diritti. Ora attende una rivoluzione di genere. Questa è l'occasione».Crede che la Toscana possa passare al centrodestra?«Abbiamo corso questo rischio con la vocazione maggioritaria e l'autoreferenzialità del Giglio magico. In quel periodo la destra ha conquistato importanti Comuni ma da quando Renzi non è più segretario abbiamo ripreso a vincere. Se lavoriamo a una coalizione plurale che dialoga con le forze del lavoro e dello sviluppo, dando vita a un'alleanza democratica e sociale, qui Salvini batterà i denti». Pensa che si possa riproporre in Toscana l'alleanza con il M5s?«Centrosinistra e M5s hanno visioni profondamente diverse. Prendiamo le infrastrutture. Qui in Toscana i grillini sono contrari alla Tirrenica, al sotto attraversamento Tav di Firenze, all'adeguamento dell'aeroporto di Peretola, alla nuova darsena Europa del porto di Livorno. Tutte battaglie storiche del centrosinistra toscano. A Livorno ai 5 stelle è andata male. Lì ha vinto un centrosinistra largo, aperto alle forze civiche, popolare. Non mi piace parlare di modelli ma consiglierei di guardare bene a cosa è accaduto in quella città. In Toscana non ci sono solo Prato e Firenze».Come spiega che in Italia non esista un partito ambientalista?«In Italia l'ambientalismo è diffuso ma per diventare volontà politica è necessario un patto per lo sviluppo che coinvolga sindacati, imprese, mondo cooperativo, artigiani e commercianti. Un partito verde senza il mondo del lavoro è impensabile. Il Pd deve farsi carico di questi temi e diventare una forza rossoverde». Nel dibattito sul cambiare nome al Pd lei ha proposto Partito socialdemocratico…«Non penso al Psdi del pentapartito. Penso al portoghese António Costa, allo spagnolo Pedro Sánchez. Possiamo chiamarlo come vogliamo, l'importante è il riferimento al socialismo come universalismo e come fondamento».Ultima domanda: che consiglio darebbe a Zingaretti?«Di fare un congresso, largo e partecipato, in cui ci sia il tempo per discutere e approfondire le nostre ragioni e i nostri legami a cominciare da quelli con il mondo del lavoro. In pochi mesi sono accaduti fatti importanti, un governo coi 5 stelle e una scissione a rate. Adesso occorre un momento costituente per il Pd».