
L'Ordine invia una lettera ai 35.000 iscritti chiedendo di esprimersi sul suicidio assistito. Ma le regole sono cambiate: perché vinca il No serve il 60 per cento dei voti. Mai raggiunto nei precedenti referendum.I medici della Gran Bretagna aprono le porte all'eutanasia. L'Ordine dei medici (Rcp) ha infatti deciso di chiedere ai propri 35.000 iscritti se siano o meno favorevoli al suicidio assistito e quindi a un eventuale cambio nella legge che regolamenta il fine vita. Una domanda che è già stata rivolta altre due volte negli ultimi 15 anni ai seguaci di Ippocrate britannici. Eppure dal 5 febbraio sono state inviate lettere a tutti i dottori, chiedendo di nuovo un parere in proposito entro il primo marzo.In cinque anni molte cose possono essere cambiate e di sicuro sembra mutata la prospettiva dell'Ordine, che per questa consultazione ha deciso di modificare anche le regole. Anziché attenersi alla tradizione che la maggioranza vince, indipendentemente dal valore assoluto che raggiunga, l'Ordine dei medici ha deciso che stavolta si dovrà arrivare a un 60 per cento di favorevoli o di contrari per prendere una posizione netta. Se non si raggiungerà questo tetto, davvero complicato da ottenere, prevarrà la linea della neutralità. Che mai come in questo caso assomiglia a un atteggiamento pilatesco. Anzi, forse persino peggio, perché in democrazia la maggioranza basta a definire una scelta e non serve che sia così elevata.Anche perché basta guardare i dati del passato per rendersi conto che racimolare un 60 per cento su un tema così delicato non è davvero semplice. I numeri non mentono. Nel 2006 e nel 2014 la maggioranza si era dichiarata contraria con un 57,5 per cento al cambiamento della legge, che ora non permette l'eutanasia. Alla richiesta se, nel caso di una nuova normativa, sarebbero stati pronti a eseguire questa procedura, il 58,4 per cento degli iscritti ha confermato che non avrebbe voluto partecipare. Una linea netta contro il suicidio assistito, che era culminata nella dichiarazione, da parte del 44,4 per cento degli interpellati, che l'Ordine doveva prendere posizione contro il cambio della legge, con solo un 31 per cento pronto a dichiararsi neutrale e un 24,6 per cento in favore dello spegnimento delle macchine. Quindi un 45 per cento scarso, un 58 accennato. I responsabili dell'Ordine, che hanno definito le nuove regole, conoscono di certo i risultati e se hanno definito il tetto del 60 per cento le ragioni possono essere due: la certezza che l'etica degli iscritti sia talmente forte da riuscire a raccogliere ancora più consensi intorno al fronte del no o la consapevolezza che non prendere posizione e restare neutrali sia più semplice per tutti e la scelta di fare in modo che accada. Il governo agisca come crede, insomma, e lo stesso facciano i camici bianchi. Solo che la Gran Bretagna negli ultimi anni non ha certo brillato per la sua tendenza a difendere la vita a tutti i costi. A dimostrarlo sono i casi di Charlie Gard e Alfie Evans, due bambini in lotta contro malattie rare e terribili, che chiedevano solo di restare attaccati a delle macchine per poter provare a guarire e invece hanno visto il Servizio sanitario nazionale adire alle vie legali per spegnere tutto. Le loro storie, che hanno avuto risonanza internazionale e richiamato l'attenzione di papa Francesco e del presidente americano Donald Trump, sembrano la dimostrazione pratica del fatto che negli ospedali inglesi l'assistenza a oltranza non è ben vista. Costa molto, si sa, e se i pazienti sono anziani e in cattive condizioni la spesa appare ancor meno giustificata a chi fa i conti dell'assistenza con gli stessi criteri usati per una drogheria. Quando poi sono gli ammalati stessi a chiedere di sospendere il trattamento, come nel caso del suicidio assistito, la probabilità che il servizio sanitario si opponga appare davvero minima.Fino a oggi a fare da argine poteva essere la coscienza dei medici, che per via del giuramento di Ippocrate sarebbero tenuti a fare di tutto per preservare la vita umana. Ma se il loro Ordine li lascia liberi di essere neutrali e l'ospedale da cui dipendono preme per ridurre i costi, chi sarà così forte da opporsi? Per i dottori britannici la lettera in arrivo dall'Ordine non è certo piacevole come un biglietto di Natale. Dovranno interrogare la loro coscienza, rispondere e poi magari sperare che al governo non venga in mente di modificare la legge. L'aspetto più sconcertante di questa nuova consultazione, però, rimangono le nuove regole definite dall'Ordine. Nel suo comunicato ufficiale il presidente Andrew Goddard ha dichiarato che in questa nuova consultazione, a meno di una maggioranza schiacciante del 60 per cento in un senso o nell'altro, l'Ordine adotterà una posizione neutrale, il che significa che non si opporrà ne supporterà il cambio della legge, in modo da riflettere i diversi punti di vista dei suoi membri».La scelta del 60 per cento come l'unica accettabile, però, continua a suonare strana. Soprattutto a un mese dal divorzio dell'Inghilterra dall'Unione europea. Perché - vale la pena ricordarlo - nel referendum sulla Brexit del 23 giugno 2016 i sostenitori del Leave l'hanno spuntata con il 51,9 dei voti. A dar retta ai medici inglesi, allora, anche in quel caso si sarebbe dovuti rimanere «neutrali». Risparmiando al Paese e ai suoi abitanti mesi di svalutazione, ansia e preoccupazione.
Keir Starmer ed Emmanuel Macron (Getty Images)
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Formitalia, azienda toscana di Quarrata, ha firmato l’allestimento del Conference Center di Sharm el-Sheikh dove è stato siglato l’accordo di pace per Gaza. Un esempio di eccellenza italiana che porta il design nazionale al centro della diplomazia mondiale. «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico», dice Lorenzo David Overi, ceo del gruppo.
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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