2019-09-13
I giudici inglesi decidono se uccidere Tafida
Oggi la sentenza sulla bambina cui i medici dell'ospedale londinese vogliono staccare il respiratore nel suo «migliore interesse». La madre chiede il trasferimento in Italia al Gaslini di Genova dove sarebbe curata. Mostrati in aula i video in cui muove le mani.«Non voglio che nessun medico inglese curi mia figlia». Lo ha detto chiaro e tondo ieri pomeriggio la madre di Tafida Raqeeb, la bimba inglese di 5 anni ricoverata al Royal London Hospital dopo una grave emorragia cerebrale. Di fronte al giudice Alistair MacDonald, che deve decidere se accettare la sua richiesta di portare la piccola in Italia o assecondare la pretesa dei medici di lasciarla a Londra e staccare le macchine, la donna ha mantenuto la calma ma dimostrato fierezza. «Ormai non ho più nessun fiducia nei dottori britannici, quindi non posso lasciare mia figlia nelle loro mani». La frattura che si è creata tra la famiglia e l'equipe medica del Royal London Hospital è insanabile. «Gli specialisti sono convinti che per la piccola non ci sia niente da fare e vogliono spegnere il respiratore che la aiuta a vivere, proclamando che è nel suo migliore interesse, i genitori invece hanno presenti i suoi miglioramenti» chiosa l'avvocato Filippo Martini, segretario dei Giuristi per la vita, l'associazione che segue i Raqeeb in Italia. Nell'udienza di ieri queste due posizioni sono state ribadite con prove e testimonianze. La mamma di Tafida ha spiegato che sua figlia «migliora ogni giorno» e chiaramente si rende conto della presenza dei genitori al suo capezzale. Ha ribadito poi che ci sono piccoli movimenti quotidiani da parte sua e quindi è giusto che le venga offerta la possibilità di combattere. Per convincere il giudice MacDonald, la donna ha voluto che in aula venisse mostrato un video della piccola in ospedale. Nelle immagini Tafida muove le dita della mano destra, le stringe e le rilascia, poi il suo braccio si agita lungo il corpo. Dimostrazioni che la bimba non è in fase di morte cerebrale, come i medici britannici sostengono da tempo, e che potrebbe riprendersi. «Qualunque sia la vita che le resta voglio che mia figlia abbia la possibilità di viverla» ha insistito in aula la mamma di Tafida, Shelina Begum, che fa l'avvocato. Certo occorre darle tempo e proprio questo è il problema. Dopo il ricovero, avvenuto in febbraio, sono passati mesi e secondo l'ospedale londinese ormai non esistono margini di miglioramento. «Questa è la grande differenza tra Inghilterra e Italia - insiste l'avvocato Martini - . Nel Regno Unito se il cervello è compromesso in modo serio si decreta che non c'è nulla da fare e si spengono le macchine. In Italia invece, in condizioni analoghe, c'è una scelta terapeutica diversa. Al Gaslini intendono continuare a tenere la bambina con la ventilazione se questa è la volontà dei genitori. Nel nostro Paese, del resto, la tutela del paziente è fondamentale. Tanto che gli ospedali si rivolgono al tribunale quando il malato o la sua famiglia vogliono interrompere un trattamento, non il contrario. Come nel caso di Eluana Englaro oppure nelle famiglie dove i genitori sono Testimoni di Geova. Se mamma e papà non vogliono lasciar fare una trasfusione al figlio minorenne ma il medico lo ritiene necessario per la sua salvezza, può far togliere temporaneamente la patria potestà alla famiglia e agire a favore del bambino». Atteggiamenti che Shelina Begum e suo marito Mohammed Raqeeb vorrebbero incontrare anche nel loro Paese. Invece gli avvocati del Barts Health Nhs Trust, che gestisce il Royal London Hospital, sostengono che, visto che la paziente non ha coscienza, non vale la pena di insistere con la ventilazione né di trasferirla. Nonostante il Regno Unito sia ancora in Europa e quindi riconosca il diritto di un malato di spostarsi in altri Paesi per ricevere delle cure. Ma dopo quattro giorni di botta e risposta in tribunale ormai è chiaro che il caso di Tafida Raqeeb ha i toni di un conflitto che va al di là della questione clinica. Perché dapprima i legali dell'ospedale hanno spostato la diatriba sul fronte religioso, sostenendo che la famiglia non dovesse essere coinvolta nel processo perché di fede musulmana e quindi contraria - per ragioni di fede - all'interruzione delle cure mediche, per cui incapace di valutare con obiettività la situazione. Un'azione al limite della libertà di culto, cui si è aggiunta anche la potenziale violazione del diritto di libero movimento in Europa, che ancora è valida per il Regno Unito, a dispetto della Brexit. E poi c'è una questione delicata nel confronto tra i due paesi. «Secondo le tesi difensive del trust ospedaliero, in Italia i bambini non sono tutelati e non godrebbero dei diritti umani», sottolinea l'avvocato Martini. «Tale tesi è al limite dell'incidente diplomatico. L'Italia è un paese dell'Unione europea e vi è almeno la presunzione che i diritti di tutti, compresi quelli dei bambini, siano pienamente tutelati. Tanto più se sottoposti alle cure e trattamenti di un ospedale come i Gaslini, che è tra i più accreditati e importanti a livello internazionale».Insomma, gli elementi di conflitto sono molti e sono distribuiti su diversi piani: sanitario, di diritto europeo, di tutela dei minori. «Siamo di fronte a un vero e proprio scontro tra culture opposte: fare previsioni sul verdetto non è facile» conclude pensieroso il segretario dei Giuristi per la Vita. Ieri sera l'associazione ha organizzato una veglia di preghiera per Tafida a Roma, di fronte alla Farnesina, cui ha presenziato via Skype anche sua madre. Un evento ad alto tasso emotivo, come in fondo tutta questa vicenda, che vede protagonista una famiglia che lotta per la salute del proprio figlio. Come in Inghilterra è già accaduto in passato, nel caso di Charlie Gard e Alfie Evans, soppressi nel loro «migliore interesse».