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2020-12-17
I pm picchiano sull’esposto di Fava ma le notizie riservate non ci sono
Luca Palamara (Ansa)
La mastodontica inchiesta di Perugia sul cosiddetto suk delle nomine al Consiglio superiore della magistratura e sulla presunta corruzione di Luca Palamara, alla fine, sembra ruotare tutta intorno all'esposto (cestinato) presentato il 27 marzo 2019 dall'allora pm romano Stefano Fava e incentrato sulla gestione di un fascicolo d'indagine da parte del suo vecchio capo Giuseppe Pignatone. In uno degli allegati della segnalazione al parlamentino dei giudici si faceva riferimento anche a un'astensione dell'aggiunto Paolo Ielo. Per questo nella primavera dell'anno scorso nei corridoi dei Csm e della Procura di Roma molte toghe iniziarono a parlare del presunto conflitto d'interessi di Ielo, che ha un fratello, Domenico, consulente per alcune grandi società. L'aggiunto ha sempre negato conflitti anche perché in almeno un caso si è astenuto. Eppure l'argomento divenne di grande attualità e iniziò a circolare in modo così insistente tra i magistrati da essere intercettato anche dai cronisti. Che, se se di mestiere fanno i giornalisti e non gli uffici stampa delle Procure, pubblicano le notizie. Per questo La Verità e Il Fatto quotidiano il 29 maggio 2019 raccontarono la vicenda dell'esposto che riguardava Pignatone e Ielo.
Ieri Palamara e Fava hanno ricevuto l'avviso di chiusura indagini da parte della Procura di Perugia, atto da cui risultano accusati di essere ispiratori di quei servizi. Peccato che all'epoca non conoscessimo Palamara e avessimo bussato alla porta di Fava, mai incrociato prima, solo dopo essere venuti a conoscenza dell'esposto. La Procura di Perugia contesta loro di aver rivelato ai cronisti notizie riservate, e in particolare di aver svelato circostanze riguardanti un procedimento sino a poco tempo prima in carico a Fava (oltre che a Ielo e Pignatone) e riguardante il faccendiere Piero Amara. Le informazioni che non avrebbero dovuto uscire sui quotidiani sono le seguenti: che Amara era indagato per bancarotta e frode fiscale; che Fava aveva chiesto un nuovo arresto per Amara (istanza bocciata da Pignatone); che durante le indagini Fava aveva trovato materiale che collegava Amara a un pagamento di 25 milioni da parte dell'Eni.
Peccato che in realtà Amara, in quel fascicolo, a differenza di quanto sostenuto dai pm, non fosse indagato per bancarotta e frode fiscale e la questione dei soldi pagati dalla compagnia petrolifera era emersa una settimana prima dell'uscita dell'articolo della Verità e del Fatto in un servizio del Corriere della sera. La Procura di Perugia accusa Fava (per cui sono caduti i due reati che l'anno scorso hanno portato al suo trasferimento) anche di abuso d'ufficio e accesso abusivo a banca dati informatica per aver cercato informazioni «volte a screditare» Pignatone e Ielo per aver visionato atti di un procedimento già definito con sentenza passata in giudicato. Fava per questo è accusato di aver orchestrato una «campagna mediatica» ai danni di Pignatone e Ielo. Anche se i pm nell'avviso di chiusura delle indagini non indicano quali articoli il magistrato abbia ispirato con quelle informazioni in mano.
Non va meglio a Palamara. All'ex presidente Anm gli inquirenti hanno rivoltato contro persino le indagini difensive: gli contestano, infatti, la rivelazione di segreto per avere evidenziato che nel maggio 2019 l'esistenza dell'esposto era un segreto di Pulcinella, visto che il procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio gliene aveva parlato già il 3 aprile 2019, un mese e mezzo prima dell'uscita della notizia sui giornali. Ora sono tutti e due indagati. Ma la cosa più assurda è che Fuzio, nel luglio 2019, aveva firmato l'atto di incolpazione disciplinare contro Fava per la fuga di notizie di cui ora è accusato lui stesso. In ogni caso, che l'esposto fosse un argomento che nella primavera del 2019 andava per la maggiore tra le toghe è confermato anche dalla testimonianza dell'ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo, acquisita dalla difesa di Palamara.
L'avvocato Benedetto Buratti nel luglio 2020 gli chiede che cosa sapesse dell'esposto di Fava, e Davigo risponde: «Prima delle intercettazioni non sapevo di un esposto formale. Può essere che Fava mi abbia parlato di possibili dissapori col suo capo in occasione dei due incontri che ho avuto con lui». E dopo aver conosciuto il contenuto si è arrabbiato? Davigo: «Non mi inquietai per quanto dichiarato nei confronti di Pignatone che era già andato in pensione. Mi arrabbiai molto, anche se lo tenni per me, quando venni a sapere dell'esposto contro Ielo che conosco bene e considero persona integerrima». Il verbale vira sui colloqui avuti con il compagno di corrente e di Csm Sebastiano Ardita: «Ho parlato con lui dell'esposto contro Ielo e non contro Pignatone una volta uscite le intercettazioni. Siccome lo avevo visto agitato dopo la pubblicazione delle intercettazioni gli chiesi di indicarmi se aveva avuto un ruolo nella gestione dell'esposto. Mi disse che il suo ruolo era stato istituzionale». Perché Ardita era preoccupato? Davigo: «Non posso spiegare interamente la vicenda, in quanto coperta in parte da segreto d'ufficio. Posso, tuttavia, evidenziare che, dopo l'uscita delle intercettazioni, avevo rappresentato ad Ardita che era poco prudente avere frequentazioni con il consigliere Lepre (captato dal trojan nella riunione dell'hotel Champagne, ndr). Lo avevo, infatti, visto parlare più volte con lui, anche trattenendosi nella sua stanza». Ma Ardita non avrebbe spiegato le ragioni di quelle riunioni. «Fui molto energico nel contestare tale comportamento, gli feci notare che questa sua frequentazione avrebbe potuto essere utilizzata come argomento contro di lui, come una sorta di riscontro rispetto a un'eventuale chiamata di correità» prosegue l'ex campione di Mani pulite. Qui l'argomento sembra chiaramente passare dall'esposto alla nomina del procuratore di Roma, per cui la corrente di Davigo e Ardita si schierò come Lepre, Palamara, Cosimo Ferri e Luca Lotti, i presunti complottardi dello Champagne, a favore del pg di Firenze Marcello Viola. Buratti a questo punto chiede se Ardita avesse esternato le ragioni delle sue preoccupazioni e Davigo ribadisce: «Questa è la parte coperta da segreto su cui non posso rispondere. Si tratta delle ragioni per cui non parlo più con il consigliere Ardita dal marzo 2020 (…) Non mi spiegavo le ragioni delle sue preoccupazioni. Ho sempre pensato: “Male non fare, paura non avere"». Nel marzo 2020 il Csm ha nominato come procuratore di Roma Michele Prestipino, considerato in continuità con Pignatone. Davigo l'ha appoggiato, Ardita e il collega Nino Di Matteo si sono astenuti.
Resta una domanda: la Procura di Perugia, che ha così meritoriamente approfondito le presunte rivelazioni relative all'esposto, a che punto è con le indagini sulle fughe di notizie a favore dei giornaloni che hanno compromesso l'inchiesta principale?
A rischio la poltrona di Prestipino
Per sapere se i caricatori sparati ieri al Tar del Lazio durante la discussione dei tre ricorsi che mirano a disarcionare Michele Prestipino hanno fatto centro bisognerà attendere ancora qualche settimana. La guerra per la poltronissima da capo della Procura di Roma che si è aperta con il pensionamento di Giuseppe Pignatone, attuale presidente del Tribunale di papa Francesco, e che ha spaccato il Csm non si è ancora chiusa. A tentare la spallata sono state le toghe fiorentine Giuseppe Creazzo (Unicost), procuratore capo, e Marcello Viola (Magistratura Indipendente), procuratore generale, ma anche il capo della Procura di Palermo Franco Lo Voi (Magistratura indipendente). Tutti e tre contestano la nomina decisa il 4 marzo scorso a maggioranza, dopo un ballottaggio con Lo Voi, e nel bel mezzo dello sconquasso prodotto dalle chat dello stratega del Csm Luca Palamara (che ha portato alle dimissioni di sei consiglieri togati). I tre magistrati ricorrenti sostengono che ci sia stata una evidente violazione del testo unico sulla dirigenza. Il Csm, insomma, non avrebbe tenuto in giusta considerazione tutte le esperienze dei candidati, scegliendo Prestipino, in quel momento procuratore aggiunto a Roma e facente funzioni di procuratore per dieci mesi (dal momento in cui è andato in pensione Pignatone), ma meno titolato rispetto ai tre concorrenti. E se Lo Voi e Prestipino rappresentavano la continuità con Pignatone, sulle vicende degli altri due ha pesato non poco il caso Palamara. Viola, per esempio, finito nelle trame intrecciate nelle chat, ritiene «illegittima» la nomina di Prestipino perché la scelta della Quinta commissione, quella che si occupa di valutare gli incarichi direttivi dello stesso organo di autogoverno dei giudici, aveva indicato proprio lui. Tant'è che il 23 maggio 2019 c'era chi lo considerava già procuratore in pectore. Prese più voti di tutti, ben quattro: Antonio Lepre (Magistratura Indipendente), Piercamillo Davigo (Autonomie a Indipendenza), Emanuele Basile (laico espresso dalla Lega) e Fulvio Gigliotti (laico espresso dal M5s). A Creazzo andò il voto del membro togato di Unicost Gianluigi Morlini, e per il procuratore di Palermo Lo Voi votò il togato di Area Mario Suriano. Poi Viola apprese di essere il candidato sponsorizzato anche da Palamara e dai parlamentari che incontrava nottetempo: Luca Lotti e Cosimo Ferri, all'epoca del Pd e ora con Italia viva del Bullo. «Si vira su Viola», disse Lotti il 9 maggio all'hotel Champagne con cinque ex togati (Antonio Lepre, Paolo Criscuoli, Corrado Cartoni, Luigi Spina e Gianluigi Morlini). Dopo il primo scandalo la commissione fu annullata, anche a seguito dell'acquisizione delle trascrizioni dell'inchiesta di Perugia, e il suo nome non fu più riproposto. Ma ora il Pg, assistito dagli avvocati Girolamo Rubino e Giuseppe Impiduglia, sostiene la «contraddittorietà» della decisione del Csm, che, pur avendo riconosciuto la sua totale estraneità a qualsiasi tipo di accordo, lecito o illecito che fosse, escluse la sua candidatura. La commissione propose in seconda battuta un'altra terna: Prestipino, Lo Voi e Creazzo. Andarono al ballottaggio Prestipino e Lo Voi. E il primo vinse la corsa. La sostenuta parziale valutazione dei curriculum, fiche puntata da tutti e tre i ricorrenti, però, ora ha riaperto la partita. A opporsi ai ricorsi, insieme a Prestipino, c'era il Consiglio. Le parti contrapposte, a causa del Covid, si sono confrontate in videoconferenza. E subito dopo i giudici amministrativi si sono riservati, lasciando Prestipino ancora col fiato sospeso.
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Riduci
La denuncia che ha fatto esplodere l'inchiesta di Perugia conteneva informazioni già di dominio pubblico e documentate. Eppure, Luca Palamara e la toga sono indagati a differenza delle «talpe» del fascicolo principale.I candidati sconfitti (Marcello Viola, Franco Lo Voi e Giuseppe Creazzo) ricorrono al Tar Lazio contro la nomina del procuratore alla guida dell'ufficio giudiziario della Capitale: violate norme del Csm.Lo speciale contiene due articoli.La mastodontica inchiesta di Perugia sul cosiddetto suk delle nomine al Consiglio superiore della magistratura e sulla presunta corruzione di Luca Palamara, alla fine, sembra ruotare tutta intorno all'esposto (cestinato) presentato il 27 marzo 2019 dall'allora pm romano Stefano Fava e incentrato sulla gestione di un fascicolo d'indagine da parte del suo vecchio capo Giuseppe Pignatone. In uno degli allegati della segnalazione al parlamentino dei giudici si faceva riferimento anche a un'astensione dell'aggiunto Paolo Ielo. Per questo nella primavera dell'anno scorso nei corridoi dei Csm e della Procura di Roma molte toghe iniziarono a parlare del presunto conflitto d'interessi di Ielo, che ha un fratello, Domenico, consulente per alcune grandi società. L'aggiunto ha sempre negato conflitti anche perché in almeno un caso si è astenuto. Eppure l'argomento divenne di grande attualità e iniziò a circolare in modo così insistente tra i magistrati da essere intercettato anche dai cronisti. Che, se se di mestiere fanno i giornalisti e non gli uffici stampa delle Procure, pubblicano le notizie. Per questo La Verità e Il Fatto quotidiano il 29 maggio 2019 raccontarono la vicenda dell'esposto che riguardava Pignatone e Ielo.Ieri Palamara e Fava hanno ricevuto l'avviso di chiusura indagini da parte della Procura di Perugia, atto da cui risultano accusati di essere ispiratori di quei servizi. Peccato che all'epoca non conoscessimo Palamara e avessimo bussato alla porta di Fava, mai incrociato prima, solo dopo essere venuti a conoscenza dell'esposto. La Procura di Perugia contesta loro di aver rivelato ai cronisti notizie riservate, e in particolare di aver svelato circostanze riguardanti un procedimento sino a poco tempo prima in carico a Fava (oltre che a Ielo e Pignatone) e riguardante il faccendiere Piero Amara. Le informazioni che non avrebbero dovuto uscire sui quotidiani sono le seguenti: che Amara era indagato per bancarotta e frode fiscale; che Fava aveva chiesto un nuovo arresto per Amara (istanza bocciata da Pignatone); che durante le indagini Fava aveva trovato materiale che collegava Amara a un pagamento di 25 milioni da parte dell'Eni. Peccato che in realtà Amara, in quel fascicolo, a differenza di quanto sostenuto dai pm, non fosse indagato per bancarotta e frode fiscale e la questione dei soldi pagati dalla compagnia petrolifera era emersa una settimana prima dell'uscita dell'articolo della Verità e del Fatto in un servizio del Corriere della sera. La Procura di Perugia accusa Fava (per cui sono caduti i due reati che l'anno scorso hanno portato al suo trasferimento) anche di abuso d'ufficio e accesso abusivo a banca dati informatica per aver cercato informazioni «volte a screditare» Pignatone e Ielo per aver visionato atti di un procedimento già definito con sentenza passata in giudicato. Fava per questo è accusato di aver orchestrato una «campagna mediatica» ai danni di Pignatone e Ielo. Anche se i pm nell'avviso di chiusura delle indagini non indicano quali articoli il magistrato abbia ispirato con quelle informazioni in mano. Non va meglio a Palamara. All'ex presidente Anm gli inquirenti hanno rivoltato contro persino le indagini difensive: gli contestano, infatti, la rivelazione di segreto per avere evidenziato che nel maggio 2019 l'esistenza dell'esposto era un segreto di Pulcinella, visto che il procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio gliene aveva parlato già il 3 aprile 2019, un mese e mezzo prima dell'uscita della notizia sui giornali. Ora sono tutti e due indagati. Ma la cosa più assurda è che Fuzio, nel luglio 2019, aveva firmato l'atto di incolpazione disciplinare contro Fava per la fuga di notizie di cui ora è accusato lui stesso. In ogni caso, che l'esposto fosse un argomento che nella primavera del 2019 andava per la maggiore tra le toghe è confermato anche dalla testimonianza dell'ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo, acquisita dalla difesa di Palamara. L'avvocato Benedetto Buratti nel luglio 2020 gli chiede che cosa sapesse dell'esposto di Fava, e Davigo risponde: «Prima delle intercettazioni non sapevo di un esposto formale. Può essere che Fava mi abbia parlato di possibili dissapori col suo capo in occasione dei due incontri che ho avuto con lui». E dopo aver conosciuto il contenuto si è arrabbiato? Davigo: «Non mi inquietai per quanto dichiarato nei confronti di Pignatone che era già andato in pensione. Mi arrabbiai molto, anche se lo tenni per me, quando venni a sapere dell'esposto contro Ielo che conosco bene e considero persona integerrima». Il verbale vira sui colloqui avuti con il compagno di corrente e di Csm Sebastiano Ardita: «Ho parlato con lui dell'esposto contro Ielo e non contro Pignatone una volta uscite le intercettazioni. Siccome lo avevo visto agitato dopo la pubblicazione delle intercettazioni gli chiesi di indicarmi se aveva avuto un ruolo nella gestione dell'esposto. Mi disse che il suo ruolo era stato istituzionale». Perché Ardita era preoccupato? Davigo: «Non posso spiegare interamente la vicenda, in quanto coperta in parte da segreto d'ufficio. Posso, tuttavia, evidenziare che, dopo l'uscita delle intercettazioni, avevo rappresentato ad Ardita che era poco prudente avere frequentazioni con il consigliere Lepre (captato dal trojan nella riunione dell'hotel Champagne, ndr). Lo avevo, infatti, visto parlare più volte con lui, anche trattenendosi nella sua stanza». Ma Ardita non avrebbe spiegato le ragioni di quelle riunioni. «Fui molto energico nel contestare tale comportamento, gli feci notare che questa sua frequentazione avrebbe potuto essere utilizzata come argomento contro di lui, come una sorta di riscontro rispetto a un'eventuale chiamata di correità» prosegue l'ex campione di Mani pulite. Qui l'argomento sembra chiaramente passare dall'esposto alla nomina del procuratore di Roma, per cui la corrente di Davigo e Ardita si schierò come Lepre, Palamara, Cosimo Ferri e Luca Lotti, i presunti complottardi dello Champagne, a favore del pg di Firenze Marcello Viola. Buratti a questo punto chiede se Ardita avesse esternato le ragioni delle sue preoccupazioni e Davigo ribadisce: «Questa è la parte coperta da segreto su cui non posso rispondere. Si tratta delle ragioni per cui non parlo più con il consigliere Ardita dal marzo 2020 (…) Non mi spiegavo le ragioni delle sue preoccupazioni. Ho sempre pensato: “Male non fare, paura non avere"». Nel marzo 2020 il Csm ha nominato come procuratore di Roma Michele Prestipino, considerato in continuità con Pignatone. Davigo l'ha appoggiato, Ardita e il collega Nino Di Matteo si sono astenuti.Resta una domanda: la Procura di Perugia, che ha così meritoriamente approfondito le presunte rivelazioni relative all'esposto, a che punto è con le indagini sulle fughe di notizie a favore dei giornaloni che hanno compromesso l'inchiesta principale? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-pm-picchiano-sullesposto-di-fava-ma-le-notizie-riservate-non-ci-sono-2649521476.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="a-rischio-la-poltrona-di-prestipino" data-post-id="2649521476" data-published-at="1608149892" data-use-pagination="False"> A rischio la poltrona di Prestipino Per sapere se i caricatori sparati ieri al Tar del Lazio durante la discussione dei tre ricorsi che mirano a disarcionare Michele Prestipino hanno fatto centro bisognerà attendere ancora qualche settimana. La guerra per la poltronissima da capo della Procura di Roma che si è aperta con il pensionamento di Giuseppe Pignatone, attuale presidente del Tribunale di papa Francesco, e che ha spaccato il Csm non si è ancora chiusa. A tentare la spallata sono state le toghe fiorentine Giuseppe Creazzo (Unicost), procuratore capo, e Marcello Viola (Magistratura Indipendente), procuratore generale, ma anche il capo della Procura di Palermo Franco Lo Voi (Magistratura indipendente). Tutti e tre contestano la nomina decisa il 4 marzo scorso a maggioranza, dopo un ballottaggio con Lo Voi, e nel bel mezzo dello sconquasso prodotto dalle chat dello stratega del Csm Luca Palamara (che ha portato alle dimissioni di sei consiglieri togati). I tre magistrati ricorrenti sostengono che ci sia stata una evidente violazione del testo unico sulla dirigenza. Il Csm, insomma, non avrebbe tenuto in giusta considerazione tutte le esperienze dei candidati, scegliendo Prestipino, in quel momento procuratore aggiunto a Roma e facente funzioni di procuratore per dieci mesi (dal momento in cui è andato in pensione Pignatone), ma meno titolato rispetto ai tre concorrenti. E se Lo Voi e Prestipino rappresentavano la continuità con Pignatone, sulle vicende degli altri due ha pesato non poco il caso Palamara. Viola, per esempio, finito nelle trame intrecciate nelle chat, ritiene «illegittima» la nomina di Prestipino perché la scelta della Quinta commissione, quella che si occupa di valutare gli incarichi direttivi dello stesso organo di autogoverno dei giudici, aveva indicato proprio lui. Tant'è che il 23 maggio 2019 c'era chi lo considerava già procuratore in pectore. Prese più voti di tutti, ben quattro: Antonio Lepre (Magistratura Indipendente), Piercamillo Davigo (Autonomie a Indipendenza), Emanuele Basile (laico espresso dalla Lega) e Fulvio Gigliotti (laico espresso dal M5s). A Creazzo andò il voto del membro togato di Unicost Gianluigi Morlini, e per il procuratore di Palermo Lo Voi votò il togato di Area Mario Suriano. Poi Viola apprese di essere il candidato sponsorizzato anche da Palamara e dai parlamentari che incontrava nottetempo: Luca Lotti e Cosimo Ferri, all'epoca del Pd e ora con Italia viva del Bullo. «Si vira su Viola», disse Lotti il 9 maggio all'hotel Champagne con cinque ex togati (Antonio Lepre, Paolo Criscuoli, Corrado Cartoni, Luigi Spina e Gianluigi Morlini). Dopo il primo scandalo la commissione fu annullata, anche a seguito dell'acquisizione delle trascrizioni dell'inchiesta di Perugia, e il suo nome non fu più riproposto. Ma ora il Pg, assistito dagli avvocati Girolamo Rubino e Giuseppe Impiduglia, sostiene la «contraddittorietà» della decisione del Csm, che, pur avendo riconosciuto la sua totale estraneità a qualsiasi tipo di accordo, lecito o illecito che fosse, escluse la sua candidatura. La commissione propose in seconda battuta un'altra terna: Prestipino, Lo Voi e Creazzo. Andarono al ballottaggio Prestipino e Lo Voi. E il primo vinse la corsa. La sostenuta parziale valutazione dei curriculum, fiche puntata da tutti e tre i ricorrenti, però, ora ha riaperto la partita. A opporsi ai ricorsi, insieme a Prestipino, c'era il Consiglio. Le parti contrapposte, a causa del Covid, si sono confrontate in videoconferenza. E subito dopo i giudici amministrativi si sono riservati, lasciando Prestipino ancora col fiato sospeso.
(Totaleu)
Lo ha detto il Ministro per gli Affari europei in un’intervista margine degli Ecr Study Days a Roma.
Getty Images
Ed è quel che ha pensato il gran capo della Fifa, l’imbarazzante Infantino, dopo aver intestato a Trump un neonato riconoscimento Fifa. Solo che stavolta lo show diventa un caso diplomatico e rischia di diventare imbarazzante e difficile da gestire perché, come dicevamo, la partita celebrativa dell’orgoglio Lgbtq+ sarà Egitto contro Iran, due Paesi dove gay, lesbiche e trans finiscono in carcere o addirittura condannate a morte.
Ora, delle due l’una: o censuri chi non si adegua a certe regole oppure imporre le proprie regole diventa ingerenza negli affari altrui. E non si può. Com’è noto il match del 26 giugno a Seattle, una delle città in cui la cultura Lgbtq+ è più radicata, era stata scelto da tempo come pride match, visto che si giocherà di venerdì, alle porte del nel weekend dell’orgoglio gay. Diciamo che la sorte ha deciso di farsi beffa di Infantino e del politically correct. Infatti le due nazioni hanno immediatamente protestato: che c’entriamo noi con queste convenzioni occidentali? Del resto la protesta ha un senso: se nessuno boicotta gli Stati dove l’omosessualità è reato, perché poi dovrebbero partecipare ad un rito occidentale? Per loro la scelta è «inappropriata e politicamente connotata». Così Iran ed Egitto hanno presentato un’obiezione formale, tant’è che Mehdi Taj, presidente della Federcalcio iraniana, ha spiegato la posizione del governo iraniano e della sua federazione: «Sia noi che l’Egitto abbiamo protestato. È stata una decisione irragionevole che sembrava favorire un gruppo particolare. Affronteremo sicuramente la questione». Se le Federcalcio di Iran ed Egitto non hanno intenzione di cedere a una pressione internazionale che ingerisce negli affari interni, nemmeno la Fifa ha intenzione di fare marcia indietro. Secondo Eric Wahl, membro del Pride match advisory committee, «La partita Egitto-Iran a Seattle in giugno capita proprio come pride match, e credo che sia un bene, in realtà. Persone Lgbtq+ esistono ovunque. Qui a Seattle tutti sono liberi di essere se stessi». Certo, lì a Seattle sarà così ma il rischio che la Fifa non considera è quello di esporre gli atleti egiziani e soprattutto iraniani a ritorsioni interne. Andremo al Var? Meglio di no, perché altrimenti dovremmo rivedere certi errori macroscopici su altri diritti dei quali nessun pride si era occupato organizzando partite ad hoc. Per esempio sui diritti dei lavoratori; eppure non pochi operai nei cantieri degli stadi ci hanno lasciato le penne. Ma evidentemente la fretta di rispettare i tempi di consegna fa chiudere entrambi gli occhi. Oppure degli operai non importa nulla. E qui tutto il mondo è Paese.
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