
Dopo il divieto di corteo, l’attivista Shoukri Hroub invia pizzini a Matteo Piantedosi.Che i gruppi pro Pal e pro-Hamas non temano di sfidare lo Stato italiano lo abbiamo visto molte volte in questo ultimo anno, così come non si contano più le manifestazioni autorizzate e non nelle quali vengono gridati slogan spesso antisemiti, cosa avvenuta anche negli atenei italiani che sono pieni di docenti avversari di Israele e attivisti pro Pal. Ora però la sfida alle nostre istituzioni e al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi rischia di superare il livello di guardia con l’avvertimento proveniente da Shoukri Hroub, presidente dell’Unione democratica arabo palestinese in Italia, al quale non piace la decisione del ministro di vietare la manifestazione programmata a Roma per il 5 ottobre: una scelta evidentemente mirata dato che la data è a ridosso del primo anniversario delle stragi del 7 ottobre in Israele nelle quali sono state uccise 1.139 persone, rapite più di 250 molte delle quali ammazzate durante la prigionia, senza contare coloro che sono ancora nelle mani dei jihadisti palestinesi e le centinaia di feriti. Negli scorsi giorni Piantedosi ha affermato: «Ci siamo contraddistinti per aver consentito ogni manifestazione del libero pensiero, ma stiamo riflettendo sul fatto di autorizzare la celebrazione di un eccidio. Riteniamo che l’impronta di queste manifestazioni, costituisca un problema di ordine pubblico». Ora se noi vivessimo in un mondo normale di fronte al diniego dello Stato, gli organizzatori ne prenderebbero atto. Invece no, perché Shoukri Hroub ha mandato il suo avvertimento che suona quasi come una vera e propria minaccia: «Noi ci saremo a Roma in qualunque caso, perché non possiamo arretrare di fronte al massacro nei confronti del nostro popolo. Ma il ministro fa il ministro, noi facciamo la lotta in piazza, lo sappiamo fare. Noi pensiamo che è molto sbagliato fare questo errore, impedirci di manifestare, anche perché è un attacco forte alla Costituzione italiana e oltre che al diritto del popolo palestinese alla sua autodeterminazione, libertà e liberazione. Meditate un po’ su quello che fate, che è importante». Questi gruppi possono contare sul supporto attivo di altri gruppi come ci conferma l’analista Giovani Giacalone: «Gruppi palestinesi di estrema sinistra attualmente attivi in Italia sono l’Unione democratica arabo palestinese (Udap) affiancata da alcuni sostenitori del Fronte popolare (Fplp) e operano con il forte sostegno di ben noti gruppi italiani della sinistra radicale extraparlamentare come Potere al Popolo, Rete Comunista, Cobas, Carc, Nuovo partito comunista (Npc), Unione Sindacale di Base e anarco-insurrezionalisti». Ma cosa c’è alla base di questa saldatura? Secondo Giacalone «Non vi è soltanto la componente ideologica, che può in alcuni casi mostrare differenze, ma soprattutto l’odio nei confronti dello Stato d’Israele e di tutti coloro che lo sostengono, come emerso dalla recente lista di proscrizione diffusa dall’Npc e sostenuta sia dal Carc (che ieri ha rilanciato la manifestazione), che dall’Udap». A proposito della guerra (quella sul terreno), ieri gli Huthi hanno lanciato un missile terra-terra contro Israele che se non si fosse disintegrato a mezz’aria avrebbe fatto strage. Il portavoce degli Huthi Yahya Saria ha rivendicato con grande enfasi la responsabilità dell’attacco. Secondo Saira, il missile è stato lanciato a Jaffa e ha la capacità di percorrere 2.048 chilometri in soli 11 minuti e mezzo. «Il missile ha costretto più di due milioni di sionisti a rifugiarsi per la prima volta nella storia del nemico», ha commentato. Il primo ministro Benjamin Netanyahu in una nota, gli ha ricordato che «gli Huthi dovrebbero sapere che attaccarci comporta un prezzo elevato. Chiunque ci attacchi non sfuggirà al nostro attacco. Hamas lo sta già imparando attraverso la nostra azione determinata, che porterà alla sua distruzione e al rilascio di tutti i nostri ostaggi».
John Grisham (Ansa)
John Grisham, come sempre, tiene incollati alle pagine. Il protagonista del suo nuovo romanzo, un avvocato di provincia, ha tra le mani il caso più grosso della sua vita. Che, però, lo trascinerà sul banco degli imputati.
Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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