2019-08-18
I reazionari possono salvare l’Italia opponendosi a chi vuole affossarla
Rivalutiamo questo termine, utilizzato sempre come un insulto. La reazione è un istinto naturale in difesa della vita. Contro l'idolatria del progresso e di chi vuole sostituire Dio con l'uomo. Portandoci al nichilismo.Si moltiplicano le sviolinate ai «governi istituzionali», e i grandi media chiedono «compostezza, prudenza, ascolto, umanità», sbandierando senza traccia di ironia né vergogna tutto l'armamentario retorico della politica di professione, mandata solo in parte a casa con le elezioni del marzo 2018. Normale dunque che a questa pagina di bastian contrari, intitolata Sguardo Selvatico, venga voglia di parlare di un'antica, irritante parola, molto usata in scienze più o meno esatte come la fisica e la medicina, ma anche nella inesatta scienza della politica: reazione. Tema d'attualità non solo da noi se un politologo di grido come Mark Lilla, collaboratore del New York Times, ci ha scritto sopra un intero libro, ora pubblicato in Italia da Marsilio: «Il naufragio della ragione. Reazione politica e nostalgia moderna». E non è il solo, come vedremo.Eppure «reazionario» (soprattutto in Italia) è considerato uno dei peggiori insulti che si possano fare, uno di quelli che rovinano per sempre la reputazione in società. Come mai allora una star della politologia se ne occupa, e in Francia un giornalista affermato come Ivan Rioufol la presenta come una scelta ormai urgente, nel suo libro De l'urgence d'etre reactionnaire, pubblicato dalla più che autorevole Presses Universitaires de France? Il fatto è che per liberarsi della reazione non basta dire che i reazionari sono tutti delinquenti pazzi. Anche se i reazionofobi non lo sanno, «reazione« prima di essere una posizione politica è infatti un fenomeno elementare della vita e della realtà. Reazione è, nelle scienze, ogni tentativo di opporsi alla morte che avanza. Nella medicina moderna fu definita l'«energia difensiva che agisce contro tutte le cause di distruzione», strettamente legata all'istinto di conservazione. Nelle dinamiche psicologiche è la più attiva tra le funzioni che si oppongono alla morte.La sua impopolarità è dovuta anche al fatto che, essendo impegnata in una sfida vitale, non ha tempo da perdere e deve agire rapidamente. Ad esempio: «Si voti subito», e «Ma che fretta c'è?» è un tipico dibattito tra reazione vitale e tentativo mortifero di tirare avanti qualcosa di non più vitale, forse anche un po' marcio. Nell'urgenza fisiologica capita poi che la reazione non si esprima in modo gentile e aggraziato e ciò non le dà una buona reputazione nei salotti. Si tratta infatti (come spiegò già alla fine del Settecento Maine de Biran, uno scienziato e medico aristocratico scampato di misura alla rivoluzione francese) di una spinta originata da esigenze vitali provenienti da muscoli e nervi motori che reagiscono istintivamente a un contesto distruttivo.L'istinto di sopravvivenza fisica non è però l'unica forza della reazione. Quella decisiva, e che caratterizza il suo modo di esprimersi nei secoli e anche la sua capacità di resistenza, è l'ispirazione spirituale. Non è per un culto cimiteriale del passato (come sostiene un po' rapidamente Mark Lilla nel suo libro) che il «reazionario» si oppone all'idolatria del progresso, ma per difendere il presente dai guai in cui si è messo. Lo ha spiegato bene Armando Plebe nel suo Filosofia della reazione (con un po' troppo Lacan, oggi non più attuale). La forza della reazione è proprio quella di non occuparsi del passato nel modo feticista dei tradizionalisti sentimentali, ma per i suoi rapporti con il presente. D'altra parte non è troppo credulona sul futuro, come i progressisti che si bevono i racconti utopici venduti in saldo dai padroni del vapore.I reazionari invece difendono il qui e ora, anche perché ne accettano i limiti come fa Gesù quando pone come esempio «il giglio del campo e l' uccello del cielo» (di cui parla il filosofo esistenzialista Soeren Kierkegaard nel libro edito con lo stesso titolo da Donzelli): si tratta di essere liberi e felici. «Non vi angustiate dunque chiedendovi: che mangeremo, che berremo o di che ci vestiremo? Non affannatevi per il domani». Finalmente fuori dall'ansia del pensiero materialista! La reazione, infatti, è ispirata da una spiritualità realista, e da una visione trascendente. A differenza di ciò che a quanto pare pensano anche molti preti, il «Regno di Dio non è di questo mondo». Ma nel frattempo è decisivo non farsi fregare, senza esitare a rovesciare i tavoli che i mercanti hanno piazzato nel tempio e altrove.È per difendere la vita che nel pensiero reazionario è centrale la dimensione spirituale, messa in pericolo dai progressisti di ogni tipo col loro progetto di sostituire a Dio l'uomo, moderno Prometeo, ma meno eroico. Uno dei maestri della reazione di cui si occupa Lilla, Eric Voegelin, sosteneva che «Quando si abbandona il Signore e le cose del mondo sono diventate i nuovi dèi è solo questione di tempo prima di cominciare a venerare un Fuehrer». Voegelin, di cui pochi si occupavano quando era in vita, è oggi uno dei filosofi più riletti e studiati. Un altro, di cui scrive anche Mark Lilla, è Leo Strauss, originale allievo di Martin Heidegger, cui si attribuisce una grande influenza sulla politica delle ultime presidenze repubblicane americane e sui movimenti neo conservatori che hanno preparato il terreno a Donald Trump. Per Strauss, l'illuminismo ha affondato la tradizione del diritto naturale classico nel suo complesso e ciò ha condotto prima al relativismo, poi a un nichilismo totale. Per ricostruire una società con individui vitali occorre reagire e ristabilire il diritto naturale.le accuse della sinistraPosizioni simili, anche se più dirette e concrete presentano poi anche i «reac», i reazionari europei, a cominciare dai francesi. Il saggio Il suicidio francese di Eric Zemmour e il romanzo Sottomissione di Michel Houellebecq (di cui parla anche Lilla nel suo libro) si rifanno direttamente alla prima origine della reazione: la lotta contro la morte, salvando attorno a sé ciò che si ama. Di essere ormai «reac» sono accusati però molti altri, a cominciare da Pascal Bruckner e Alain Finkielkraut, filosofi che non hanno perdonato alla sinistra di aver abbandonato le classi popolari per abbracciare la difesa delle minoranze che servono alle élite. A dire il vero però, le stesse critiche le ha rivolte (confezionate con grazia) ancora Marc Lilla al Partito democratico americano dalle colonne del New York Times.Insomma, a meno di stravolgere completamente la realtà, è impossibile commentare ciò che accade oggi, al di qua e al di là dell'oceano, senza incespicare nei fatti. È innegabile che le sinistre in Occidente abbiano abbandonato le classi popolari (Massimo D'Alema sosteneva addirittura che non ci fossero più le classi), per inseguire i tic di minoranze risibili, però utili per pagare meno i lavoratori e per il mercato della riproduzione artificiale. Che sia stata una spinta suicida lo raccontano le cronache, anche elettorali. Nessuno, però, è contento di morire; tranne chi per difendere la situazione riceve ancora stipendi dallo Stato perché parlamentare, consulente o loro servitore. Chi ha il coraggio, reagisce. Così nasce e cresce la reazione.