2019-12-08
«I miei brindisi agli incontri impossibili»
Giancarlo Aneri ha messo a tavola Mario Draghi con Antonio Ricci, si è fatto apprezzare da Barack Obama e da Xi Jinping, ha riunito Enzo Biagi, Giorgio Bocca e Indro Montanelli. Giornalista mancato e viticoltore, ricorda con affetto speciale Ayrton Senna e 5.000 bottiglie d'acqua.«Sono un giornalista mancato perché ho voluto diventare ricco». La mazzata arriva al primo minuto, in un ristorante top davanti a un'immensa vetrata dove Milano sembra una foresta, ed è accompagnata da un sorriso con le bollicine. Non potrebbe essere diversamente perché a parlare è Giancarlo Aneri, principe del vino italiano, 71 anni in fresco di lana, un signore che in estrema sintesi ha raggiunto due obiettivi. Ha trasformato il suo Amarone in nettare dei potenti (Donald Trump, Barack Obama, Xi Jinping, Vladimir Putin, Ronald Reagan, George W. Bush l'hanno delibato) e 24 anni fa ha creato il Pulitzer italiano con una «reunion» impossibile: Indro Montanelli, Giorgio Bocca ed Enzo Biagi allo stesso desco.Straordinario maestro di qualità enologica e di marketing, oggi Aneri sarebbe definito un facilitatore, un uomo dalle relazioni impensabili frullato dal jet lag. Per frequentare frequenta e per viaggiare viaggia. Ma con un dolce obiettivo da nonno: tornare a Legnago dove lo aspettano i quattro nipotini Lucrezia, Giorgia, Ludovica e Leone. Vale a dire il futuro, il motivo per il quale continuare a guardare le uve in controluce alla ricerca del senso di tutto. Ciascuno di loro ha un'etichetta di prosecco dedicata, la stessa che compare - neanche a dirlo e senza neppure richiederla - al centro della tavola. Giancarlo Aneri, come comincia la sua avventura nel mondo del vino?«Per la verità comincia prima quella nel mondo del commercio. Praticamente a otto anni, alle elementari. Invece di giocare ai cowboy giocavo a vendere cioccolatini».Quando scatta la scintilla?«Quando vedo che i compagni vogliono giocare e che io ci guadagno. Andavo a comprare dal droghiere i cioccolatini Ferrero con le figurine: costo 15 lire. Poi a scuola li dividevo in quattro parti e ne vendevo ciascuna a 10 lire più la figurina per altre 10. Lì ho capito che se hai un'idea ti procuri anche un vantaggio competitivo. Avevo già una redditività percentuale simile a quella dei big della moda negli anni Ottanta».E chi voleva giocare ma non aveva i soldi?«La regola era pagare subito, niente credito. È il problema di oggi, nei rapporti commerciali c'è un'insolvenza altissima, e questo non è giusto per chi è bravo. Troppi rischi, il mio consiglio è: vendi a chi ti paga».Torniamo alla scuola.«Mai avuto feeling, mai considerata un punto di riferimento. Mi annoiavo. A 18 anni ho capito che avevo il mondo a disposizione e che avrei dovuto cominciare a frequentarlo. D'estate preferivo stare un mese a Parigi per comprendere la Francia che passare un mese al mare con i miei genitori o i miei amici. In questi viaggi ho messo a frutto la passione per i giornali».In che senso?«Leggevo molto e mi soffermavo sulle firme. Così, una volta arrivato nelle città straniere, andavo a trovare i corrispondenti dei quotidiani italiani. Mi confrontavo con quello che avevano scritto e parlando con loro conoscevo più aspetti e retroscena di quei Paesi che leggendo dieci libri. Tutto questo mi sarebbe servito anche per le relazioni in loco».Da manager dell'azienda vinicola della famiglia Lunelli riuscì a far brindare con Ferrari i piloti della Ferrari. «Fu un buon colpo, sorpassammo lo champagne. Enzo Ferrari mi fece fare anticamera per una giornata intera, ma alla fine lo convinsi e diventammo amici. Però il capolavoro fu un altro».Ce lo racconti.«Nel 1982 la Pallacanestro Cantù va in finale di Eurolega con il Maccabi Tel Aviv. Contatto Pierluigi Marzorati e gli spiego che se vincono devono brindare con spumante italiano. Mi presento a Colonia con una magnum con doppia etichetta per essere sicuro che si possa vedere in Eurovisione, ripresa da ogni parte del campo. Sulla sirena gliela passo e quando il Pierlo la stappa faccio bingo».Nel mondo del vino è più importante la qualità o il marketing?«Devono andare di pari passo. La qualità deve essere un valore assoluto, ma se non sai presentarla hai perso un'occasione. Per questo il marketing è un complemento decisivo. L'azienda di famiglia, che porto avanti con mia moglie Valeria e i figli Alessandro e Stella, è di nicchia perché vogliamo mantenere alta la qualità. Non potrei mai fare un vino che non piace a me. Assodato questo, conta anche il posizionamento. Devi essere nei posti giusti, nei ristoranti giusti, nei migliori alberghi del mondo».Com'è arrivato sulla tavola di Obama al ristorante Spiaggia di Chicago il giorno dell'elezione a presidente degli Stati Uniti?«Grazie al pallino per il giornalismo. Avevo letto sul New York Times che quello era il suo ristorante preferito, allora ho contattato lo chef italoamericano Tony Mantuano e gli ho mandato il mio prosecco con un biglietto per il presidente: «Dall'altra parte del mondo c'è un italiano che brinda con te». Il giorno dopo la festa mi è arrivata una mail dal ristorante: missione compiuta».Una collezione di grandi, le mancava Xi Jinping.«Quando è venuto in Italia gli ho fatto trovare una magnum di Amarone con l'etichetta in cinese e la dedica. Non si finisce mai di seminare».Qual è lo sportivo che ricorda con maggiore affetto?«Sono juventino, chi indossa quella maglia è il prediletto. Ma mi impressionò molto Ayrton Senna; l'ho incontrato solo una volta e ho colto il suo spessore umano. In un Gp d'Italia avevamo messo in palio 5000 bottiglie di acqua minerale per chi avesse ottenuto la pole position. La fece lui e volle che le bottiglie venissero recapitate a una casa di riposo nelle Marche. Mi disse: «Le chiedo un favore, non faccia parola con i giornali, non dia pubblicità». Un gigante».Per la sua famiglia vede un lungo orizzonte di vigneti?«Direi di sì, sono tutti coinvolti. Una volta al ritorno da un viaggio la piccola Lucrezia mi venne incontro e mi disse con orgoglio: nonno, è arrivato un ordine bellissimo da Parigi. Allora le chiesi: quanto? Tre bottiglie». È vero che ai suoi figli ha detto: fate ciò che volete delle aziende, ma il premio «È giornalismo» deve restare?«Sì, per testimoniare una mia passione e portare avanti un'iniziativa della quale sono orgoglioso».Come ha messo insieme i tre tenori della penna?«Biagi accettò di creare il premio in cinque minuti. Montanelli legò il suo sì a un'unica condizione: «Promettimi che non sia una cosa mondana». Restava Giorgio Bocca, temevo il rifiuto e invece disse: “Grazie, che bella cosa". Poi mi confidò che si sentiva gratificato dalla presenza degli altri due».Come si comportavano al momento delle designazioni?«Montanelli era un principe, osservava dall'alto. I nomi li facevano gli altri. Ettore Mo fu proposto da Bocca e vinse in cinque minuti, Gian Antonio Stella da Biagi ed ebbe subito l'unanimità. Montanelli avrebbe voluto premiare Francesco Merlo ma non ce l'ha mai fatta. Le decisioni venivano prese a tavola. Anch'io ho sempre fatto i migliori affari a tavola, il posto dove ti senti più libero».Perché non è mai stato premiato un giornalista di destra?«È un limite, lo ammetto. Una volta per rimediare proposi Vittorio Feltri. Teorizzai: ci criticano di essere di sinistra, freghiamoli tutti. Biagi e Montanelli accettarono ma Bocca mi gridò contro: “Fascista!". Non se ne fece niente».Cosa pensa del giornalismo digitale?«È una fastidiosa necessità. Apprezzo poco il giornalismo online e mi spiace che i giovani si informino sulla rete. È tutto così superficiale. Come se a un appassionato di cotoletta milanese ci si limitasse a mostrare la foto. Lui vuole mangiarla».Un giorno a una premiazione mise allo stesso tavolo Antonio Ricci e Mario Draghi. Perfidia?«No, sono entrambi brillanti e scherzosi. Draghi si sedette e disse a Ricci: complimenti, tutte le sere quando sono a casa guardo Striscia. Uno scoop». Bottiglia finita, piatti vuoti, caffè. Aneri cosa pensa degli chef stellati?«Ne frequento volentieri i ristoranti anche perché sono miei clienti. Ma se devo andare a pranzo con i nipotini, allora vado in trattoria. Quella con la nonna che lascia le ricette ai nipoti. La semplicità e la genuinità della vita le trovo lì».
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)