2018-09-07
«I nostri sindaci non hanno i soldi per mettere in sicurezza le scuole»
La seconda puntata degli istituti che non hanno verificato la vulnerabilità sismica. Oggi pubblichiamo i dati di Calabria, Liguria e Veneto. Parla Massimo Mariani, componente del Consiglio nazionale degli ingegneri: «Ci sono gli istituti dei piccoli Comuni, che hanno difficoltà persino con la gestione degli affari correnti».Ai genitori che hanno i figli in età scolare non resta che sperare nella buona sorte, che non ci sia un terremoto o che la scuola sia stata costruita in modo tale da resistere alle scosse. La legge per effettuare le verifiche di vulnerabilità sismica c'è e secondo quanto dicono gli esperti, è pure stata concepita nel modo giusto. Soltanto che, come spesso accade nel nostro Paese, è di difficile applicazione. Sicché, passata l'emergenza, spenti i riflettori dopo l'ennesimo dramma, viene accantonata e dimenticata. L'ostacolo maggiore è quello economico, la mancanza di fondi pubblici e la difficoltà, soprattutto da parte dei piccoli Comuni, di effettuare le verifiche con i soldi in bilancio. Come se ne esce? Lo abbiamo chiesto all'ingegnere Massimo Mariani, componente del Consiglio nazionale degli ingegneri e del Comitato tecnico scientifico sisma Italia centrale, uno dei maggiori esperti negli studi e negli interventi sulla vulnerabilità sismica.La legge sulle verifiche di vulnerabilità sismica del patrimonio edilizio scolastico pubblico risale al 2003. Come mai ci sono ancora 4.000 edifici da monitorare? Di chi è la responsabilità di questo ritardo?«Non del legislatore. La legge è fatta bene e l'intenzione è giusta, ma l'applicazione dipende da una serie di fattori. È innanzitutto un problema di soldi perché l'adeguamento strutturale di un edificio è costoso. Non dimentichiamoci che gran parte del patrimonio edilizio scolastico è di antica data, costruito con criteri e tecniche diverse da quelle applicate dalla moderna ingegneria. Numerosi edifici inoltre sono monumenti storici e sottoposti ai vincoli propri dei beni artistici. Intervenire su tali strutture è oneroso. Non pensiamo soltanto alle scuole delle grandi città. Ci sono gli istituti dei piccoli Comuni, che hanno difficoltà persino con la gestione degli affari correnti. Le verifiche richiedono decine di migliaia di euro per non parlare degli interventi successivi per rimettere a norma tutto».I fondi però, dopo ogni tragedia, spuntano miracolosamente fuori. Cos'altro ha bloccato le verifiche?«Un grande problema, legato sempre alla questione dei finanziamenti, è quello di stabilire un'alternativa per lo svolgimento regolare delle lezioni. Le verifiche vengono effettuate a legislazione vigente, cioè sono applicati i moderni criteri per stabilire il grado di vulnerabilità sismica. La tecnica delle costruzioni si è evoluta, come è accaduto per la medicina. Il patrimonio edilizio pubblico è antico e qualsiasi sindaco sa bene che applicare quei criteri significa che gran parte delle scuole potrebbero risultare vulnerabili ai terremoti e quindi inagibili. Pertanto dovrebbero esserci aule alternative dove fare lezione, almeno fino a quando non vengano completati i lavori di adeguamento strutturale. Questi potrebbero richiedere vari anni, addirittura un'intera generazione di studenti potrebbe essere costretta a traslocare. I sindaci si trovano quindi di fronte al problema di dover garantire l'istruzione e il normale svolgimento delle lezioni, ma in una struttura accogliente e sicura. La difficoltà a trovare una risposta a questo tema può aver determinato il rallentamento delle verifiche. Le conseguenze delle analisi possono mettere a disagio le amministrazioni».Se i sindaci si trovano in un vicolo cieco come si può risolvere il problema?«Ci vuole un interesse da parte dello Stato, della politica, a poter rendere attuabile la legge. La prevenzione politicamente non paga. Dopo ogni tragedia si fanno annunci e promesse, ma prevenire i drammi significa delineare un programma che si sviluppa nell'arco di trent'anni. La politica ha sempre fretta di incassare consensi e si muove in un arco temporale che è quello della legislatura. Non si possono fare annunci che costano miliardi che nessuno sa dove andare a prendere. Come nel caso delle grandi infrastrutture. Andrebbe stabilita una gerarchia degli interventi da effettuare, le opere che hanno maggiori necessità senza lasciarsi andare all'emotività che segue a ogni evento tragico. Altrimenti si continua a parlare di prevenzione senza passare dalle dichiarazioni ai fatti».
13 agosto 2025: un F-35 italiano (a sinistra) affianca un Su-27 russo nei cieli del Baltico (Aeronautica Militare)
La mattina del 13 agosto due cacciabombardieri F-35 «Lightning II» dell’Aeronautica Militare italiana erano decollati dalla base di Amari, in Estonia, per attività addestrativa. Durante il volo i piloti italiani hanno ricevuto l’ordine di «scramble» per intercettare velivoli non identificati nello spazio aereo internazionale sotto il controllo della Nato. Intervenuti immediatamente, i due aerei italiani hanno raggiunto i jet russi, due Sukhoi (un Su-27 ed un Su-24), per esercitare l’azione di deterrenza. Per la prima volta dal loro schieramento, le forze aeree italiane hanno risposto ad un allarme del centro di coordinamento Nato CAOC (Combined Air Operations Centre) di Uadem in Germania. Un mese più tardi il segretario della Nato Mark Rutte, anche in seguito all’azione di droni russi in territorio polacco del 10 settembre, ha annunciato l’avvio dell’operazione «Eastern Sentry» (Sentinella dell’Est) per la difesa dello spazio aereo di tutto il fianco orientale dei Paesi europei aderenti all’Alleanza Atlantica di cui l’Aeronautica Militare sarà probabilmente parte attiva.
L’Aeronautica Militare Italiana è da tempo impegnata all’interno della Baltic Air Policing a difesa dei cieli di Lettonia, Estonia e Lituania. La forza aerea italiana partecipa con personale e velivoli provenienti dal 32° Stormo di Amendolara e del 6° Stormo di Ghedi, operanti con F-35 e Eurofighter Typhoon, che verranno schierati dal prossimo mese di ottobre provenienti da altri reparti. Il contingente italiano (di Aeronautica ed Esercito) costituisce in ambito interforze la Task Air Force -32nd Wing e dal 1°agosto 2025 ha assunto il comando della Baltic Air Policing sostituendo l’aeronautica militare portoghese. Attualmente i velivoli italiani sono schierati presso la base aerea di Amari, situata a 37 km a sudovest della capitale Tallinn. L’aeroporto, realizzato nel 1945 al termine della seconda guerra mondiale, fu utilizzato dall’aviazione sovietica per tutti gli anni della Guerra fredda fino al 1996 in seguito all’indipendenza dell’Estonia. Dal 2004, con l’ingresso delle repubbliche baltiche nello spazio aereo occidentale, la base è passata sotto il controllo delle forze aeree dell’Alleanza Atlantica, che hanno provveduto con grandi investimenti alla modernizzazione di un aeroporto rimasto all’era sovietica. Dal 2014, anno dell’invasione russa della Crimea, i velivoli della Nato stazionano in modo continuativo nell’ambito delle operazioni di difesa dello spazio aereo delle repubbliche baltiche. Per quanto riguarda l’Italia, quella del 2025 è la terza missione in Estonia, dopo quelle del 2018 e 2021.
Oltre ai cacciabombardieri F-35 l’Aeronautica Militare ha schierato ad Amari anche un sistema antimissile Samp/T e i velivoli spia Gulfstream E-550 CAEW (come quello decollato da Amari nelle immediate circostanze dell’attacco dei droni in Polonia del 10 settembre) e Beechcraft Super King Air 350ER SPYD-R.
Il contingente italiano dell'Aeronautica Militare è attualmente comandato dal colonnello Gaetano Farina, in passato comandante delle Frecce Tricolori.
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