2018-06-29
I privilegi di Scalfari turbano «Repubblica»
L'editoriale di Sergio Rizzo contro le doppie pensioni dei politici finisce, per ironia della sorte, accanto alle poesie di Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano. Ma anche Barbapapà, grazie al suo veloce passaggio nel Palazzo, fa parte della Casta stigmatizzata dal collega.Ieri, sulla prima pagina di Repubblica, Sergio Rizzo, un bravo collega che ha il merito di aver spesso scoperchiato il pentolone in cui bollono sprechi e privilegi politici, spiegava in un editoriale che lo scandalo vero dei vitalizi non consiste nell'assegno che ogni onorevole o consigliere regionale incassa ogni mese, assegno assai più ricco di chi abbia lavorato una vita ma senza mai sedersi sui banchi di Montecitorio o Palazzo Madama, ma la doppia pensione. Si dà il caso infatti che molti onorevoli durante la loro carriera politica, oltre ad aver maturato un vitalizio senza limite alcuno di età e di servizio, abbiano potuto maturare anche una pensione, godendo del meccanismo dei contributi figurativi. In pratica, chi sia stato eletto alla Camera o al Senato (ma anche in Consiglio regionale) grazie a una legge dello Stato non solo si vede conservato il posto di lavoro, come è giusto che sia, ma vede proseguire in progressione anche la propria pensione per via di una contribuzione che non c'è, perché nessuno la versa in quanto il dipendente non lavora, ma che l'ente previdenziale è costretto a considerare come se ci fosse. Questa pensione, maturata nonostante la mancanza di parte o tutta la contribuzione, a fine mandato parlamentare si somma al vitalizio, cioè a un'altra pensione, con il risultato di regalare agli onorevoli il privilegio di godere di due pensioni. Anzi, qualche volta di tre.Fin qui Sergio Rizzo, che ieri sul quotidiano fondato da Eugenio Scalfari riportava una stima del presidente dell'Inps, Tito Boeri, secondo cui, su 2.600 politici che percepiscono il vitalizio, 1.323 risultano «avere periodi di contribuzione figurativa da carica elettiva». Tradotto, significa che la metà dei parlamentari e consiglieri regionali che percepisce il vitalizio ha anche una pensione regalata tutta o in parte dai cittadini. Mentre scriveva queste giuste osservazioni, Rizzo però non si dev'essere accorto che il caporedattore di Repubblica stava impaginando il suo editoriale sopra un articolo dell'uomo dalla cui iniziativa 42 anni fa nacque Repubblica. La faccia di Eugenio Scalfari anzi arrivava prima della firma, introducendo due pagine nella sezione cultura in cui Barbapapà (questo il soprannome redazionale dell'illustre ex direttore) raccontava le poesie della sua vita, ovvero quelle che ha amato di più.Ironia della sorte, il Fondatore deve aver amato molto anche le norme sui vitalizi, perché dal 1971, ossia da quasi cinquant'anni, ne percepisce uno. Era il 1968 quando fu eletto deputato tra le fila del Psi. Giacomo Mancini gli offrì un posto in lista per sottrarlo al carcere. Da direttore dell'Espresso, insieme con il collega Lino Jannuzzi, aveva pubblicato un'inchiesta accusando il generale Giovanni De Lorenzo di aver ordito un colpo di Stato. Querelato dall'alto ufficiale, Scalfari fu condannato a 15 mesi di carcere (in appello fu assolto), ma per evitare di vederlo dietro le sbarre il segretario socialista gli offrì l'immunità, che all'epoca era assoluta.L'esperienza parlamentare di Eugenio però durò poco, solo una legislatura, perché poi, come è noto, preferì tornare al giornalismo e di lì a qualche anno diede vita a Repubblica. Tuttavia, di quell'esperienza gli è rimasto il vitalizio, che, in base alle norme di allora, gli fu liquidato subito, appena mise piede fuori da Montecitorio.In passato, quando dirigevo un altro giornale, ricordo che chiesi ai colleghi di calcolare quanti soldi in più avessero incassato gli ex onorevoli rispetto ai contributi versati e dall'inchiesta venne fuori che Scalfari, grazie a un vitalizio pagato per decenni, si era messo in tasca quasi 1 milione in più di quel che la Camera gli aveva trattenuto. Ovviamente Barbapapà non è il solo ad aver goduto del privilegio di un vitalizio così generoso, per giunta unito ad una pensione. Qualcuno anzi è riuscito a far meglio di lui, come ad esempio lo scomparso Stefano Rodotà, che essendo stato deputato in quattro legislature sommò a lungo il proprio vitalizio con la pensione da docente universitario e la retribuzione da presidente dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali, incarico che ha alternato all'attività di editorialista proprio per il quotidiano fondato da Scalfari. Ah, dimenticavo: tra le rime citate ieri da Eugenio ce n'è una che pare la sintesi perfetta di questa storia dei vitalizi: «Se povero tu sei, povero resterai. Le ricchezze si danno ai ricchi, ai poveri mai».Ps. Mentre scrivevo questo articolo, è scoppiata la polemica fra i 5 stelle e Maria Elisabetta Alberti Casellati. La presidentessa del Senato infatti avrebbe tirato il freno al taglio degli assegni incassati dagli ex onorevoli. Questioni giuridiche, par di capire. La Casellati, avendo fatto per una vita l'avvocato, di certo è sensibile alle questioni giuridiche, ma temo che sia meno sensibile, nonostante la lunga presenza in Parlamento, alle questioni politiche. Fermando il taglio infatti non soltanto fa un favore ai pentastellati, i quali possono prendersela con l'establishment, ma dà un taglio ai consensi del partito da cui proviene, ossia Forza Italia, che già ora non se la passa bene, ma domani potrebbe passarsela peggio.
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
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