
Nuovo studio dell’Asst Ovest Milanese: chi ha sconfitto il virus è schermato grazie ai linfociti T della memoria. L’autore, Antonino Mazzone, critica la campagna di inoculazioni: «La politica ha agito contro la scienza».«I risultati confermano ciò che abbiamo sostenuto più volte: bisognava aspettare a vaccinare chi aveva già avuto l’infezione». Non usa perifrasi Antonino Mazzone, direttore del Dipartimento Area medica dell’Asst Ovest Milanese, che invita a «riflettere sugli errori fatti» nella gestione della campagna anti Covid «per migliorare la scienza e mirare meglio le vaccinazioni». L’affermazione dello specialista, che nel novembre 2020 era tra i ricoverati per Covid-19 nel reparto che dirige all’ospedale di Legnano, ha le solide basi di uno studio che, con il suo gruppo di ricerca, ha appena pubblicato su Plos One sull’efficacia dell’immunità naturale, rispetto a quella ottenuta con il prodotto a mRna. Le conclusioni confermano quanto già rilevato dal 2021, le difese naturali dei guariti da Covid restano efficaci, ma ne estendendone la durata, «fino a due anni dopo l’infezione precedente», «senza differenze significative» rispetto ai vaccinati. Il gruppo di Mazzone ha misurato - con tecniche note come Qfn e Aim - la reattività dei «linfociti T della memoria» in persone non vaccinate guarite da un’infezione documentata fino a due anni prima (convalescenti tardivi) e in asintomatici completamente vaccinati. I linfociti T sono delle cellule della complessa macchina del sistema immunitario che mantengono la memoria delle componenti del virus, per riattivare le difese appena si ripresenta, a distanza di tempo (immunità cellulare). Gli anticorpi, protagonisti della fase acuta dell’infezione, costituiscono l’immunità umorale. La ricerca ha coinvolto 22 convalescenti tardivi e 13 vaccinati da almeno da quattro mesi, «tempo ritenuto adatto a valutare le risposte antivirali mediate dalle cellule T della memoria», spiega Mazzone. Nelle conclusioni si legge che «sebbene su una dimensione di campione limitata, le risposte coordinate, cellulari e umorali sono rilevabili nei convalescenti fino a due anni dopo l’infezione», in altre parole, «i non vaccinati e i vaccinati hanno la stessa risposta immunitaria». Nello specifico, «i tassi di reattività delle cellule T e di positività anticorpale non differiscono significativamente da quelli osservati nei vaccinati, confermando e ampliando evidenze recenti»: le risposte delle cellule T sono «altrettanto elevate a seguito di infezione o vaccinazione». Il gruppo di Mazzone risponde anche agli zelanti del vaccino e, con vero spirito scientifico, trattando il prodotto a mRna per quello che è, uno strumento di salute e non una fede, suggerisce anche un metodo per valutare quando e se il vaccino potrebbe essere utile in un guarito. «La combinazione dei test Qfn e Aim», è scritto nello studio, «può migliorare la valutazione della memoria immunitaria acquisita naturalmente» per effetto della sola infezione «e permettere la stratificazione» dei guariti «in base a diversi gradi di protezione contro la reinfezione o la ricaduta, che possono richiedere differenti strategie di monitoraggio e vaccinazione». Insomma: prima di vaccinare chi si è infettato, fare una valutazione, come da metodo scientifico. Già due anni fa, nel maggio 2021, sempre insieme al suo team, Mazzone aveva firmato una research letter su Jama internal medicine, osservando che, a distanza di un anno, i tassi di reinfezione nei guariti da Covid erano inferiori all’1%. I dati sono stati confermati da una schiera di altri ricercatori anche su The Lancet, come ricorda lo specialista, e convalidati, adesso, dall’ultimo studio che, appunto, estende «fino a due anni, l’evidenza da noi prodotta in precedenza sulla protezione offerta dall’immunità acquisita naturalmente». Gli esperti, i tecnici autorevoli dell’ex ministro Roberto Speranza, pronti a bollare come no vax, chiunque si permettesse di porre una domanda, chiedesse ragione sulla scelta, hanno bellamente ignorato questi studi. Del resto, quelli suoi vaccini non sono stati gli unici dati scientifici non considerati. Chiunque, nei passati due anni, avesse anche solo proposto una terapia antinfiammatoria ai primi sintomi di Covid, contravvenendo alla certamente infondata pratica di Tachipirina e vigile attesa, finiva nel calderone dei reietti novvax. Lo stesso Mazzone, specializzato in immunologia, come tutti gli operatori sanitari, anche se infettato, è stato obbligato a vaccinarsi, a sei mesi dalla guarigione, per rinnovare il green pass, sulla base di nessun criterio scientifico, ma giustificato come tale, dal governo Draghi. Un destino simile è stato condiviso da milioni di italiani che, pur essendosi ammalati, magari dopo una vaccinazione, visto il tasso di reinfezione, ma anche in presenza di risposte anomale al vaccino, per poter avere il green pass, indispensabile per lavorare, sono stati costretti alla vaccinazione. «Abbiamo sempre sostenuto che i pazienti guariti sviluppano un’immunità solida e che non andavano vaccinati all’inizio della campagna vaccinale. Bisognava aspettare». Soprattutto considerando che, incalza Mazzone, «non c’era nessun lavoro di medicina basata sull’evidenza a dimostrare che vaccinare i guariti dall’infezione avrebbe prodotto loro dei benefici. Nonostante questo, andando persino contro i principi di Galileo, la politica adottò contro la scienza la vaccinazione di tutti». Ora, «a distanza ormai di tre anni, è arrivato il momento di chiarire alcuni aspetti dell’immunità indotta dal vaccino e dall’infezione. Il nostro studio vuole contribuire a questo. La lezione per il futuro», conclude Mazzone, «è che la vaccinazione va mirata. Primum non nocere». È il fondamento del giuramento di Ippocrate, quello che ogni medico fa, ma non il politico.
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