2022-03-24
I giudici siciliani vanno alla Consulta e fanno a pezzi l’obbligo di vaccino
Sollevata la questione di legittimità sull’iniezione coatta per i sanitari. Per le toghe, il consenso informato è inconciliabile con l’imposizione. Rilevate criticità pure su farmacovigilanza, rischi di effetti avversi e triage.Lo studio della Johns Hopkins: anticorpi naturali 13 volte maggiori nei più piccoli Ma Moderna preme per inoculare gli under 6. Oggi incontro Cts e Aifa su quarta dose.Lo speciale contiene due articoliIl numero eccessivo di eventi avversi, anche gravi, segnalati dopo le vaccinazioni anti Covid, rende «rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale» dell’obbligo imposto ai sanitari. A queste, e ad altre importantissime conclusioni, è arrivato il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia (Cgars), con giudici che per la prima volta riconoscono criticità della campagna vaccinale, carenze della farmacovigilanza, incongruenza tra obbligo e sottoscrizione del consenso informato, il non adeguato bilanciamento tra tutela della salute da una parte e tutela dello studio e del lavoro dall’altra. Pur confermando l’efficacia del vaccino nel ridurre la percentuale del rischio, quanto meno ai fini della prevenzione dei casi di malattia severa e del decorso fatale, l’ordinanza collegiale pubblicata il 22 marzo smonta pezzo per pezzo la legge del 28 maggio scorso, sull’obbligo vaccinale per gli operatori di interesse sanitario e la sospensione dall’esercizio se non lo osservano, alla luce di quanto è emerso in più di un anno di somministrazioni anti Covid. Innanzitutto, viene sottolineato che i vaccini «hanno ottenuto un’autorizzazione provvisoria proprio in relazione alla inevitabile assenza di dati sugli effetti a medio e lungo termine» e che, pur ammettendo che «i vaccini proteggono il soggetto immunizzato dalle conseguenze più gravi dell’infezione», la problematica degli eventi avversi è stata scartata dagli «orientamenti giurisprudenziali fin qui espressi sulla base di dati ormai superati». Invece vanno rivista, e aggiornati. A che cosa si riferisce il Consiglio? Lo spiega in modo articolato, confrontando i dati che emergono dal rapporto annuale sulla sicurezza dei vaccini anti Covid-19, presentato a febbraio dall’Aifa, con quelli del rapporto vaccini obbligatori 2020. In quell’anno, per le somministrazioni di esavalenti, tetravalente, antipneumococcici, antirotavirus, antimeningococco e altri, nella Rete nazionale di farmacovigilanza furono inserite complessivamente 5.396 segnalazioni di sospetti eventi avversi a vaccini, pari a 17,9 segnalazioni ogni 100.000 dosi somministrate, delle quali solo 1,9 costituiscono segnalazioni gravi. Durante il primo anno dell’attuale campagna vaccinale anti Covid, le segnalazioni sono state 117.920 su un totale di 108.530.987 dosi di vaccino, con un tasso di 109 ogni 100.000 e di 17,6 eventi gravi ogni 100.000 dosi. Un numero di eventi avversi superiore alla media e non di poco, riflettono i magistrati, che ricordano come un trattamento sanitario possa essere imposto senza violare la Costituzione a condizione «che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze “che appaiano normali e, pertanto, tollerabili”». Fosse anche vero che le reazioni gravi costituiscono una minima parte degli eventi avversi complessivamente segnalati, la Corte costituzionale «in tema di trattamento sanitario obbligatorio» non fa «una valutazione di tipo quantitativo», ed esclude la legittimità dell’obbligo vaccinale con farmaci «i cui effetti sullo stato di salute dei vaccinati superino la soglia della normale tollerabilità», scandisce il CgarsL’organo giurisdizionale, che in Sicilia svolge le funzioni altrimenti attribuite al Consiglio di Stato, solleva pesanti dubbi sulla quantità e qualità dei dati raccolti dall’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco. Perché si fonda sulla farmacovigilanza di tipo spontaneo, e perché impone una connessione temporale tra la vaccinazione e la manifestazione dell’evento avverso, scartando così un altissimo numero di reazioni. In questo modo rischiano di andare perdute informazioni «cruciali» per definire il rapporto «rischi-benefici dei singoli vaccini». In «farmaci sottoposti ad autorizzazione condizionata, il profilo di rischio a medio e lungo termine deve emergere proprio dallo studio di fenomeni avversi che possono anche intervenire a distanza di tempo dalla somministrazione del farmaco», si precisa invece nell’ordinanza. Nell’elenco delle criticità redatto dai giudici finiscono pure i triage pre vaccinali, dove non è prevista una relazione del medico di base, non vengono richiesti esami di laboratorio «o test, inclusi quelli di carattere genetico», malgrado i data base europeo abbiano evidenziato effetti collaterali gravi post vaccino. «Nemmeno un tampone Covid, che potrebbe evidenziare una condizione di infezione in atto, che evidentemente sconsiglia la somministrazione». Notevole il paragrafo in cui, per la prima volta, le toghe evidenziano l’irrazionalità del consenso informato anche in presenza di trattamento sanitario obbligatorio. «Da un punto di vista letterale, logico e giuridico, il consenso viene espresso a valle di una libera autodeterminazione volitiva, inconciliabile con l’adempimento di un obbligo», affermano. In poche righe, smantellano il dettato normativo che aggiunge all’obbligo, quindi alla compressione del diritto all’autodeterminazione sanitaria, la manifestazione di volontà a farsi vaccinare, «indispensabile ai fini dell’esplicazione di un diritto costituzionalmente tutelato quale il diritto al lavoro». In base a tutte queste considerazioni la questione è stata rimessa alla Corte costituzionale, che speriamo si decida a intervenire diversamente sull’obbligo vaccinale per determinate categorie di lavoratori. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-giudici-siciliani-vanno-alla-consulta-e-fanno-a-pezzi-lobbligo-di-vaccino-2657028394.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="bimbi-infetti-piu-protetti-degli-adulti" data-post-id="2657028394" data-published-at="1648106918" data-use-pagination="False"> Bimbi infetti più protetti degli adulti I bambini, soprattutto tra zero e quattro anni, hanno spesso «sintomi più lievi in caso di infezione da Sars-Cov2» e «livelli significativamente più alti di anticorpi» rispetto agli adulti. Sono le principali conclusioni di uno studio appena pubblicato online sulla rivista Jci Insight a firma di ricercatori della Johns Hopkins University e finanziato dal Cdc, il Centro americano per il controllo delle malattie. Contrariamente a quanto evidenziato da studi precedenti - in realtà pochi - quello del Jci Insight suggerisce che i piccoli tendono a mostrare «forti risposte anticorpali» in presenza di coronavirus, «aprendo nuovi scenari anche sull’impiego della vaccinazione nei bambini». I ricercatori hanno analizzato i campioni di 682 persone di 175 famiglie del Maryland (età 0-62 anni) che hanno partecipato a uno studio sul contagio in contesti domestici e che in quel momento - tra novembre 2020 e marzo 2021 - non erano ancora stati vaccinati. Gli anticorpi anti-Sars-Cov-2 - segno di una precedente infezione - sono stati trovati in 56 persone appartenenti a 22 famiglie. Di queste, 15 avevano da tre mesi a quattro anni, 13 erano tra 5 e 17 anni e 28 erano maggiorenni. Nei bambini, gli anticorpi specifici per un frammento chiave - chiamato Rbd - della proteina Spike erano molto più alti rispetto agli adulti: oltre 13 volte più elevati nei piccoli di zero-quattro anni e quasi nove volte superiori nella fascia 5-17 anni. I famosi anticorpi neutralizzanti, che riducono il rischio di Covid grave, erano quasi il doppio nei minori di quattro anni rispetto agli adulti. Inoltre, non solo nessuna delle persone oggetto dell’analisi è stata ricoverata per Covid, ma circa la metà di quelle con anticorpi Rbd ha scoperto dal prelievo di aver avuto l’infezione, a conferma che molti contagi danno forme più lievi o asintomatiche. I ricercatori, auspicando ulteriori dati in materia, concludono che l’immunità varia con gli anni e che proprio questa robusta risposta anticorpale dei piccoli potrebbe essere la ragione dei loro sintomi lievi in caso di infezione. Incurante di questi risultati Moderna, ha diffuso ieri i dati preliminari dell’efficacia del suo vaccino anti-Covid a mRna nei bambini tra sei mesi e sei anni e annunciato l’intenzione di presentarli quanto prima all’Agenzia del farmaco statunitense (Fda), che sta già valutando l’autorizzazione per la fascia sei-undici anni. La vaccinazione con due dosi, ridotte vista l’età pediatrica, prevengono di circa il 44% l’infezione da Omicron tra i sei mesi e i due anni e di circa il 38% nella fascia due-cinque anni. Sono valori quasi dimezzati rispetto all’adulto, ma per l’azienda il vaccino determina «una robusta risposta anticorpale neutralizzante» con un profilo di sicurezza «favorevole». Sempre in tema di vaccini, oggi l’Agenzia del farmaco (Aifa) e il Comitato tecnico scientifico (Cts) si riuniscono per valutare l’ipotesi di allargare la platea a cui somministrare la quarta dose, coinvolgendo anche gli anziani oltre alle persone immunocompromesse e trapiantate (8-900.000), per le quali è già previsto il richiamo a 120 giorni dal booster. Sul tema, l’Agenzia europea (Ema) non si è ancora pronunciata «in attesa di dati». Non è chiaro quindi su quali «evidenze scientifiche», tanto care soprattutto al ministro della Salute, Roberto Speranza, si facciano queste valutazioni. In compenso c’è chi è già arrivato alle conclusioni. Ieri, il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, ha chiesto di procedere con la quarta dose su chiunque abbia fatto la terza da più di quattro mesi.
Jose Mourinho (Getty Images)