2020-08-30
I platani maestosi del Campo dei miracoli
A Campiglione Fenile, in Piemonte, sorgono enormi piante, cariche sulle loro cortecce del peso dei secoli. Il merito è dei proprietari benestanti che hanno vissuto e abbellito per lungo tempo i giardini che circondano Villa Luserna e l'abitazione dei conti Beccaria.Da anni volevo tornarci. Una strada pianeggiante solca le campagne che si srotolano fra pinerolese e saluzzese, al confine fra le province di Torino e Cuneo. Ad una rotonda c'è l'indicazione per il paese di Campiglione Fenile, un piccolo punto nella mappa del Piemonte. Eppure, in questa località esiste un'insolita concentrazione di grandi alberi che si sono caricati sulle cortecce il peso dei secoli. Insolito perché i paesi di campagna, in pianura, sono lavorati, i terreni non vengono lasciati ai grandi alberi. Invece a Campiglione Fenile si è scelto diversamente, soprattutto grazie ai proprietari benestanti che hanno abitato e abbellito per lungo tempo i giardini che circondano Villa o Palazzo Luserna, il Castello medioevale e l'abitazione dei conti Beccaria, le magioni del paese che in seguito è cresciuto d'attorno. Grandi alberi popolano i giardini interni del Luserna, raramente aperto al pubblico. A lato della proprietà c'è un'estensione agricola, disegnata fra i vigneti e i frutteti; una recinzione circonda un grande campo che ospita alcuni dei più affascinanti alberi monumentali del Nord Ovest.Per gli indiani indisciplinati come chi scrive, l'ingresso si trova alla parte del campo. Si abbandona la provinciale che unisce Pinerolo e Cavour, ci si avvicina al centro finché si incontra sulla propria sinistra una strada sterrata, con un cartello che indica «Le 5 frecce»; poche decine di metri e si parcheggia a una roggia. Ci si ferma sotto le fronde accoglienti e rinfrescanti di un liquidambar styraciflua, o storace americano, albero importato da oltreoceano nel corso del 1681 dal missionario John Banister che ne piantò i semi a Londra. In estate potete individuare facilmente la quantità di semi stellati che pendono tra le foglie. La rete che cinge la proprietà del campo che diversi anni fa ribattezzai Campo dei Miracoli, presenta una porticina: in alcune stagioni giace divelta, in altre, come questa, è chiusa da un lucchetto. A lato però i visitatori hanno forzato la recinzione e si può entrare senza provocare ulteriori danni. Consiglio, ovviamente, a coloro che vengano morsi dal desiderio furente di visitare questo «giardino» di avere la massima prudenza e attenzione, per non creare ulteriori disagi alla proprietà. Il primo grande albero che s'incontra ci strapazza gli occhi, con tutte quelle cortecce arricciate e brullose, le due ramificazioni che si allungano come giganti mani di Ent. Assieme alla responsabile botanica del Museo di Scienze Naturali di Torino, la dottoressa Rosa Camoletto, avevamo cercato di capire a quale specie appartenesse, partendo dalle evidenti somiglianze con una pianta molto diffusa in Piemonte e particolarmente nei giardini pubblici di Torino: il noce del Caucaso o Pterocarya fraxinifolia. Questa pianta ha foglia simile, allungata, e lascia pendore come liane dritte e lunghe una o due spanne le semenze, raccolte in canocchie. La forma però delle ali dei singoli semi è diversa, rispetto agli esemplari di Torino. Abbiamo scoperto che esiste una noce della Cina, o Pterocarya stenoptera, presente in alcuni giardini francesi, e quindi anche qui nelle campagne piemontesi. È un albero che richiede attenzioni, che va osservato con pazienza. Ed è, oltremodo, uno splendido antipasto estetico e botanico di quella coppia di giganti che stiamo per incontrare. Si salta oltre una roggia mormoreggiante. Mentre camminiamo nell'erba ci vediamo venire incontro un enorme ammasso vegetale, semisferico, giallastro, le foglie sventolanti e lunghi rami che oscillano per 10-12-15 metri dai rispettivi tronchi di emissione. Penetrando ci dobbiamo abbassare, quasi inchinare di fronte a questa coppia di imbronciati e corrucciati giganti piantati, probabilmente, fra gli esordi e gli anni Trenta del XIX secolo. Pare che negli anni in cui Xavier Kurtein, il grande architetto tedesco voluto dai Savoia per abbellire diversi parchi e giardini, fra i quali quelli del non distante Castello di Racconigi, abbia prestato opera e servizio anche qui a Campiglione. La biodiversità arborea presente in questo che oggi ci appare come un grande campo recintato è figlia di un progetto di abbellimento che pare esprimere la volontà di ampliare i giardini del palazzo: pini neri, faggi, gelsi del Texas, la noce che abbiamo appena incontrato e gli alberi che stiamo per accarezzare. I due platani sono unici (meglio, assai rari) in Italia, poiché è consuetudine che i giardinieri e i proprietari li accompagnino in una crescita verticale, mentre qui troviamo i platani allo stato, per così dire, brado, come ad esempio fanno anche gli inglesi - basti pensare a certi square di Londra. I lunghi rami pendono, rimbalzano, saettano fra terra e mezz'aria, amplificando uno spazio protetto, una vera e propria cattedrale vegetale alta trenta metri, se non più, e larga altrettanto, in ogni direzione. Un tempo la recinzione non esisteva e i bambini del paese che andavano a scuola, si ritrovavano qui sotto, a dondolare sui rami che erano sollevati da terra. Sono passati trent'anni, e qualche giorni in più, e quei rami sono scesi. Passiamo alle misure dei tronchi, «la misura» portante: la noce della Cina ha un tronco che supera di qualche centimetro i 600 di circonferenza, mentre i due platani, rispettivamente, 755 e 625 cm. Ovvero stiamo parlando di uno dei due più larghi platani della Regione, al pari, della misura del grande platano detto di Napoleone che svetta alle porte di Alessandria, messo a dimora, si racconta, nelle settimane della battaglia di Marengo, il 14 giugno 1800.Un tempo l'idea di recintare un albero sarebbe stata vista come una bizzarra anomalia, una soluzione estrema e infelice. La mia generazione invece recinta. La mia generazione invece recinta. Quanti alberi ho visto in questi ultimi anni recintati per volontà dei miei coetanei, o dei rispettivi fratelli maggiori e padri, mentre raramente veniva in mente alla generazione dei nostri nonni, i quali nutrivano una visione di libertà e proprietà ben diverse. Noi siamo generazioni sospettose, timorose, diffidenti, e ci proteggiamo innalzando limiti, pareti, recinzioni. Tutto quel che è nostro ci da fastidio che sia anche di altri. da quel che vedo. In cultura, se posso ampliare l'osservazione, accade spesso lo stesso. Ma non è forse un gran peccato? Non è l'emblema di una generazione debole, isterica e aggressiva allo stesso tempo? Comunque, questo è il nostro tempo e talora per evitare danni inutili e gratuiti la recinzione sembra l'unico sistema. Terminiamo ogni visita con un consiglio musicale, ma per una volta niente musica. Raccogliamoci in mezzo a questi due severi signori del tempo e ascoltiamo, a occhi socchiusi, lo sfogliare del vento che attraversa il mondo.