
Il giornalista MIchele Lupi rivela retroscena e segreti delle missioni (quasi) impossibili che lo vedono protagonista per il brand Fay Archive: «Dal Cile al Nepal passando per l’Alaska, cerchiamo volti e storie che siano in grado di esprimere la filosofia di un brand unico».Nel 2020 sono stati la Russia e Gotland (fotografo Davide Monteleone), nel 2021 l’Islanda, nel 2022 il Cile, l’Alaska e il Nepal (fotografo James Mollison). Tutti luoghi d’avventura, impervi, difficili e faticosi da raggiungere. Ma proprio lì stava e starà il bello (perché, di sicuro, il peregrinare non è finito). Un giornalista (Michele Lupi) e un fotografo (a seconda del luogo). Uno prende appunti, l’altro immortala l’attimo: di un volto, di una montagna, di un luogo, di una nube che attraversa il cielo. Voluto da Diego e Andrea Della Valle per Fay Archive, così il brand, come lo definisce Lupi, responsabile progetti speciali e culturali di Tod’s e uno degli ispiratori di Fay Archive, «progetto laterale a Fay», il marchio acquistato dalla famiglia Della Valle nel 1987 in Massachusset e che produceva giacconi per i pompieri, tipico abbigliamento da lavoro, oggi sinonimo di distinzione, di classe, di un capo per gente che piace.Una mostra al Pac di Milano per consacrare tutto. «La parte più importante è quella legata al Nepal e comprende l’Himalaya, siamo saliti anche sulle grandi montagne», racconta Lupi.Una esperienza unica...«Senza dubbio. Questa valle nepalese, che si chiama Langtang Valley, da dove partono molti trekking e pure spedizioni più impegnative che si arrampicano sulle montagne, è una delle valli che era stata purtroppo spazzata via dal grande terremoto del 2015. Presentando il lavoro fatto in Nepal abbiamo deciso per questa mostra dove sono stati esposti anche i lavori delle tappe precedenti».Quella più emozionante? «La parte del leone l’han fatta il Nepal e poi Islanda, Cile e Alaska. Ed è stato un viaggio come sempre avventuroso perché partiamo sempre in tre, ridotti all’osso nell’organizzazione. Abbiamo materiali che poi utilizziamo per la campagna pubblicitaria ma rispetto a quelle classiche spedizioni con organizzazioni molto ampie, è proprio fatta solo in tre: io, il fotografo Mollison, che ha fatto tutte le ultime quattro tappe, mentre le precedenti avevano visto all’opera Davide Monteleone, e il video maker, Alex Healey, che di solito lavora per il Guardian».Pure voi pionieri.«Come da un suggerimento di Diego Della Valle, intraprendiamo viaggi molto spartani e leggeri con un budget pressoché a zero. Tre amici che si incamminano e dove ognuno fa la sua parte. Questo ci permette di andare da un luogo all’altro in maniera molto autentica ricercando quelle persone, immerse nei loro territori e svolgendo i loro mestieri, che possono testare le nostre giacche». Come organizzate questi viaggi? «Prima di tutto scegliamo il luogo dove andare, che deve avere già nel nome un suggerimento di avventura e qualcosa di romantico. Alaska, Himalaya, Nepal già a nominarli suscitano l’idea di rischio ma anche di emozione e di sfida. Poi sul posto cerchiamo qualche amico che vive lì e ci possa aiutare a trovare questi personaggi. A volte li troviamo in piccole produzioni cinematografiche».Qual è il messaggio che volete lanciare? «Stiamo parlando di Fay Archive, progetto che sta accanto a Fay, la casa madre. Quando sono arrivato, all’inizio del 2019, con Diego e Andrea Della Valle abbiamo pensato a sottolineare le origini del marchio con un progetto laterale che potesse evidenziare il dna originale del brand che era quello di abbigliamento da lavoro, quello che gli inglesi chiamano workwear. Da lì, s’è pensato a questi viaggi in giro per il mondo per trovare lavoratori che stanno all’aperto, vivono nella natura, lavori tosti e duri per scelta».Una volta trovato il personaggio giusto, che accade? «A quel punto mandiamo le giacche. A noi il compito di ritrarli nella loro autentica quotidianità. Non c’è nulla di costruito, raccontiamo la loro vita senza parlare delle giacche che si vedono solo nelle foto e nei video. Il tema è narrare la loro storia e riprenderli mentre eseguono i loro lavori come il cercatore d’oro in Alaska o il guidatore di bus in Nepal sulla strada più pericolosa del mondo. L’abbiamo percorso anche noi, quel tragitto, salendo sul bus che viaggia su una strada sterrata piena di buche e sassi, che corre a strapiombo sul canyon più profondo del pianeta. Una strada che va da Beni a Jomsom, cento chilometri che impieghi 12 ore a finire. Vai pianissimo, sei a picco sullo strapiombo da una parte e il rischio è anche quello che cadano massi dalla montagna dall’altro».Tutte avventure un po’ estreme. Una giacca Fay Archive trova spazio nei negozi Fay? «Sì, c’è un corner dedicato in tutti i negozi Fay del mondo. Grazie a questo progetto si è abbassata molto anche l’età dei clienti che entrano nei negozi. Questo tipo di abbigliamento piace molto in questo momento e c’è stato un grande ritorno verso quell’immaginario outdoor, e di avventura soprattutto dopo il Covid che ha risvegliato la voglia di avere a che fare con la natura e con il viaggio».Questa ultima giacca che particolarità ha? «Ce ne sono diverse. Le ultime giacche la Jac-Shirt, giacca camicia piumino a quadri, la classica 4 ganci in stone washed in colori anche accesi, prodotto unisex che affascina anche il lato femminile, una sorta di boy friend Jacket, piace il contrasto, portate un po’ oversize. I pompieri americani per muoversi agilmente han sempre portato le giacche molto ampie. E anche ora sono così».Chi fa parte del progetto Fay Archive? «Alessandro Squarzi, direttore creativo senza essere design, è un collezionista di vintage e quindi Fay Archive nasce prendendo ispirazione sia dagli archivi Fay ma anche facendo molta ricerca con Squarzi che ha a sua volta un archivio personale di oltre 6.000 pezzi e un gusto originale frutto di una profonda conoscenza dell’outdoor americano, di un’attenzione per i dettagli tipica della cultura giapponese e di una sensibilità all’eleganza tutta italiana».
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.
Donald Trump (Ansa)
La Corte Suprema degli Stati Uniti si appresta a pronunciarsi sulla legittimità di una parte dei dazi, che sono stati imposti da Donald Trump: si tratterà di una decisione dalla portata storica.
Al centro del contenzioso sono finite le tariffe che il presidente americano ha comminato ai sensi dell’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa). In tal senso, la questione riguarda i dazi imposti per il traffico di fentanyl e quelli che l’inquilino della Casa Bianca ha battezzato ad aprile come “reciproci”. È infatti contro queste tariffe che hanno fatto ricorso alcune aziende e una dozzina di Stati. E, finora, i tribunali di grado inferiore hanno dato torto alla Casa Bianca. I vari casi sono quindi stati accorpati dalla Corte Suprema che, a settembre, ha deciso di valutarli. E così, mercoledì scorso, i togati hanno ospitato il dibattimento sulla questione tra gli avvocati delle parti. Adesso, si attende la decisione finale, che non è tuttavia chiaro quando sarà emessa: solitamente, la Corte Suprema impiega dai tre ai sei mesi dal dibattimento per pronunciarsi. Non è tuttavia escluso che, vista la delicatezza e l’urgenza del dossier in esame, possa stavolta accelerare i tempi.






