2019-08-22
I dem sfidano i 5 stelle. Sassoli dall’Ue a Palazzo Chigi e Letta jr alla Commissione
Oggi al Quirinale saliranno i big. Nicola Zingaretti farà il nome dell'ex mezzobusto come premier. E chiederà di sostenere l'anti renziano a Bruxelles. Tutta pressione sul M5s.Prima giornata non memorabile di consultazioni: ritualmente, sono saliti al Colle i presidenti del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e della Camera Roberto Fico (quest'ultimo, non a piedi, ma a bordo di una potente auto di marca tedesca), più i rappresentanti delle formazioni minori (Autonomie, Misto, LeU), mentre Pd, M5s, Lega, Fi e Fdi sfileranno oggi. Nel pomeriggio di ieri, è stato sentito da Sergio Mattarella anche il suo predecessore Giorgio Napolitano, che tuttavia non ha lasciato la sua località di villeggiatura. Eppure, nel retropalco della crisi, la giornata è stata tutt'altro che banale. E sul tavolo sono arrivati i due veri nodi: le poltronissime di presidente del Consiglio e del commissario europeo che ci spetta. La tattica di Zingaretti è fin troppo chiara: sapendo che i grillini sono terrorizzati dalle urne (sondaggi in picchiata, e tre quarti degli attuali parlamentari quasi certi di tornare a casa), il segretario dem mostra loro l'abisso (cioè le elezioni), imponendo come alternativa per evitarle condizioni pesantissime, che in altri momenti sarebbero state letteralmente insostenibili per il Movimento. Un modo per alzare l'asticella al massimo, e portare a casa qualcosa. Ecco le due bombe: il Pd vuole che il posto di commissario Ue sia occupato da Enrico Letta, e quello di presidente del Consiglio dal neo presidente dell'Europarlamento David Sassoli. La logica che sta intorno alla designazione di Letta è fin troppo chiara: scegliere un uomo carissimo a Emmanuel Macron, un eurolirico certificato, e un nemico giurato di Matteo Renzi, per togliere l'etichetta renziana al patto con M5s. Altrettanto chiara - sempre dal punto di vista zingarettiano - l'indicazione di Sassoli: l'ex mezzobusto del Tg1 esprime quasi fisicamente sia lo schema politico «Ursula» (la maggioranza europea Pse-Ppe, con stampellina grillina) sia il cordone sanitario anti Lega che il Pd vorrebbe importare da Bruxelles a Roma. Quanto a Sassoli, tra l'altro, non è stato mai ufficialmente smentito che il Quirinale, dietro le quinte, abbia in qualche modo sponsorizzato l'ascesa dell'esponente Pd allo scranno più alto dell'Europarlamento: quel «premio» a un italiano anti Salvini fu letto in tutta Europa come uno sfregio verso la Lega, che veniva contemporaneamente esclusa perfino dalle vicepresidenze del Parlamento europeo e dalle presidenze di commissione. Così come a molti non sfuggì l'inusuale e plateale endorsement a favore di Sassoli di padre Francesco Occhetta, vicinissimo a padre Antonio Spadaro, e a sua volta firma di Civiltà cattolica. O, su un altro piano, le risposte iperpolitiche di papa Francesco in una recente intervista sulla Stampa, un'autentica tirata anti populista e pro Ue, fino all'incredibile «prima l'Europa, poi ciascuno di noi». Ma torniamo a Zingaretti: è evidente che per lui ottenere entrambi questi risultati sarebbe un trionfo, pur al prezzo (notoriamente gradito al Pd, non da oggi) di certificare il patronage politico francotedesco sull'Italia: noi (Pd) vi garantiamo obbedienza su tutto, e in cambio voi ci garantite un pochino di flessibilità e ci allungate un po' la catena. Se invece non li otterrà, Zingaretti potrà agilmente attribuire la colpa o ai grillini o al solito Renzi. Un punto di caduta ritenuto più che accettabile dagli uomini del segretario dem sarebbe quello di centrare almeno uno dei due risultati. Tra le alternative, non va sottovalutata - oltre agli altri nomi che continuano a circolare: da Roberto Fico a Raffaele Cantone, passando per Enrico Giovannini - la solita candidatura del professor Carlo Cottarelli, gran mistico dello spread, che quattordici mesi fa fu abbandonato da Mattarella sul portone del Quirinale, dopo essere stato illuso per una notte che sarebbe davvero diventato presidente del Consiglio. Mentre per la Commissione Ue non vanno ovviamente dimenticate le carte Giuseppe Conte e Matteo Renzi. A proposito di Mattarella, qual è il suo vero atteggiamento? Da giorni, gli uomini del Colle veicolano attraverso i quirinalisti di fiducia una versione ufficiale: quella di un presidente assolutamente non interventista. Insomma, Mattarella, secondo questa scuola di pensiero, pretenderebbe da Pd e M5s un accordo rapido (massimo in una settimana), pieno e strutturato: altrimenti, non si metterà a cercare voti o a fabbricare governi «suoi», e non avrà esitazione a chiamare il voto, previa la pura e semplice indicazione di un esecutivo elettorale, senza uomini di partito. La stessa evidente brevità delle consultazioni - dicono e scrivono i sostenitori di questa tesi - indica plasticamente l'atteggiamento rigoroso del Quirinale. Ma è proprio così? Indubbiamente, dopo la non gloriosa vicenda della designazione di Cottarelli, Mattarella si guarderà bene dagli eccessi di attivismo. Ma, su un altro piano, proprio la brevità dei tempi decisi dal presidente è la maggior forma possibile di pressione sui grillini. Per usare un avverbio caro alla tradizione comunista, «oggettivamente» Mattarella porta i grillini sull'orlo del baratro, mostra loro l'abisso, e poi torna a chiedere se siano d'accordo con le proposte di Zingaretti. Non improbabile che quelli, terrorizzati, finiscano per accettare quasi tutto.
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