2025-03-19
I nostri oligarchi sono la zavorra del Paese
Nel suo libro, Mario Giordano svela miserie e ignobiltà delle grandi famiglie del capitalismo italiano. Sotto il denaro, niente: soltanto avidità, volgarità e lotte fratricide. Tra quanto hanno dato alla nazione e quanto hanno ricevuto, il bilancio per noi cittadini è in rosso.La Verità si è occupata a lungo del poco (e poco buono) che rimane della famiglia Agnelli-Elkann. Spregiudicatezza nel gestire gli affari, irriconoscenza verso il Paese che ha alimentato (in tutti i sensi) la loro azienda, squallore, miseria e desolazione nel vedere le liti tra gli eredi che si occupano dei loro soldi e che, nel frattempo, fottono gli operai che lavorano per loro. Di tutto questo ha parlato questo giornale e nel mio piccolo anch’io personalmente. Mario Giordano ha scritto un libro che si intitola Dynasty. Dagli Agnelli ai Del Vecchio, dai Benetton ai De Benedetti: il crollo delle dinastie dei potenti. Che sia un libro molto informato e dettagliato nell’analisi dello squallore di queste famiglie non stupisce, visto chi lo scrive. Giordano ci ha abituato, negli anni, con vari libri: Sanguisughe, Iene, Avvoltoi e Vampiri dove denunciava «sprechi, follie e scelleratezze dei potenti» senza che nessuno lo abbia smentito. In questo libro ha messo le mani nel fango di coloro che dovrebbero essere gli eredi di importanti famiglie di imprenditori e che, invece, si stanno trasformando in piragna dell’eredità che si interessano solo ai soldi e a far soldi con i soldi, ma solo per sé stessi e non per chi li ha resi ricchi: chi ha lavorato e lavora per loro. Una vera fogna. Un vero schifo. Bene ha fatto Giordano a raccontarcelo. Delle quattro famiglie non se ne salva una, dai «Del Vecchio che da quasi tre anni non riescono a mettersi d’accordo sull’eredità e si detestano a tal punto (dicono le inchieste) da ricorrere agli spioni illegali per controllarsi a vicenda…», ai «De Benedetti con figli e genitori che si scontrano all’arma bianca, una specie di guerra dei Roses della carta stampata», ai «Benetton, famiglia che insegnava al mondo etica e solidarietà ed è precipitata nell’infamia con quelle feste a Cortina celebrate senza ritegno dopo la tragedia del ponte Morandi, mangiando e bevendo su quarantatré cadaveri ancora caldi. Pensate a loro, perché come ha detto un manager che li conosce bene: “Non capiscono un cazzo. Sono indegni, vogliono solo i soldi. E pensano ai cazzi loro”».Scrive ancora Giordano: «Pensate alla torbida faida di casa Agnelli con madre (Margherita) e figli (Jaki Elkann e i suoi fratelli) che litigano sull’eredità rinfacciandosi l’un l’altro maltrattamenti ed evasione fiscale, quadri spariti, tesori nei paradisi fiscali e orecchini da 78 milioni di euro mentre le fabbriche italiane dell’ex Fiat si spengono lasciando gli operai in mezzo alla strada». Ha ragione a scrivere che si chiamano Agnelli ma sono lupi. Scrive Mario Giordano che, dopo tanti altri libri, questo «racconta le miserie dell’animo umano». Leggendo il libro, mi sono venuti in mente due titoli del padre degli economisti liberali, Adam Smith, che ben descrivono, secondo me, le miserie di questi poveracci che dovevano essere una dinastia e stanno diventando una dynasty. Il primo libro si intitola La ricchezza delle nazioni. Ed eccoci alla prima miseria, alla prima nefandezza. Questi signori hanno prosperato prendendo tanti soldi dallo Stato italiano, forse ad esclusione di Del Vecchio, e ora ce li ritroviamo che giocano con i soldi e chiudono le attività produttive. Manca loro persino la dignità di ridare indietro al Paese, che a loro ha dato tanto, almeno il minimo essenziale: mantenere le attività produttive, e non solo quelle finanziarie, e continuare a dare lavoro a quelle famiglie che da sempre, al contrario di loro stessi (che poche tasse hanno pagato in Italia), hanno regolarmente versato al fisco i soldi attraverso i quali loro hanno avuto quattrini a fondo perduto. Proprio perduto: nel nulla. Ci vuole un bel tasso di sfrontatezza e una lontananza abissale dal sentimento di vergogna per fottersene di chi ti ha dato la possibilità di diventare ricco: lo Stato con i soldi e il Paese con il lavoro e il consumo. L’altra opera di Smith si intitola La teoria dei sentimenti morali nella quale Smith fa caprie che il mercante vero (l’imprenditore) e il mercato funzionano meglio se sottostanno ad essi alcune regole morali di fondo che consentono di avere quella fiducia per affidarsi ai contratti e alle regole del mercato stesso. Non è una questione di moralismo è, più semplicemente, una questione di umanità ma, come scrive giustamente Giordano: «Gli eredi di quel capitalismo familiare che emozionò negli anni Ottanta ora hanno tanti soldi, ma non hanno la struttura morale per gestirli. Non sono mai stati così ricchi e insieme così poveri. Pieni di denari e umanamente miseri».Di Carlo De Benedetti, che ci ha offerto una scena indecente di vita pubblica con i figli accusati di incapacità imprenditoriale, come se lui ne avesse azzeccate molte, a parte giocare con i soldi senza mai occuparsi di produrre alcunché, sapevamo già abbastanza. Degli Agnelli sapevamo che sono sempre stati vicini alla mangiatoia statale, sempre pronti a divorare il fieno che arrivava. Dei Benetton, dopo il ponte Morandi, non abbiamo avuto bisogno di sapere altro. Di Del Vecchio, venuto dal nulla e cresciuto nell’ombra e nel riserbo, ci spiace vedere un epilogo così triste. Ci consola il fatto che in Italia oltre il 95% è fatto da piccole e medie imprese che si spaccano la schiena e che ancora vedono, nella maggioranza, i figli cominciare a spaccarsi la schiena quando quella dei genitori è ormai curva. Bello il libro di Mario Giordano, bravo Mario ad aver tolto un velo di ipocrisia su questi che si ritenevano i padroni del mondo e non sono stati capaci di gestire nemmeno gli affari di casa propria. Leggetelo questo libro, fa bene e fa male: fa bene perché smaschera, fa male perché racconta lo squallore ma, comunque, meglio essere coscienti che credere alle fandonie di quattro cialtroni pieni di soldi.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)