2018-09-24
        I predicatori del fondamentalismo hanno più follower della Ferragni
    
 
Dall'imam di Kuwait City, con 14 milioni di seguaci su Twitter, al teologo radicale che ne ha persino più di 20. Un report del sociologo di Emmanuel Macron lancia l'allarme sulla svolta dei guru estremisti, che conquistano i social.Il business delle moschee vale 42 milioni di euro l'anno. La testa di ponte tra Riad e Roma ha legami con i Fratelli musulmani.«Italia ed Europa s'ingannano: abbiamo a che fare con una religione di guerra I moderati? Soltanto dei dissimulatori».Lo speciale contiene tre articoliAnche Maometto, come Jesus Christ, è diventato una superstar. Non al teatro, ma sui social. Al punto da far tremare la Francia, che con il fondamentalismo salafita ha dei trascorsi tragici.L'ultimo rapporto dell'Istituto Montaigne, think tank guidato dall'ex numero uno di Axa Henri de Castries e dal sociologo di origini tunisine Hakim El Karoui , consigliere dell'Eliseo per le questioni islamiche e vicinissimo al presidente Emmanuel Macron, restituisce un quadro preoccupante sullo stato dell'islamismo in Francia e in Europa. Nel Paese in cui, poco più di due secoli fa, scoppiò la prima rivoluzione sistematicamente antireligiosa della storia, gli estremisti salafiti possono oramai contare su circa 50.000 adepti, con una crescita che dagli anni Novanta a oggi ammonta addirittura al 900%. Le serpi in seno, come spiega nel report El Karoui, hanno un'indole secessionista: il loro scopo è «separarsi dalla società impura» e dai costumi blasfemi degli occidentali, per rifondare una comunità emendata sulla base dei precetti dell'islam. Ma quel che impressiona di più (e di cui avevamo sentore, visto che gli attentati compiuti sul suolo europeo e in Nordamerica erano sempre stati realizzati da ragazzi, immigrati di seconda generazione) è l'influenza che gli odiatori seriali dell'Occidente esercitano sulle giovani generazioni, cioè sulla fascia d'età che va dai 15 ai 25 anni. Il ritratto delineato dal rapporto dell'Istituto Montaigne è al contempo allarmante e grottesco. Perché se la propaganda online da parte degli islamisti non è certo una novità (l'Isis ne ha fatto un'arma di guerra in Medio Oriente e un mezzo di reclutamento dei cosiddetti lupi solitari in Europa), forse in pochi si erano fermati a riflettere sulla vera e propria «svolta social» dei predicatori d'odio. Ci sono infatti imam che, su Twitter e Facebook, hanno oramai più follower di cantanti e web influencer. E così possono comunicare direttamente con i giovani, utilizzando le piattaforme che noi credevamo appannaggio di Donald Trump o di papa Francesco per fare proseliti. Sul social fondato da Jack Dorsey, 15 dei 150 account più popolari appartengono a guru salafiti e wahabiti, capaci di influenzare il 30% dei cittadini francesi di religione musulmana. Si va dall'imam della Grande moschea di Kuwait City, Mishary Rashid Al Afasy, che ha 14 milioni di seguaci, a Mohammed Al Arifi, teologo saudita già interdetto dal Regno Unito, che su Twitter ha addirittura 21,6 milioni di follower e su Facebook 24 milioni. Al Arifi, d'altronde, è attivo in un settore tradizionalmente gettonatissimo, quello delle consulenze matrimoniali: l'Annamaria Bernardini de Pace di Riad, ad esempio, consiglia ai mariti di suonarle di santa ragione alle proprie mogli. Aid Al Qarni, un altro imam saudita, famoso per una fatwa contro il presidente siriano Bashar Al Assad, ha 19 milioni di seguaci. Ahmad Al Shugairi ne ha 18 milioni. Salman Al Awdah, incitatore al jihad contro le truppe statunitensi in Iraq, ne ha invece 14 milioni e mezzo. Queste superstar dell'islam raccolgono moltissimi fan tra i musulmani di Francia e, proprio all'ombra della Torre Eiffel, i loro Paesi (o califfati) di provenienza hanno investito ingenti somme in palazzi, alberghi e, soprattutto, luoghi di preghiera.Per capire quanto questo fenomeno sia impressionante, è sufficiente fare un paragone con il numero di follower di vip, leader politici e popstar. La regina di Instagram, Chiara Ferragni, sul social dove sponsorizza abiti e scarpe può contare su 15 milioni di seguaci. Molti meno di Al Arifi, i cui «cinguettii» in lingua araba, ogni giorno, sarebbero in grado di raggiungere una platea pari a quasi un terzo della popolazione francese. Il Dalai Lama, riferimento spirituale dei buddisti ma molto apprezzato anche tra i laici occidentali, su Twitter conta meno di 19 milioni di follower. Il cantante Ricky Martin ne ha circa 20.500.000. Il portoricano Luis Fonzi, autore della hit Despacito, il cui video su Youtube ha raccolto finora 5 miliardi e mezzo di visualizzazioni (quasi l'intera popolazione mondiale), su Instagram si ferma comunque a meno di 8 milioni di follower. E il povero Macron, che ha da pelare pure la gatta domestica del salafismo, non arriva a 3.300.000. Se a questo si aggiunge che il 32% dei francesi musulmani in età scolare abbraccia il radicalismo religioso, ci si rende conto che una larga fetta degli adulti di domani, non solo Oltralpe, ma nell'intera Europa, masticherà pane e odio. Preferirà ascoltare le fatwe degli imam piuttosto che le ballate latinoamericane, o leggere i libri dei predicatori fondamentalisti piuttosto che l'Esprit des lois di Montesquieu. E forse un giorno a Parigi, anziché le baguette, sotto braccio porteranno tutti una copia del Corano.Alessandro Rico<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-predicatori-del-fondamentalismo-hanno-piu-follower-della-ferragni-2607361212.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="non-si-ferma-la-corsa-a-islamizzare-litalia-dopo-il-qatar-arrivano-i-sauditi" data-post-id="2607361212" data-published-at="1762122782" data-use-pagination="False"> Non si ferma la corsa a islamizzare l’Italia: dopo il Qatar arrivano i sauditi L'ultima finanziata in ordine di tempo è stata quella di Mirandola, piccolo Comune della bassa modenese, distrutto dal terremoto del 2012. Lì, in piena pianura padana, e ben prima che il piano nazionale mettesse mano alle chiese danneggiate, dal lontanissimo Qatar è piovuto quasi mezzo milione di euro destinato alla rinascita della moschea, venuta giù con il sisma. Fu quello il primo edificio di culto a essere reso agibile nell'Emilia terremotata. Era l'estate del 2016. Poi, a quanto pare, la Qatar charity foundation, indiscusso colosso nel finanziamento di progetti di islamizzazione bianca nel mondo, ha chiuso improvvisamente i cordoni della borsa, stralciando il nostro dall'elenco dei Paesi su cui puntare e lasciando in parte incompiuto quel piano di erogazioni a pioggia, partito nel 2013, che prevedeva la costruzione di 43 tra moschee e centri di indottrinamento sul suolo nazionale. I soldi sono arrivati in Sicilia, per esempio, dove per le moschee di Catania e Palermo e i centri islamici di Mazara del Vallo, Modica, Barcellona pozzo di Gotto, Donnafugata, Scicli e Vittoria erano stati raccolti e poi stanziati più di 2,5 milioni di euro. Sono arrivati a Ravenna, dove la seconda più grande moschea in Italia è stata sovvenzionata con 800.000 euro spediti direttamente dal Qatar (e con altri 500.000 dall'amministrazione locale) e, ancora, a Roma, Piacenza, Vicenza, Saronno, dove i centri islamici sono sorti come funghi. Poi, all'improvviso, la pacchia è finita. «Nemmeno più in centesimo dalla fondazione» sono pronti a giurare i referenti delle associazioni che fanno capo all'Ucoii (Unione comunità islamiche d'Italia, principale referente per la Qatar foundation). Forse la colpa è della faccenda di Bergamo, dove un imam a cui erano stati affidati 4,6 milioni di euro per la costruzione di una moschea avrebbe deciso di dirottarli su un altro progetto, facendo scattare un'inchiesta giudiziaria sul caso, cosa che, si sa, agli investitori esteri non piace mai. Oppure, il merito potrebbe essere del mutato scenario politico che gli arabi avrebbero fiutato ben prima del tempo, capendo, con due anni di anticipo, che l'Italia non sarebbe più stata di lì a poco il posto ideale in cui investire in moschee. «La fondazione finanzia solo progetti ben strutturati e già avviati. Se devono mettere soldi su qualcosa di vago non lo fanno. E oggi progetti in stato avanzato da finanziare non ce ne sono. Da tempo non riceviamo più nulla», ha garantito, interpellato sulla questione, Yassine Lafram, neoeletto presidente nazionale dell'Ucoii. La stretta, sempre secondo Lafram, sarebbe stata seguita da un giro di vite sui conti correnti, tanto che oggi, «tutto il flusso di denaro, proveniente dall'Italia e dall'estero, e transitante sui conti delle associazioni viene attentamente tracciato». Comunque sia, anche senza aiuti dal Qatar i fedeli non se la passano male. Moschee, associazioni culturali e scuole coraniche, soltanto grazie alle donazioni dirette, muovono in Italia un giro d'affari da oltre 3 milioni e mezzo di euro al mese. Ogni singolo centro raccoglie in media donazioni per 700 euro a settimana e, contando che gli ultimi dati (fine 2016) ne registravano 1.251 su suolo nazionale, il calcolo è presto fatto: 42 milioni di euro è il valore del business che annualmente ruota intorno alle moschee. Dunque l'Italia è uscita dalla piazza di chi sull'islam vuole fare investimenti? Niente affatto. Oltre alle donazioni che continuerebbero ad arrivare, sia pure in misura minore dal Marocco e dalla Turchia per il sostentamento dei centri islamici di riferimento, realizzati a Torino, Roma e Bologna negli anni passati, a tentare di proporsi come partner ufficiale per una sorta di secondo piano Marshall delle moschee sarebbero, in questo periodo, gli sceicchi dell'Arabia Saudita, che, tramite ong, sarebbero pronte a finanziare in Italia tutte le moschee necessarie a soddisfare le esigenze presenti e future dei fedeli di Allah. Ovviamente, sempre in nome dell'islamizzazione dolce, si tratterebbe «esclusivamente di moschee ufficiali», che dovrebbero sorgere «con il benestare delle amministrazioni locali». A tentare di ribadirlo è stato Mohammad Ben Abd Ul-karim Al-Issa, segretario della Lega musulmana mondiale, già gestore della moschea di Roma, e nota come «simbolo del volto dialogante dell'islam». Il segretario, alla fine di giugno, si è concesso un tour in Italia. Il viaggio è partito da Sesto Fiorentino, dove a breve, su un territorio venduto dalla curia locale sorgerà una grande moschea e dove Al-Issa ha incontrato l'arcivescovo della città. Dopo aver presenziato al Meeting di Rimini Al-Issa è stato presentato a Roma dove ha tentato (senza riuscirci) di incontrare il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, per proporgli, come lui stesso ha dichiarato in una intervista, «tutto l'aiuto necessario sul tema immigrazione» in cambio magari della libertà di costruire nuove moschee come previsto dal Piano nazionale per un islam italiano sottoscritto nel febbraio del 2017 dall'allora ministro dell'Interno Marco Minniti. E da chi era stato invitato in Italia il nuovo volto dell'islam dialogante dell'Arabia Saudita? Da Izzeddin Elzir, membro del comitato scientifico della scuola fiorentina di Alta formazione per il dialogo interreligioso e presidente fino a poco tempo fa dell'Ucoii, destinatario principale dei fondi provenienti dal Qatar e con trascorsi di vicinanza, mai smentiti, ai Fratelli musulmani. Alessia Pedrielli <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-predicatori-del-fondamentalismo-hanno-piu-follower-della-ferragni-2607361212.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="la-sharia-e-incompatibile-con-le-nostre-leggi" data-post-id="2607361212" data-published-at="1762122782" data-use-pagination="False"> «La sharia è incompatibile con le nostre leggi» «Sono stato il musulmano che più di altri si è prodigato affinché potesse esserci un islam italiano. Ho creduto in un islam compatibile con le leggi dello Stato, con i valori della nostra civiltà. Poi mi sono dovuto arrendere di fronte all'evidenza». Magdi Cristiano Allam, giornalista e scrittore, commenta così il Patto per un islam italiano sottoscritto nel febbraio 2017 dall'allora ministro dell'Interno Marco Minniti e dai rappresentanti delle maggiori associazioni e comunità islamiche presenti in Italia, tra cui l'Ucoii, come «base per costruire solide relazioni tra le comunità musulmane e lo Stato italiano». Un intento destinato a fallire? «L'islam non è una realtà à la carte: non esiste un islam italiano, un islam europeo o l'islam che vogliamo noi. L'islam è l'islam e si fonda su due pilastri identici per tutti: ciò che Allah prescrive e ciò che ha fatto Maometto. Nient'altro. Perciò quando si parte dalla costituzione italiana e si chiede ai musulmani di rispettarla non si fanno i conti con questo». Però le associazioni hanno firmato «Lo hanno fatto all'insegna della dissimulazione, legittimata da Allah nel Corano come mezzo per raggiungere lo scopo di salvare l'islam. Ma l'unica legge che vale è la sharia». La legge islamica… «Esatto. Se nel documento si parla della centralità della famiglia, una cosa è come l'Italia concepisce la famiglia, un'altra è come lo fa l'islam. Nell'islam vige la poligamia, la donna è antropologicamente inferiore all'uomo, il matrimonio è un contratto privatistico tra due famiglie, dove la famiglia dello sposo versa una dote alla famiglia della sposa e, di fatto, la compra. Esiste il ripudio, è legittimo picchiare la moglie o anche ucciderla se dovesse compiere atti come l'adulterio». Quindi dove sta il senso di quel documento? «Alla base c'è un equivoco: si parla di condivisione di principi ma non si entra nel merito dei contenuti». Perché l'Italia e l'Europa perseverano in questo inganno? «Perché mentre l'islam è una religione di guerra, Italia ed Europa hanno bisogno di un islam a loro immagine e somiglianza. E siamo così autoreferenziali da aver creato una realtà che non esiste». Per esempio? «Per esempio quando si parla di imam equiparandolo ai nostri sacerdoti. In nessun Paese islamico esiste l'imam di Firenze o l'imam di Roma, perché l'imam è semplicemente colui che sta davanti agli altri nella preghiera e anticipa le parole che gli altri dovranno ripetere. Svolge una funzione religiosa ma non ha un incarico vero e proprio, è completamente intercambiabile». Mentre noi ne abbiamo fatto un corrispettivo del vescovo. «Esatto. E loro sono ben felici di vedersi investire di questo potere. Essere un'autorità religiosa significa anche essere un'autorità politica e, soprattutto, finanziaria. Perché la moschea è un luogo dove si fa business». Alessia Pedrielli
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