2020-11-15
I miliardi dell’Europa non si vedono. Il Mef deve lasciare le cifre in bianco
Nella bozza della legge di bilancio, al posto degli stanziamenti del Recovery fund si legge solo «XXX». I lavori sono in ritardo: dovremo aspettare Capodanno. Intanto spunta una selva di regole burocratiche.«All'apparir del vero tu, misera, cadesti». Dobbiamo ricorrere alle parole di Giacomo Leopardi per cercare di rappresentarvi lo stato, a oggi 15 novembre, della «pioggia di miliardi» che pareva stesse per inondare l'Italia all'indomani del Consiglio europeo del 21 luglio scorso. La pioggia si è tradotta in tre interlocutorie «X» poste in fila nell'articolo 169 della bozza della legge di bilancio in arrivo alla Camera. Al primo comma leggiamo che «per l'attuazione del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr) è istituito quale anticipazione rispetto ai contributi provenienti dall'Unione europea, il “Fondo di rotazione per l'attuazione del Pnrr Italia" con una dotazione di XXX milioni di euro per l'anno 2021…».Quelle «X» sono l'unica risposta oggi possibile. Infatti, dopo mesi in cui ci hanno raccontato di febbrili riunioni ferragostane, tutte finalizzate a definire i progetti per trasformare l'Italia nei prossimi 20 anni - all'insegna del «fate presto» e dell'occasione storica che passa una sola volta nella vita - la mesta conclusione da trarre, in stile leopardiano, è che non si conosce nemmeno l'importo dell'anticipo che la Commissione dovrebbe erogarci. Forse sarà il 10% dei sussidi, cioè 6,5 miliardi, o anche dei prestiti, altri 12 miliardi. O sarà una percentuale più alta? Tutto è impantanato nelle nebbie di Bruxelles, dove solo settimana scorsa si è raggiunto un accordo sul bilancio pluriennale 2021-2027, che è la base del Next generation Eu. Ora dovrà passare all'adozione definitiva da parte del Consiglio. Il regolamento sul dispositivo per la ripresa e la resilienza (Rrf, il cuore del NgEu) è invece ancora fermo ai blocchi di partenza, poiché solo venerdì c'è stato il primo «trilogo» tra Commissione, Europarlamento e Consiglio. Quel regolamento, accanto a quello relativo alle risorse proprie (cioè maggiori tasse per consentire alla Ue di rimborsare le obbligazioni) è decisivo, e senza la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale i soldi dell'Ue non esistono. È pur vero che il governo è stato costretto a questa fuga in avanti da una lettera ricevuta il 22 settembre dai commissari Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis, in cui si invitava a «tenere conto nella misura più ampia possibile dell'attuazione delle riforme e degli investimenti previsti nel quadro della “facility" per la ripresa e la resilienza: vi invitiamo a fornire informazioni sulle entrate e sulle spese relative incluse nei piani di bilancio». Fino a quando si è trattato di delineare gli scenari della Nadef o il quadro del Documento programmatico (Dpb), il giochino ha tenuto. Ma il velo è calato quando dai progetti si è passato all'articolato di legge: oggi si possono mettere solo delle «X» nella speranza che fino all'approvazione, tra Natale e Capodanno, arrivino buone notizie e si possa riempire la casella.Allora la legge di bilancio 2021, non potendo contenere coperture inesistenti, si riduce al momento a provvedimenti di spesa ed entrate tutti coperti con risorse nazionali. Già nel Dpb gli investimenti e le coperture legati ai sussidi del NgEu erano «sotto la linea», cioè esclusi per definizione dal deficit, mentre i prestiti erano per gran parte considerati a copertura di spese comunque programmate e quindi si trattava soltanto di uno strumento di finanziamento sostitutivo rispetto all'emissione di titoli di Stato.Tuttavia, tranne l'incertezza iniziale, è già disegnato per filo e per segno come saranno gestite le spese legate al NgEu. Un reticolo di regole e strutture organizzative che conferma i peggiori sospetti, avanzati già da tempo su queste colonne, sul carico di condizioni e burocrazia che domineranno la scena.Sarà istituito un apposito sistema informatico per tutte le attività di rendicontazione. Le amministrazioni titolari dei progetti avranno la responsabilità di prevenire frodi, corruzione e conflitti di interesse. Le somme che arriveranno dalla Ue, come noto, avranno uno specifico vincolo di destinazione, e i progetti devono essere predisposti «secondo quanto stabilito dalla normativa comunitaria… corredati da indicazioni puntuali sugli obiettivi intermedi e finali da raggiungere, verificabili tramite appositi indicatori quantitativi». Dopo l'anticipo, «le residue somme saranno trasferite in base a rendicontazioni bimestrali, in base al conseguimento dei target intermedi». Una boscaglia burocratica, in cui pure Rambo avrebbe difficoltà e la cui gestione richiederà una unità di missione con a capo un dirigente; sarà bandito un concorso per assumere 20 unità per un costo annuo a regime di circa 900.000 euro.Per attendere il Consiglio Ue, la legge di bilancio sarà «sub judice» fino alla vigilia di Capodanno. Così è ridotta la seconda potenza manifatturiera d'Europa.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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