2021-01-27
I dem si riscoprono pretoriani di Giuseppi
Dario Franceschini (Ansa)
Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini dettano la linea: o si continua con questo presidente del Consiglio, o si va al voto. Ma nel Pd si consuma la guerriglia interna con gli ex renziani, che perderebbero potere in caso di ritorno alle urne e quindi offrono sponde a IvL'immagine più illuminante, per capire il problema che si agita dentro il Pd in queste ore me la regala, nella mattina di ieri, una fonte molto vicina al segretario del partito: «Immagina che tu vai a comprare con tua moglie una casa. Ti piace. Ci vuoi abitare, immagini di aprire una trattativa. Dici al padrone: offro 800.000 euro. Quello ti prende in disparte», sorride la fonte, «e ti dice: “Mi scusi, ma sua moglie mi ha già offerto un milione di euro..."». Ovviamente è un sorriso amaro, quello che accompagna questo racconto paradossale, e il disincanto di cui è intriso va spiegato così. Dopo un lavoro scientifico e difficile, Nicola Zingaretti è arrivato a controllare la metà dei gruppi parlamentari del suo stesso partito, che sono ancora quelli nominati da Matteo Renzi durante una celebre e feroce riunione del 2018. Il nuovo leader, come è noto, ha vinto le primarie dopo il voto. Ecco perché, nelle Camere, dopo quella del segretario la corrente più corposa è quella di «Base riformista», una costola di ex renziani che hanno abiurato il loro antico leader, ma che hanno scarse possibilità di tornare in Parlamento. Quando si rifaranno le liste saranno ridimensionati, e lo sanno. Anche a loro nome parlava - ieri mattina, su Repubblica - il ministro Lorenzo Guerini (ex renziano anche lui) con una curiosa (e clamorosa) intervista, apparentemente priva di senso logico, indicava una linea tutta sua per uscire dalla crisi: «Italia viva», diceva nelle prime battute Guerini, «è responsabile di una crisi che non ha motivazioni, peró è tempo di costruttori, per cui serve un maggioranza in cui c'è dentro anche Renzi». Quindi l'invito era quello a ricomporre la frattura con colui che indicava come il il responsabile della crisi, abbandonando la linea del segretario. Ed ecco «la moglie», da cui eravamo partiti, grazie all'apologo della fonte zingarettiana. Pochi giorni fa, infatti, il vertice del Nazareno aveva tracciato una linea netta, con Andrea Orlando: «Renzi ha tentato un omicidio politico. O c'è ancora Conte, o c'è il voto». E lo stesso ha fatto Goffredo Bettini, precisando il tiro, ma ribadendo l'obiettivo: «Non vogliamo le elezioni, ma se ci si dovesse andare la responsabilità sarà di chi ha staccato la spina». E infine c'è il Nicola Zingaretti delle ultime ore: «Non è Conte, ma Renzi che sta rischiando di portarci alle elezioni anticipate». A questo punto ci sono sul tavolo tutti gli elementi. La linea della settimana scorsa - o Conte o voto - per il segretario rappresentava quello che gli americani chiamano un «win-win»: ovvero una doppia possibilità di vittoria. Se avesse tenuto la maggioranza, infatti, nessuno avrebbe potuto rimproverare al Pd la mancanza di lealtà verso il governo. Ma se la situazione fosse precipitata, il segretario avrebbe potuto fare Bingo, approfittando del voto per rinnovare i gruppi. Ma solo questa idea ha scatenato una rivolta silenziosa fra i parlamentari che si sentono più a rischio, che non sono in sintonia con il nuovo corso, e che dunque lavorano anche per se stessi. Dubbi e malumori che sono e serpeggiati sotto traccia, date le prese di posizione molto nette del segretario ma ben visibili agli osservatori più attenti, nei gruppi che abbiamo descritto. Così si spiegano alcune sortite, quella di Guerini e quella - ancora più rilevante - di un'altra ex ministra come Marianna Madia, anche lei portatrice di quella richiesta: «Non c'è solo Conte, bisogna verificare le possibilità di una maggioranza con Renzi». Quelle della Madia e quella del ministro sono state sponde preziose per il leader di Italia viva. E così si torna a quell'immagine forte con cui abbiamo aperto l'articolo. Per la seconda volta, quando bisogna serrare i ranghi, il dissenso silenzioso verso Zingaretti riemerge. Certo. Nessuno dimentica quella sparata iniziale di Renzi: »Se non riesco a fare cadere Conte, allora devo andare davvero a nascondermi su Marte». E quindi - mentre nel pomeriggio Radio Palazzo Chigi lascia intendere che l'accordo con i famosi «costitutori» centristi sia chiuso - gli uomini del segretario iniziano a valutare che, se così fosse, «Italia viva avrebbe solo due possibilità: rientrare in una maggioranza di Conte Ter, rischiando di perdere la faccia. Oppure tenersi fuori dal nuovo governo, e correre però il rischio di diventare irrilevante o spaccarsi». Si tratta di uno scenario - quest'ultimo - che tuttavia sarebbe non sgradito a molti militanti e all'ala sinistra che guarda a Gianni Cuperlo: «Io», dice il deputato, «se Renzi in questa nuova maggioranza scegliesse di non starci, non mi strapperei di certo i capelli». E poi, subito dopo: «Vorrei ricordare a molto compagni che l'obiettivo dichiarato di questa manovra di Conte, infatti, non è Renzi, ma tutto il Pd». Tuttavia, in questo quadro complesso ci sono ancora tre incognite molto importanti da prendere in considerazione: la prima è capire se i «costruttori centristi» di cui parla Palazzo Chigi (si chiarirà oggi) ci sono davvero o no, e sopratutto quanti sono. La seconda incognita da capire, è quale nome farà Renzi a Sergio Mattarella durante le consultazioni. Gli uomini della maggioranza del Pd pensano che quello potrebbe essere l'ultima mossa dell'uomo di Rignano. Perché non sono pochi, quelli che ieri facevano il nome di Pierferdinando Casini, come ipotesi di presidente del Consiglio per disarcionare il terzo tentativo di Conte. O - addirittura - che Italia viva potrebbe fare il nome di Luigi Di Maio. Questo scenario, ovviamente, metterebbe a dura prova gli equilibri su cui si regge il Pd (e anche il M5s). In entrambi questi casi, la palla tornerebbe nel campo degli ex alleati ponendoli di fronte ad una scelta. Si riaprirebbe, così, il tema delle «mogli» e le «vedove» di Renzi che oggi non vogliono accettare la linea Zingaretti-Bettini.
Jose Mourinho (Getty Images)