In una settimana qualche migliaio di infezioni (quasi tutte risolte), poche centinaia di ricoveri e 49 persone in rianimazione. Eppure, con questi dati, i profeti di sventura minacciano di imbavagliare i ragazzi che in questi giorni tornano tra i banchi.Il Covid è un’emergenza riesumata con metodi da dottor Frankenstein. Un’emergenza che si ostinano a tenere in vita, visto che versa in stato vegetativo, con la respirazione artificiale di tv e giornali. Appigliandosi ai soliti agganci che offre la statistica: sparare un titolo con doppie cifre, una percentuale in ascesa vertiginosa, uno scampolo di bollettino che traini l’ennesimo appello per l’ennesima dose di vaccino. O la delirante iniziativa dei presidi: smaltire le scorte di mascherine avanzate, distribuendole agli studenti che da oggi torneranno sui banchi di scuola. Tutto ciò, benché sia appurato che i giovani in buona salute - grazie a Dio, la maggior parte - non rischiano praticamente nulla dal coronavirus; e benché siano stati comunque vaccinati e rivaccinati - nella fascia 12-19 anni, in 32.431 hanno ricevuto persino una quarta puntura. E allora, li vogliamo vedere davvero i numeri che dovrebbero giustificare il redivivo allarme? Eccoli qua. Sui media, campeggia la percentuale riferita all’ultimo monitoraggio, che ormai ha cadenza solo settimanale ed è aggiornato a venerdì 8 settembre: i contagi sono in crescita del 44%. Vero: 43,4, per l’esattezza. Ma sapete a quanto ammontano le infezioni, in cifre assolute? A 21.316. In una settimana. Dopodiché, siccome in ogni resoconto entrano sia gli individui che contraggono il Sars-Cov-2 sia quelli che se ne liberano, risulta che gli attualmente positivi sono cresciuti solo del 6,2% (7.698 unità). In totale, nel nostro Paese, ce ne sono 132.133. Un esempio per capire la magnitudine del fenomeno: tutti costoro non basterebbero nemmeno a riempire la Nuova Pescara, l’ambizioso progetto di fusione di tre Comuni abruzzesi (il capoluogo adriatico, Montesilvano e Spoltore) in un unico agglomerato urbano. E non stiamo mica parlando della Grande Mela, o della Greater London... Considerato che, in media, ogni anno le sindromi simil-influenzali colpiscono circa il 9% della popolazione, quindi intorno ai 5 milioni e mezzo di persone, a questi ritmi saremmo al di sotto o in linea con i normali flussi stagionali. Sì, è proprio il caso di ricordarlo: anche prima che comparisse il virus cinese, in Italia ci si poteva benissimo buscare una malattia respiratoria. Tanta gente finiva in ospedale e, regolarmente, le epidemie influenzali determinavano un eccesso di morti: nel 2016/2017, le vittime in sovrannumero furono 24.981. E invece, come va con il Covid? Quando si sposta lo sguardo dai contagi ai casi gravi - sui quali, non a caso, nessuno sta ponendo l’accento - ci si accorge di quanto sia infondato il panico in cui vogliono gettarci le prefiche dell’ormai sepolto regimetto sanitario. I ricoverati con sintomi sono 1.872 nell’intera penisola; 213 di essi sono finiti in corsia la scorsa settimana, il 12,8% in più. Tra dimessi e guariti, però, è stato rilevato un incremento ben più consistente: +33,6%. Significa che 13.517 persone non corrono più alcun pericolo di vita oppure hanno effettuato un test negativo. Quanti sono i malati gravi? Per fortuna, una sparuta minoranza: in terapia intensiva, negli ultimi sette giorni, sono stati ricoverati dieci nostri connazionali. Nel complesso, sono in rianimazione 49 persone. Quarantanove. Si contano delle vittime, ahinoi, ma non paiono sussistere le condizioni per parlare di una catastrofe: ci sono 94 morti. Sarebbe interessante sapere se sono spirati «con» o «per» il Covid. Fatto sta che il tumore ammazza quasi 500 italiani ogni 24 ore. E non pullulano telepredicatori dell’emergenza cancro. Ora, noi vogliamo essere prudenti nel giudizio. Abbiamo imparato che, quando arriva un’ondata di coronavirus, le ospedalizzazioni s’impennano un paio di settimane dopo i contagi. Tuttavia, gli italiani dovrebbero essere ben protetti da una combinazione tra pregresse infezioni e profilassi farmacologica. L’85% della popolazione è vaccinata: oltre 50 milioni di persone, alla faccia di chi aveva voluto individuare nei renitenti la causa di una possibile ecatombe. Quasi 40 milioni e 500.000 persone hanno ricevuto tre dosi. Altri 6 milioni e 700.000 si sono sottoposti a quattro iniezioni. Possibile che quel che ci separa da una strage di anziani e fragili sia il quinto o, in alcune circostanze, il sesto ago piantato nel braccio? Stessero così le cose, non andrebbe rimesso in discussione il successo storico dei vaccini? Se i preparati di Pfizer & C. hanno funzionato, possiamo stare tranquilli. Se non possiamo stare tranquilli, non hanno funzionato come ci aspettavamo e, allora, toccherà riscrivere da capo a piedi la storia della pandemia.Nel frattempo, chi rientra nelle categorie più esposte valuti, insieme al proprio medico, se vaccinarsi ancora. Lo Stato allestisca finalmente una rete efficace di assistenza precoce e domiciliare, usando i protocolli efficaci a disposizione: antinfiammatori e, in seconda istanza, antivirali. Chi ha perso il senso della realtà, nel mentre, dia un’occhiata ai numeri. Esiste sempre la filosofia del rischio zero. Si tenga a mente, però, che il vivere stesso implica il rischio - a lungo andare, la certezza - di morire. A volte, l’ipocondria è più pericolosa del Covid.
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Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
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Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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