2018-09-04
I nostri giacimenti di petrolio in balia dei miliziani che ci ricattano con i migranti
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La situazione è sempre più tesa in Libia. Tecnici e operatori Oil&Gas iniziano ad abbandonare il Paese. Michele Marsiglia di Federpetroli: «Non possiamo esporre a rischio risorse umane». Alberto Negri: «Le milizie dovevano essere coinvolte negli accordi politici».La Libia e l'Italia, un asse storico che attraversa la storia dei nostri servizi segreti come quella di Eni, il colosso petrolifero presente da anni in Cirenaica. Se nel 1970 il Sid di Vito Miceli sventò un golpe anti Mohammar Gheddafi organizzato dalla Gran Bretagna, è nel 1972 che la nostra intelligence guidata dal generale Roberto Jucci stipulò un accordo che avrebbe assicurato 50milioni di barili di petrolio proprio al cane a sei zampe in cambio di armi americane. Poi nel 1976 la Libia acquisterà il 10% delle azioni Fiat. In sostanza si tratta di un rapporto di lunga data, stretto da interessi economici e militari, spazzato via dall'intervento francese nel 2011 con la capitolazione di Gheddafi. Ora l'instabilità della Libia, unita alla debolezza del nostro alleato Fayez al-Sarraj mettono l'Italia di fronte a un problema mai risolto da almeno sette anni: chi difende i nostri giacimenti petroliferi? E se la Francia di Emmanuel Macron dovesse avanzare destabilizzando l'attuale governo di al-Serraj riconosciuto dal punto di vista internazionale che fine farebbero i nostri interessi economici? Diplomatici e tecnici del settore petrolifero hanno iniziato a lasciare i pozzi. «Sono sempre state le milizie a proteggerci» spiega Alberto Negri, storico inviato di guerra e nel board di Ispi. «Questo è il punto principale della crisi libica, noi abbiamo trattato con persone che non hanno nessun controllo sul territorio. Bisognerebbe ripensare a questi negoziati, per cercare di coinvolgerle e farli passare attori militari e interlocutori politici. Le stesse milizie che controllano i nostri pozzi sono quelle che a ovest di Tripoli gestiscono il traffico degli esseri umani». ». Eni è sempre stato il primo operatore internazionale di idrocarburi con una produzione giornaliera tra liquidi e gassosi (fonte Fact book Eni 2009) di 522.000 barili/olio/equivalenti (Boe). Al netto delle joint venture, come ha riportato la Verità in un articolo del 31 marzo, la quota giornaliera di competenza Eni era vicina ai 320.000 barili, con il controllo di Wafa, Marzuk, El-Feel, Elephant, Mellitah, Abu-Attifel (quasi a regime) per citarne solo alcuni dei più importanti giacimenti e location strategiche di estrazione. Ma ci sono milizie e milizie, quelle in rivolta in queste ore sono quelle che spesso sono state tagliate fuori dai negoziati politici o più probabilmente vicine al generale Khalifa Belqasim Haftar.«Il punto vero è sempre quello» continua Negri «a difendere il giacimento di Mellitah sono sempre state le milizie che sono le stesse che gestiscono il traffico di essere umani. In questi anni non siamo riusciti a coinvolgerle dal punto di vista politico e questo resta un grande punto a nostro sfavore». Il comportamento che abbiamo avuto con i miliziani in questi anni è stato raccontato da diverse inchieste sui quotidiani internazionali. Il nome di uno dei capi tribù più potenti è Ahmed Dabbashi - noto anche come al-Ammu – che ha diretto per anni la sicurezza nel complesso di Mellitah. Nel 2017 si era spinto a chiedere all'intelligence italiana persino un hangar per lui e per i suoi uomini, in cui stabilire il suo quartier generale in cambio di aiuto per impedire ai migranti di lasciare il paese. Lo riportò in un lungo articolo l'agenzia Middle East Eye. Come ricorda proprio Ispi, in un articolo di Arturo Varvelli e Matteo Villa: «Un tentativo di coinvolgere le milizie nella ricostruzione dello stato libico c'è stato, in particolare durante il periodo di Ali Zeidan, ma ha avuto scarso successo. Ciò è stato dovuto in particolare al fatto che il tentativo di integrazione delle milizie nella polizia o nelle forze armate sia rimasto solamente un tentativo "tecnico" e non realmente politico». E poi aggiungono: È normale che parte del gioco che coinvolge attori interni ed esterni giri attorno al controllo degli idrocarburi. A questa evidenza però non è corrisposta una sufficiente discussione del problema nel corso dei negoziati. Il tema di come l'industria petrolifera debba essere gestita e di come la rendita debba essere redistribuita all'interno della molteplicità degli attori libici (municipalità, regioni, minoranze, …) non è stato sufficientemente discusso, e ciò rappresenta quindi un forte limite a qualsiasi attività negoziale, come riconosciuto recentemente anche da Mustafa Sanalla, presidente della compagnia petrolifera nazionale».Esserci affidati alle milizie si è dimostrato più che controproducente, tanto che il presidente di Federpetroli Michele Marsiglia ha lanciato l'allarme proprio questi giorni in cui Tripoli e sotto assedio, mentre il ministro dell'Interno Matteo Salvini accusa la Francia di Emmanuel Macron di voler destabilizzare il governo di al-Sarraj. «Da circa un anno» aggiunge Marsiglia «abbiamo iniziato una fase di recupero economico per le aziende che sono rimaste danneggiate dal mancato incasso delle attività svolte su alcuni giacimenti. Dal 2011 l'effetto domino ha creato una fase di criticità alle aziende che hanno contribuito alla realizzazione di infrastrutture per l'estrazione di olio e gas. Definiamo la nostra operatività di massima allerta e non possiamo esporre a rischio risorse umane, attività e le stesse aziende di settore» L'impatto per l'indotto internazionale dell'Oil & Gas non è da poco, visto che sono già in ritardo diversi progetti e lontani i livelli produttivi di anni fa. «Anzi» spiega Marsiglia «al momento, abbiamo riscontro che alcune strutture petrolifere hanno richiamato il personale su alcuni siti di elevato rischio, attendiamo nelle prossime ore di conoscere l'evolversi della situazione per avere informazioni più chiare e delineate ed organizzarsi sui piani di azione da seguire». Conclude Negri: «Dopo sette anni l'Italia non ha ancora capito di aver subito una sconfitta pari solo a quella della seconda guerra mondiale. Abbiamo abbandonato il nostro alleato nel Mediterraneo, è stato un segno di profonda debolezza. Il premier Giuseppe Conte aveva ricevuto rassicurazioni dal presidente degli Stati Uniti, ma non ha fatto nulla. In Salvini e il ministro degli Esteri Moavero Milanesi sono andati in Libia ma non mi pare abbiano ben capito cosa stia succedendo. Non si spiegherebbe sennò perché abbia donato 12 motovedette alla Guardia costiera libica, una decisione presa dall'ex governo Gentiloni e confermata da questo: non sappiamo nemmeno chi controlla la Guardia costiera libica. Possiamo accusa la Francia, possiamo attaccare Haftar ma quello che dobbiamo trovare è una vera realpolitik in Libia sennò per noi sarà la fine».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)