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2020-12-17
I pm picchiano sull’esposto di Fava ma le notizie riservate non ci sono
Luca Palamara (Ansa)
La mastodontica inchiesta di Perugia sul cosiddetto suk delle nomine al Consiglio superiore della magistratura e sulla presunta corruzione di Luca Palamara, alla fine, sembra ruotare tutta intorno all'esposto (cestinato) presentato il 27 marzo 2019 dall'allora pm romano Stefano Fava e incentrato sulla gestione di un fascicolo d'indagine da parte del suo vecchio capo Giuseppe Pignatone. In uno degli allegati della segnalazione al parlamentino dei giudici si faceva riferimento anche a un'astensione dell'aggiunto Paolo Ielo. Per questo nella primavera dell'anno scorso nei corridoi dei Csm e della Procura di Roma molte toghe iniziarono a parlare del presunto conflitto d'interessi di Ielo, che ha un fratello, Domenico, consulente per alcune grandi società. L'aggiunto ha sempre negato conflitti anche perché in almeno un caso si è astenuto. Eppure l'argomento divenne di grande attualità e iniziò a circolare in modo così insistente tra i magistrati da essere intercettato anche dai cronisti. Che, se se di mestiere fanno i giornalisti e non gli uffici stampa delle Procure, pubblicano le notizie. Per questo La Verità e Il Fatto quotidiano il 29 maggio 2019 raccontarono la vicenda dell'esposto che riguardava Pignatone e Ielo.
Ieri Palamara e Fava hanno ricevuto l'avviso di chiusura indagini da parte della Procura di Perugia, atto da cui risultano accusati di essere ispiratori di quei servizi. Peccato che all'epoca non conoscessimo Palamara e avessimo bussato alla porta di Fava, mai incrociato prima, solo dopo essere venuti a conoscenza dell'esposto. La Procura di Perugia contesta loro di aver rivelato ai cronisti notizie riservate, e in particolare di aver svelato circostanze riguardanti un procedimento sino a poco tempo prima in carico a Fava (oltre che a Ielo e Pignatone) e riguardante il faccendiere Piero Amara. Le informazioni che non avrebbero dovuto uscire sui quotidiani sono le seguenti: che Amara era indagato per bancarotta e frode fiscale; che Fava aveva chiesto un nuovo arresto per Amara (istanza bocciata da Pignatone); che durante le indagini Fava aveva trovato materiale che collegava Amara a un pagamento di 25 milioni da parte dell'Eni.
Peccato che in realtà Amara, in quel fascicolo, a differenza di quanto sostenuto dai pm, non fosse indagato per bancarotta e frode fiscale e la questione dei soldi pagati dalla compagnia petrolifera era emersa una settimana prima dell'uscita dell'articolo della Verità e del Fatto in un servizio del Corriere della sera. La Procura di Perugia accusa Fava (per cui sono caduti i due reati che l'anno scorso hanno portato al suo trasferimento) anche di abuso d'ufficio e accesso abusivo a banca dati informatica per aver cercato informazioni «volte a screditare» Pignatone e Ielo per aver visionato atti di un procedimento già definito con sentenza passata in giudicato. Fava per questo è accusato di aver orchestrato una «campagna mediatica» ai danni di Pignatone e Ielo. Anche se i pm nell'avviso di chiusura delle indagini non indicano quali articoli il magistrato abbia ispirato con quelle informazioni in mano.
Non va meglio a Palamara. All'ex presidente Anm gli inquirenti hanno rivoltato contro persino le indagini difensive: gli contestano, infatti, la rivelazione di segreto per avere evidenziato che nel maggio 2019 l'esistenza dell'esposto era un segreto di Pulcinella, visto che il procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio gliene aveva parlato già il 3 aprile 2019, un mese e mezzo prima dell'uscita della notizia sui giornali. Ora sono tutti e due indagati. Ma la cosa più assurda è che Fuzio, nel luglio 2019, aveva firmato l'atto di incolpazione disciplinare contro Fava per la fuga di notizie di cui ora è accusato lui stesso. In ogni caso, che l'esposto fosse un argomento che nella primavera del 2019 andava per la maggiore tra le toghe è confermato anche dalla testimonianza dell'ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo, acquisita dalla difesa di Palamara.
L'avvocato Benedetto Buratti nel luglio 2020 gli chiede che cosa sapesse dell'esposto di Fava, e Davigo risponde: «Prima delle intercettazioni non sapevo di un esposto formale. Può essere che Fava mi abbia parlato di possibili dissapori col suo capo in occasione dei due incontri che ho avuto con lui». E dopo aver conosciuto il contenuto si è arrabbiato? Davigo: «Non mi inquietai per quanto dichiarato nei confronti di Pignatone che era già andato in pensione. Mi arrabbiai molto, anche se lo tenni per me, quando venni a sapere dell'esposto contro Ielo che conosco bene e considero persona integerrima». Il verbale vira sui colloqui avuti con il compagno di corrente e di Csm Sebastiano Ardita: «Ho parlato con lui dell'esposto contro Ielo e non contro Pignatone una volta uscite le intercettazioni. Siccome lo avevo visto agitato dopo la pubblicazione delle intercettazioni gli chiesi di indicarmi se aveva avuto un ruolo nella gestione dell'esposto. Mi disse che il suo ruolo era stato istituzionale». Perché Ardita era preoccupato? Davigo: «Non posso spiegare interamente la vicenda, in quanto coperta in parte da segreto d'ufficio. Posso, tuttavia, evidenziare che, dopo l'uscita delle intercettazioni, avevo rappresentato ad Ardita che era poco prudente avere frequentazioni con il consigliere Lepre (captato dal trojan nella riunione dell'hotel Champagne, ndr). Lo avevo, infatti, visto parlare più volte con lui, anche trattenendosi nella sua stanza». Ma Ardita non avrebbe spiegato le ragioni di quelle riunioni. «Fui molto energico nel contestare tale comportamento, gli feci notare che questa sua frequentazione avrebbe potuto essere utilizzata come argomento contro di lui, come una sorta di riscontro rispetto a un'eventuale chiamata di correità» prosegue l'ex campione di Mani pulite. Qui l'argomento sembra chiaramente passare dall'esposto alla nomina del procuratore di Roma, per cui la corrente di Davigo e Ardita si schierò come Lepre, Palamara, Cosimo Ferri e Luca Lotti, i presunti complottardi dello Champagne, a favore del pg di Firenze Marcello Viola. Buratti a questo punto chiede se Ardita avesse esternato le ragioni delle sue preoccupazioni e Davigo ribadisce: «Questa è la parte coperta da segreto su cui non posso rispondere. Si tratta delle ragioni per cui non parlo più con il consigliere Ardita dal marzo 2020 (…) Non mi spiegavo le ragioni delle sue preoccupazioni. Ho sempre pensato: “Male non fare, paura non avere"». Nel marzo 2020 il Csm ha nominato come procuratore di Roma Michele Prestipino, considerato in continuità con Pignatone. Davigo l'ha appoggiato, Ardita e il collega Nino Di Matteo si sono astenuti.
Resta una domanda: la Procura di Perugia, che ha così meritoriamente approfondito le presunte rivelazioni relative all'esposto, a che punto è con le indagini sulle fughe di notizie a favore dei giornaloni che hanno compromesso l'inchiesta principale?
A rischio la poltrona di Prestipino
Per sapere se i caricatori sparati ieri al Tar del Lazio durante la discussione dei tre ricorsi che mirano a disarcionare Michele Prestipino hanno fatto centro bisognerà attendere ancora qualche settimana. La guerra per la poltronissima da capo della Procura di Roma che si è aperta con il pensionamento di Giuseppe Pignatone, attuale presidente del Tribunale di papa Francesco, e che ha spaccato il Csm non si è ancora chiusa. A tentare la spallata sono state le toghe fiorentine Giuseppe Creazzo (Unicost), procuratore capo, e Marcello Viola (Magistratura Indipendente), procuratore generale, ma anche il capo della Procura di Palermo Franco Lo Voi (Magistratura indipendente). Tutti e tre contestano la nomina decisa il 4 marzo scorso a maggioranza, dopo un ballottaggio con Lo Voi, e nel bel mezzo dello sconquasso prodotto dalle chat dello stratega del Csm Luca Palamara (che ha portato alle dimissioni di sei consiglieri togati). I tre magistrati ricorrenti sostengono che ci sia stata una evidente violazione del testo unico sulla dirigenza. Il Csm, insomma, non avrebbe tenuto in giusta considerazione tutte le esperienze dei candidati, scegliendo Prestipino, in quel momento procuratore aggiunto a Roma e facente funzioni di procuratore per dieci mesi (dal momento in cui è andato in pensione Pignatone), ma meno titolato rispetto ai tre concorrenti. E se Lo Voi e Prestipino rappresentavano la continuità con Pignatone, sulle vicende degli altri due ha pesato non poco il caso Palamara. Viola, per esempio, finito nelle trame intrecciate nelle chat, ritiene «illegittima» la nomina di Prestipino perché la scelta della Quinta commissione, quella che si occupa di valutare gli incarichi direttivi dello stesso organo di autogoverno dei giudici, aveva indicato proprio lui. Tant'è che il 23 maggio 2019 c'era chi lo considerava già procuratore in pectore. Prese più voti di tutti, ben quattro: Antonio Lepre (Magistratura Indipendente), Piercamillo Davigo (Autonomie a Indipendenza), Emanuele Basile (laico espresso dalla Lega) e Fulvio Gigliotti (laico espresso dal M5s). A Creazzo andò il voto del membro togato di Unicost Gianluigi Morlini, e per il procuratore di Palermo Lo Voi votò il togato di Area Mario Suriano. Poi Viola apprese di essere il candidato sponsorizzato anche da Palamara e dai parlamentari che incontrava nottetempo: Luca Lotti e Cosimo Ferri, all'epoca del Pd e ora con Italia viva del Bullo. «Si vira su Viola», disse Lotti il 9 maggio all'hotel Champagne con cinque ex togati (Antonio Lepre, Paolo Criscuoli, Corrado Cartoni, Luigi Spina e Gianluigi Morlini). Dopo il primo scandalo la commissione fu annullata, anche a seguito dell'acquisizione delle trascrizioni dell'inchiesta di Perugia, e il suo nome non fu più riproposto. Ma ora il Pg, assistito dagli avvocati Girolamo Rubino e Giuseppe Impiduglia, sostiene la «contraddittorietà» della decisione del Csm, che, pur avendo riconosciuto la sua totale estraneità a qualsiasi tipo di accordo, lecito o illecito che fosse, escluse la sua candidatura. La commissione propose in seconda battuta un'altra terna: Prestipino, Lo Voi e Creazzo. Andarono al ballottaggio Prestipino e Lo Voi. E il primo vinse la corsa. La sostenuta parziale valutazione dei curriculum, fiche puntata da tutti e tre i ricorrenti, però, ora ha riaperto la partita. A opporsi ai ricorsi, insieme a Prestipino, c'era il Consiglio. Le parti contrapposte, a causa del Covid, si sono confrontate in videoconferenza. E subito dopo i giudici amministrativi si sono riservati, lasciando Prestipino ancora col fiato sospeso.
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La denuncia che ha fatto esplodere l'inchiesta di Perugia conteneva informazioni già di dominio pubblico e documentate. Eppure, Luca Palamara e la toga sono indagati a differenza delle «talpe» del fascicolo principale.I candidati sconfitti (Marcello Viola, Franco Lo Voi e Giuseppe Creazzo) ricorrono al Tar Lazio contro la nomina del procuratore alla guida dell'ufficio giudiziario della Capitale: violate norme del Csm.Lo speciale contiene due articoli.La mastodontica inchiesta di Perugia sul cosiddetto suk delle nomine al Consiglio superiore della magistratura e sulla presunta corruzione di Luca Palamara, alla fine, sembra ruotare tutta intorno all'esposto (cestinato) presentato il 27 marzo 2019 dall'allora pm romano Stefano Fava e incentrato sulla gestione di un fascicolo d'indagine da parte del suo vecchio capo Giuseppe Pignatone. In uno degli allegati della segnalazione al parlamentino dei giudici si faceva riferimento anche a un'astensione dell'aggiunto Paolo Ielo. Per questo nella primavera dell'anno scorso nei corridoi dei Csm e della Procura di Roma molte toghe iniziarono a parlare del presunto conflitto d'interessi di Ielo, che ha un fratello, Domenico, consulente per alcune grandi società. L'aggiunto ha sempre negato conflitti anche perché in almeno un caso si è astenuto. Eppure l'argomento divenne di grande attualità e iniziò a circolare in modo così insistente tra i magistrati da essere intercettato anche dai cronisti. Che, se se di mestiere fanno i giornalisti e non gli uffici stampa delle Procure, pubblicano le notizie. Per questo La Verità e Il Fatto quotidiano il 29 maggio 2019 raccontarono la vicenda dell'esposto che riguardava Pignatone e Ielo.Ieri Palamara e Fava hanno ricevuto l'avviso di chiusura indagini da parte della Procura di Perugia, atto da cui risultano accusati di essere ispiratori di quei servizi. Peccato che all'epoca non conoscessimo Palamara e avessimo bussato alla porta di Fava, mai incrociato prima, solo dopo essere venuti a conoscenza dell'esposto. La Procura di Perugia contesta loro di aver rivelato ai cronisti notizie riservate, e in particolare di aver svelato circostanze riguardanti un procedimento sino a poco tempo prima in carico a Fava (oltre che a Ielo e Pignatone) e riguardante il faccendiere Piero Amara. Le informazioni che non avrebbero dovuto uscire sui quotidiani sono le seguenti: che Amara era indagato per bancarotta e frode fiscale; che Fava aveva chiesto un nuovo arresto per Amara (istanza bocciata da Pignatone); che durante le indagini Fava aveva trovato materiale che collegava Amara a un pagamento di 25 milioni da parte dell'Eni. Peccato che in realtà Amara, in quel fascicolo, a differenza di quanto sostenuto dai pm, non fosse indagato per bancarotta e frode fiscale e la questione dei soldi pagati dalla compagnia petrolifera era emersa una settimana prima dell'uscita dell'articolo della Verità e del Fatto in un servizio del Corriere della sera. La Procura di Perugia accusa Fava (per cui sono caduti i due reati che l'anno scorso hanno portato al suo trasferimento) anche di abuso d'ufficio e accesso abusivo a banca dati informatica per aver cercato informazioni «volte a screditare» Pignatone e Ielo per aver visionato atti di un procedimento già definito con sentenza passata in giudicato. Fava per questo è accusato di aver orchestrato una «campagna mediatica» ai danni di Pignatone e Ielo. Anche se i pm nell'avviso di chiusura delle indagini non indicano quali articoli il magistrato abbia ispirato con quelle informazioni in mano. Non va meglio a Palamara. All'ex presidente Anm gli inquirenti hanno rivoltato contro persino le indagini difensive: gli contestano, infatti, la rivelazione di segreto per avere evidenziato che nel maggio 2019 l'esistenza dell'esposto era un segreto di Pulcinella, visto che il procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio gliene aveva parlato già il 3 aprile 2019, un mese e mezzo prima dell'uscita della notizia sui giornali. Ora sono tutti e due indagati. Ma la cosa più assurda è che Fuzio, nel luglio 2019, aveva firmato l'atto di incolpazione disciplinare contro Fava per la fuga di notizie di cui ora è accusato lui stesso. In ogni caso, che l'esposto fosse un argomento che nella primavera del 2019 andava per la maggiore tra le toghe è confermato anche dalla testimonianza dell'ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo, acquisita dalla difesa di Palamara. L'avvocato Benedetto Buratti nel luglio 2020 gli chiede che cosa sapesse dell'esposto di Fava, e Davigo risponde: «Prima delle intercettazioni non sapevo di un esposto formale. Può essere che Fava mi abbia parlato di possibili dissapori col suo capo in occasione dei due incontri che ho avuto con lui». E dopo aver conosciuto il contenuto si è arrabbiato? Davigo: «Non mi inquietai per quanto dichiarato nei confronti di Pignatone che era già andato in pensione. Mi arrabbiai molto, anche se lo tenni per me, quando venni a sapere dell'esposto contro Ielo che conosco bene e considero persona integerrima». Il verbale vira sui colloqui avuti con il compagno di corrente e di Csm Sebastiano Ardita: «Ho parlato con lui dell'esposto contro Ielo e non contro Pignatone una volta uscite le intercettazioni. Siccome lo avevo visto agitato dopo la pubblicazione delle intercettazioni gli chiesi di indicarmi se aveva avuto un ruolo nella gestione dell'esposto. Mi disse che il suo ruolo era stato istituzionale». Perché Ardita era preoccupato? Davigo: «Non posso spiegare interamente la vicenda, in quanto coperta in parte da segreto d'ufficio. Posso, tuttavia, evidenziare che, dopo l'uscita delle intercettazioni, avevo rappresentato ad Ardita che era poco prudente avere frequentazioni con il consigliere Lepre (captato dal trojan nella riunione dell'hotel Champagne, ndr). Lo avevo, infatti, visto parlare più volte con lui, anche trattenendosi nella sua stanza». Ma Ardita non avrebbe spiegato le ragioni di quelle riunioni. «Fui molto energico nel contestare tale comportamento, gli feci notare che questa sua frequentazione avrebbe potuto essere utilizzata come argomento contro di lui, come una sorta di riscontro rispetto a un'eventuale chiamata di correità» prosegue l'ex campione di Mani pulite. Qui l'argomento sembra chiaramente passare dall'esposto alla nomina del procuratore di Roma, per cui la corrente di Davigo e Ardita si schierò come Lepre, Palamara, Cosimo Ferri e Luca Lotti, i presunti complottardi dello Champagne, a favore del pg di Firenze Marcello Viola. Buratti a questo punto chiede se Ardita avesse esternato le ragioni delle sue preoccupazioni e Davigo ribadisce: «Questa è la parte coperta da segreto su cui non posso rispondere. Si tratta delle ragioni per cui non parlo più con il consigliere Ardita dal marzo 2020 (…) Non mi spiegavo le ragioni delle sue preoccupazioni. Ho sempre pensato: “Male non fare, paura non avere"». Nel marzo 2020 il Csm ha nominato come procuratore di Roma Michele Prestipino, considerato in continuità con Pignatone. Davigo l'ha appoggiato, Ardita e il collega Nino Di Matteo si sono astenuti.Resta una domanda: la Procura di Perugia, che ha così meritoriamente approfondito le presunte rivelazioni relative all'esposto, a che punto è con le indagini sulle fughe di notizie a favore dei giornaloni che hanno compromesso l'inchiesta principale? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-pm-picchiano-sullesposto-di-fava-ma-le-notizie-riservate-non-ci-sono-2649521476.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="a-rischio-la-poltrona-di-prestipino" data-post-id="2649521476" data-published-at="1608149892" data-use-pagination="False"> A rischio la poltrona di Prestipino Per sapere se i caricatori sparati ieri al Tar del Lazio durante la discussione dei tre ricorsi che mirano a disarcionare Michele Prestipino hanno fatto centro bisognerà attendere ancora qualche settimana. La guerra per la poltronissima da capo della Procura di Roma che si è aperta con il pensionamento di Giuseppe Pignatone, attuale presidente del Tribunale di papa Francesco, e che ha spaccato il Csm non si è ancora chiusa. A tentare la spallata sono state le toghe fiorentine Giuseppe Creazzo (Unicost), procuratore capo, e Marcello Viola (Magistratura Indipendente), procuratore generale, ma anche il capo della Procura di Palermo Franco Lo Voi (Magistratura indipendente). Tutti e tre contestano la nomina decisa il 4 marzo scorso a maggioranza, dopo un ballottaggio con Lo Voi, e nel bel mezzo dello sconquasso prodotto dalle chat dello stratega del Csm Luca Palamara (che ha portato alle dimissioni di sei consiglieri togati). I tre magistrati ricorrenti sostengono che ci sia stata una evidente violazione del testo unico sulla dirigenza. Il Csm, insomma, non avrebbe tenuto in giusta considerazione tutte le esperienze dei candidati, scegliendo Prestipino, in quel momento procuratore aggiunto a Roma e facente funzioni di procuratore per dieci mesi (dal momento in cui è andato in pensione Pignatone), ma meno titolato rispetto ai tre concorrenti. E se Lo Voi e Prestipino rappresentavano la continuità con Pignatone, sulle vicende degli altri due ha pesato non poco il caso Palamara. Viola, per esempio, finito nelle trame intrecciate nelle chat, ritiene «illegittima» la nomina di Prestipino perché la scelta della Quinta commissione, quella che si occupa di valutare gli incarichi direttivi dello stesso organo di autogoverno dei giudici, aveva indicato proprio lui. Tant'è che il 23 maggio 2019 c'era chi lo considerava già procuratore in pectore. Prese più voti di tutti, ben quattro: Antonio Lepre (Magistratura Indipendente), Piercamillo Davigo (Autonomie a Indipendenza), Emanuele Basile (laico espresso dalla Lega) e Fulvio Gigliotti (laico espresso dal M5s). A Creazzo andò il voto del membro togato di Unicost Gianluigi Morlini, e per il procuratore di Palermo Lo Voi votò il togato di Area Mario Suriano. Poi Viola apprese di essere il candidato sponsorizzato anche da Palamara e dai parlamentari che incontrava nottetempo: Luca Lotti e Cosimo Ferri, all'epoca del Pd e ora con Italia viva del Bullo. «Si vira su Viola», disse Lotti il 9 maggio all'hotel Champagne con cinque ex togati (Antonio Lepre, Paolo Criscuoli, Corrado Cartoni, Luigi Spina e Gianluigi Morlini). Dopo il primo scandalo la commissione fu annullata, anche a seguito dell'acquisizione delle trascrizioni dell'inchiesta di Perugia, e il suo nome non fu più riproposto. Ma ora il Pg, assistito dagli avvocati Girolamo Rubino e Giuseppe Impiduglia, sostiene la «contraddittorietà» della decisione del Csm, che, pur avendo riconosciuto la sua totale estraneità a qualsiasi tipo di accordo, lecito o illecito che fosse, escluse la sua candidatura. La commissione propose in seconda battuta un'altra terna: Prestipino, Lo Voi e Creazzo. Andarono al ballottaggio Prestipino e Lo Voi. E il primo vinse la corsa. La sostenuta parziale valutazione dei curriculum, fiche puntata da tutti e tre i ricorrenti, però, ora ha riaperto la partita. A opporsi ai ricorsi, insieme a Prestipino, c'era il Consiglio. Le parti contrapposte, a causa del Covid, si sono confrontate in videoconferenza. E subito dopo i giudici amministrativi si sono riservati, lasciando Prestipino ancora col fiato sospeso.
Emmanuel Macron (Ansa)
Donald Trump è stato criticato per aver ricevuto lo zar in Alaska ad agosto: da più parti, il presidente americano è stato accusato di aver fatto il gioco di Putin o di avergli regalato un immeritato prestigio diplomatico. Per non parlare poi di Viktor Orbán! Quando a novembre il premier ungherese incontrò lo zar a Mosca, finì bersagliato dagli strali di Friedrich Merz, che lo tacciò di agire senza alcun mandato europeo. Eppure con Macron, sia da Bruxelles che da Berlino, sono arrivati commenti soft. «Restiamo in coordinamento in termini di contatti bilaterali per raggiungere una pace sostenibile in Ucraina e accogliamo con favore gli sforzi di pace», ha dichiarato un portavoce dell’Ue, parlando dell’eventualità di una telefonata tra il presidente francese e Putin. «Non abbiamo alcuna preoccupazione che l’unità europea sulla guerra possa incrinarsi. Non c’è alcun dubbio sulla nostra posizione comune», ha inoltre affermato il governo tedesco, riferendosi alle aperture di Macron allo zar, per poi sottolineare (non senza un po’ di freddezza) che Berlino «ha preso atto dei segnali di disponibilità al dialogo».
Ora, è forse possibile formulare alcune considerazioni. La prima è che la diplomazia è un concetto differente dall’appeasement. Il problema è che alcuni settori politici e mediatici hanno finito indebitamente col sovrapporli. Trump, per esempio, ha, sì, ripreso il dialogo con Mosca. Ma lo ha anche alternato a forme di pressione (si pensi soltanto alle sanzioni americane contro Lukoil e Rosneft). Questo dimostra che si può dialogare senza essere necessariamente arrendevoli. D’altronde, se si chiudono aprioristicamente tutti i canali di comunicazione con l’avversario o con il potenziale avversario, si pongono le basi affinché una crisi sia essenzialmente irrisolvibile. Andrebbe inoltre ricordato che, secondo lo storico John Patrick Diggins, anche Ronald Reagan fu criticato dai neoconservatori per il suo dialogo con Mikhail Gorbachev.
Tutto questo per dire che, se Bruxelles non ha quasi toccato palla sulla crisi ucraina per quattro anni, è per due ragioni. Una strutturale: l’Ue non è un soggetto geopolitico. Un’altra più contingente: rinunciando pressoché totalmente all’opzione diplomatica, Bruxelles ha perso margine di manovra, raffreddando anche i rapporti con ampie parti del Sud globale. Paesi come l’India o l’Arabia Saudita hanno infatti sempre rifiutato di mollare Mosca, al netto della sua invasione dell’Ucraina. La strategia dell’isolamento perseguita dall’Ue ha quindi soltanto spinto sempre più il Cremlino tra le braccia della Cina e di vari Paesi del Sud globale.
La seconda considerazione da fare riguarda invece Macron. Dobbiamo veramente pensare che il presidente francese sia improvvisamente diventato uno stratega della diplomazia? Probabilmente no. Da quando la crisi ucraina è cominciata, il capo dell’Eliseo ha fatto tutto e il contrario di tutto. All’inizio, voleva tenere i contatti col Cremlino e diceva che Putin non doveva essere umiliato. Poi, dall’anno scorso, si è improvvisamente riscoperto falco antirusso. Addirittura, a maggio 2024, l’amministrazione Biden prese le distanze dalla proposta francese di inviare addestratori militari in Ucraina. Ciò non impedì comunque a Macron di essere, sempre a maggio 2024, uno dei pochi leader europei a mandare un ambasciatore alla cerimonia d’insediamento di Putin. Non solo. A marzo, il presidente francese quasi derise gli sforzi diplomatici di Trump in Ucraina, mentre, poche settimane fa, ha cercato di avviare un processo diplomatico parallelo a quello della Casa Bianca, tentando di convincere Xi Jinping a raffrenare lo zar. Tutto questo fino a venerdì, quando il capo dell’Eliseo ha aperto alla possibilità di parlare con Putin.
Macron sa di essere finito all’angolo. E sa perfettamente che gli interessi geopolitici alla base del riavvicinamento tra Washington e Mosca sono troppo forti per essere ostacolati. Sta quindi cercando di rientrare in partita. Non solo. Il leader francese sembra sempre più insofferente verso Berlino. Prima ha rotto con Merz sulla questione degli asset russi. Poi, con la sua svolta dialogante, ha de facto sconfessato la linea dura del cancelliere, che ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Nel frattempo, non si registrano commenti significativi da parte del Regno Unito, che potrebbe temere un disallineamento di Parigi dall’asse dei volenterosi. Il punto è che il presidente francese gioca una partita molto «personale». Pertanto, anziché affidarsi a lui, Bruxelles, per contare finalmente qualcosa, dovrebbe forse coordinarsi maggiormente con Trump, sostenendo il suo processo diplomatico e rafforzando le relazioni transatlantiche. Esattamente quanto propone da mesi il governo italiano.
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