2018-04-26
I guai con la legge di «Attila» Bolloré riavvicinano il Cav al governissimo
La vicenda giudiziaria del finanziere bretone, accusato di aver pagato tangenti per dei porti in Africa, frena le sue mire su Mediaset. Ciò tranquillizza Silvio Berlusconi e gli fa pensare che lo status quo non sia così male.Che rapporto c'è fra una citycar a noleggio a Parigi, il meteo di Canal Plus, la cantante Rihanna, il porto di Abidjan e la pellicola che serve per incartare un pollo arrosto alla rosticceria all'angolo? Un nome e un cognome, Vincent Bolloré, l'uomo a cui Marina Berlusconi ha attribuito «la delicatezza di Attila», il raider globale più spericolato d'Europa (con un patrimonio personale di 5 miliardi di euro) che tre anni fa decise di mettersi in testa la feluca di Napoleone Bonaparte e di partire alla conquista dell'Italia. Amico personale di Nicholas Sarkozy, al quale prestava volentieri lo yacht Paloma e gli aerei privati, l'imprenditore bretone - da ieri sera formalmente sotto accusa per corruzione - aveva messo da tempo non solo un piede ma tutti e due, e pure le mani, dentro alcune delle più strategiche imprese italiane. Nel board di Assicurazioni Generali, azionista di Mediobanca, si è distinto soprattutto per due campagne, quella di Mediaset e quella di Tim, riconducibili per nome, storia o semplicemente sfera d'interesse al business di Silvio Berlusconi, che dal 1994 è anche il punto di riferimento del centrodestra italiano. Quindi ecco che il fermo di polizia per sospetti maneggi nei porti africani di proprietà di Bolloré (in Togo e Costa d'Avorio), evidentemente previsto da chi solo una settimana fa aveva passato al figlio Yannick la presidenza della cassaforte Vivendi, viene a incrociare, forse a interferire con la formazione del governo italiano. E comunque a spiegarci perché il Cavaliere non ha alcuna intenzione di farsi prender ostaggio da Matteo Salvini e da Luigi Di Maio.Politica ed economia in un Paese industrializzato sono due facce della stessa medaglia; dentro i palazzi romani non si è mai spenta l'eco di una delle frasi più lapidarie e soavemente feroci di Gianni Agnelli: «Ciò che è bene per la Fiat, è bene per l'Italia». Quando Bolloré ha varcato le Alpi per lanciarsi alla conquista di Mediaset fingendo di togliere la famiglia Berlusconi dall'imbarazzo dei debiti del digitale Premium, qualcuno lo ha rallentato e alla fine imbrigliato. Quel qualcuno è stato il governo di Matteo Renzi, che dapprima non ha capito la portata dell'attacco, ma poi ha schierato la sua potenza di fuoco per arginare lo strapotere del raider bretone. Bollorè arrivò a controllare il 30% di un gioiello multimediale con 20.000 dipendenti, ma non andò oltre, fermato dai ricorsi, dal Tar, dai contenziosi legali. E soprattutto dai vade retro del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, che senza mezzi termini prima diede l'allarme: «Bolloré rischia di paralizzare Mediaset», poi definì la scalata «un'operazione opaca» demolendone il significato economico. Infine mise le basi per la realizzazione di una «norma anti scorrerie» che aprisse un ombrello protettivo oltre i dettati dei trattati europei di libera concorrenza.Quando Vivendi si ripresentò con tutta la sua muscolarità (di solito Attila non chiedeva permesso) per conquistare Tim, di nuovo allungò la sua ombra su Mediaset e sui suoi contenuti. Come ha acutamente scritto Oscar Giannino sul Mattino di Napoli: «Era evidente il tentativo di obbligare comunque Mediaset a un grande accordo di fornitura di contenuti da far girare sulla rete fissa e mobile dell'ex monopolista italiano delle telecomunicazioni». Una strategia osteggiata dal governo guidato da Paolo Gentiloni e da Carlo Calenda a tal punto da schierare la cavalleria corazzata della Cassa depositi e prestiti accanto al fondo Elliott (guardacaso lo stesso che ha prestato 300 milioni agli sconosciuti cinesi proprietari del Milan) per contrastare con maggior forza l'aggressività di Vivendi. E l'assemblea del 4 maggio sarà decisiva.Messo sotto scacco dai giudici francesi qualche settimana dopo il suo amico Sarkozy, Bolloré è costretto a frenare il suo impeto. La campagna d'Italia segna il passo. E durante le battaglie, dalla terrazza di Arcore, Berlusconi ha potuto toccare con mano l'affidabilità degli amici al governo. Saggiarne la sintonia, verificarne la reattività. Dopo le elezioni del 4 marzo, più volte ci siamo chiesti la motivazione recondita di un atteggiamento di Berlusconi strategicamente non allineato con quello della Lega, idealmente lontanissimo da un possibile accordo con il Movimento 5 stelle, anche teatralmente indirizzato a far saltare i ponti costruiti da Salvini. E sempre favorevole a un governissimo del presidente nel quale anche il Pd («anniluce avanti ai grillini quanto a esperienza e a valori democratici», parole di Berlusconi stesso) possa avere un ruolo di primo piano. Calenda premier lo voterebbe domani mattina. Gentiloni premier dopo due giorni di training autogeno ma senza turarsi il naso. Salvini premier con i grillini attorno, mai.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Carlo Cambi
iStock
Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
Continua a leggereRiduci