2020-10-18
Sul covid Conte e i suoi litigano. E fanno danni pure stando fermi
Le liti di maggioranza si trascinano nei vertici notturni, i balletti sui decreti gettano nell'incertezza chi lavora Ma Conte e i suoi se la prendono con i governatori. E intanto il premier briga per favorire la carriera di Domenico Arcuri.C'è una cosa in cui questo governo eccelle e consiste nello scaricare su altri le proprie colpe. Infatti, ogni volta che c'è un problema, o sparisce dai radar, evitando di prendere le decisioni che dovrebbe, oppure addossa a terzi la scelta, per poi poter criticare se la situazione volge al peggio. È successo con le discoteche, che quest'estate avrebbero dovuto rimanere chiuse, ma che per non assumersi l'onere di una disposizione impopolare Palazzo Chigi ha preferito lasciar riaprire. Era ovvio che sarebbe finita male e che i contagi sarebbero aumentati, perché ballare con la mascherina e a distanza di due metri non è esattamente la cosa più semplice. Ma quando sono stati segnalati i primi infetti da Covid, Conte e compagni hanno subito gettato la croce addosso alle Regioni, scaricando su di loro le mancate chiusure. La stessa tecnica è stata adottata in queste ore. Invece di procedere con mano ferma, l'esecutivo avanza con passo incerto, dimostrando di non sapere bene che cosa fare di fronte alla seconda ondata della pandemia. Chiudere gli esercizi pubblici? Fermare le partite? Interrompere le lezioni per proseguirle online? Tutti se lo domandano, ma l'unico che dovrebbe dare una risposta chiara tace. Nella giornata di venerdì, mentre il numero dei contagiati superava la soglia psicologica di 10.000 al giorno, il presidente del Consiglio, dopo aver partecipato ai funerali della governatrice della Calabria Jole Santelli, si è precipitato a un convegno di Limes: non proprio il più urgente degli appuntamenti. Così, la riunione di Palazzo Chigi è potuta iniziare a tarda notte, per concludersi dopo varie ore senza un nulla di fatto.Nel frattempo, di fronte al Covid le Regioni procedono in ordine sparso. Vincenzo De Luca, quello che scherzava fino a che il numero di malati in Campania era sotto la media, all'improvviso si è preso paura e ha cominciato a chiudere tutto, dalle scuole ai locali per feste di matrimonio o di battesimo. Quando a marzo il governatore delle Marche provò ad anticipare la decisione del governo, sospendendo le lezioni, l'esecutivo insorse, contestando il potere di Luca Ceriscioli. Lo stesso accadde quando proprio la Santelli scelse di riaprire qualche bar, visto che in Calabria non si registrava alcuna emergenza. Giusto il tempo di servire qualche caffè e da Roma il ministro Francesco Boccia fece sentire la sua voce costringendo la povera governatrice alla marcia indietro. Tutto ciò per dire che quando ha voluto, cioè all'inizio dell'epidemia, la presidenza del Consiglio ha messo in chiaro che, essendoci di mezzo la salute degli italiani, a decidere sarebbe stato il governo. Del resto, è per questo che Giuseppe Conte ha proclamato lo stato d'emergenza: per avere i pieni poteri. Ma poi il ducetto di Volturara Appula deve aver capito che chi comanda ha onori e oneri. Coi primi il premier si è gonfiato il petto, attribuendosi il successo degli interventi per fermare la prima ondata (salvo scaricare sui medici dell'ospedale di Codogno la responsabilità di non aver impedito la diffusione del virus al pronto soccorso e su quelli di Alzano Lombardo la mancata chiusura del nosocomio bergamasco). Quanto ai secondi invece, l'avvocato di Padre Pio, come lo definisce Roberto D'Agostino, forse perché il capo del governo si considera capace di fare miracoli, fatica a intestarseli e preferisce addossarli ad altri. Bisogna riconoscere che la strategia dello scaricabarile l'hanno ormai imparata anche i suoi sottoposti, i quali la applicano con sempre maggiore frequenza. A primeggiare in tal senso è Domenico Arcuri, il commissario all'emergenza che ha commissariato Angelo Borrelli. Da quando ha assunto l'incarico, l'amministratore delegato di Invitalia è passato di disastro in disastro, ma sempre dando la colpa ad altri. È successo con le mascherine, che avrebbero dovuto arrivare in ogni farmacia a prezzo calmierato il giorno della fine del lockdown. Come tutti gli italiani sanno, ci sono volute settimane perché si riuscisse a trovare dispositivi di protezione che non fossero in vendita a listini da usuraio. In quell'occasione, Arcuri dette la colpa ai farmacisti, i quali non si sa che responsabilità potessero avere, ma tant'è. Il copione si è ripetuto con i banchi, che avrebbero dovuto arrivare a milioni prima dell'inizio delle lezioni. Al contrario, ancora oggi gli studenti sono costretti a prendere appunti appoggiando i quaderni sulle gambe. Il super commissario ha però dato il meglio nei giorni scorsi, con il ritorno della tensione negli ospedali. Appena le corsie hanno cominciato a riempirsi, Arcuri ha preso di mira le Regioni, accusandole di non aver aumentato i posti di terapia intensiva. A casa mia si dice che la prima gallina che canta ha fatto l'uovo, nel senso che il primo che parla vuole nascondere il problema. Nel caso di Arcuri però c'è da chiedersi altro: ma a che serve un commissario all'emergenza che non sa risolvere le emergenze, perché non procura le mascherine, i tamponi, i banchi e neppure i posti letto negli ospedali? Vi rispondo subito: serve a fargli fare carriera. Infatti, il vice disastro (il più alto in grado nella categoria disastri è Conte) mira a diventare amministratore delegato di Leonardo al posto di Alessandro Profumo o amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti al posto di Fabrizio Palermo. Perché, Covid o non Covid, uno così bravo a dare le colpe agli altri non si può non premiare.
Charlie Kirk (Getty Images)