2021-01-12
I dem non vogliono cacciare Trump ma impedirgli di vincere ancora
Nancy Pelosi (Getty images)
Presentata la messa in stato di accusa contro The Donald, che dal 20 gennaio tornerà un privato cittadino L’obiettivo degli avversari è interdirlo dalle cariche pubbliche, anche a costo di violare le norme costituzionaliNancy Pelosi è stata chiara: se il vicepresidente americano Mike Pence non destituirà Donald Trump tramite il venticinquesimo emendamento, la Camera dei Rappresentanti avvierà (forse già domani) un nuovo processo di impeachment contro il presidente. In tal senso, i dem - vista la contrarietà dei repubblicani alla destituzione - hanno presentato formalmente ieri una risoluzione di messa in stato d’accusa, contenente un unico capo di imputazione: quello di «incitamento all’insurrezione» (per i fatti del Campidoglio). Avviare un impeachment adesso potrebbe apparire paradossale, visto che il mandato del presidente scadrà - in base alla Costituzione - il 20 gennaio. Ricordiamo che la messa in stato d’accusa è un processo complicato, dalle tempistiche non esattamente rapide: deve essere infatti istruito dalla Camera (a maggioranza semplice) e celebrato dal Senato (dove, per arrivare a una rimozione del presidente, è necessaria una maggioranza di due terzi). Ora, nonostante la probabile assenza di audizioni preliminari, sperare di arrivare a concludere tutto in meno di dieci giorni è quasi un’utopia. E di questo la speaker è ovviamente consapevole. Senza contare che, nell’asinello, si teme che un impeachment adesso finirebbe con l’intralciare anche i primi passi dell’amministrazione entrante. Ecco quindi che l’influente deputato dem, Jim Clyburn, ha avanzato una proposta. La Camera dovrebbe rapidamente votare per istruire il processo, ma dovrebbe poi attendere circa cento giorni prima di trasmettere formalmente il capo d’imputazione al Senato: giusto il tempo per permettere a Joe Biden di avviare senza intoppi o tensioni la propria presidenza. Ora, al di là del fatto che una simile linea sembra piegare l’impeachment alle esigenze politiche del Partito democratico, si scorge anche un problema di natura tecnica. Se l’idea fosse veramente quella di trasmettere il capo d’imputazione al Senato tra tre mesi, ciò significherebbe che un eventuale processo verrebbe celebrato ben dopo il 20 gennaio: vale a dire, quando Trump sarà già tornato a essere un privato cittadino. Piccolo particolare: in base all’articolo II della Costituzione, l’impeachment è un procedimento volto a rimuovere dal proprio incarico «il presidente, il vicepresidente e tutti i funzionari civili», non riguardando pertanto i privati cittadini. E allora che senso ha un impeachment «postumo»? Il senso c’è. Ed è tutto politico. La Costituzione prevede che un presidente rimosso tramite impeachment venga interdetto dai pubblici uffici. E la Pelosi, con Trump, punta esattamente a questo. Peccato tuttavia che l’interdizione non sia l’obiettivo costituzionale dell’impeachment: l’obiettivo è infatti la rimozione dall’incarico, di cui l’interdizione è semmai un effetto aggiuntivo. Condurre quindi un impeachment contro un privato cittadino con l’intento di interdirlo dai pubblici uffici ha senso politicamente ma non costituzionalmente. E questo è bizzarro per una speaker che, soprattutto negli ultimi anni, si è sempre professata paladina dello Stato di diritto e del più rigoroso rispetto delle norme costituzionali. Del resto, come riportato venerdì da Nbc News, i giuristi sono divisi sulla possibilità di condurre un impeachment contro un presidente che abbia già lasciato il proprio incarico. Va rilevato che esiste un (parziale) precedente: nel 1876, il segretario alla Guerra, William Belknap, subì un processo di impeachment dopo essersi dimesso dal proprio incarico. Ci sono tuttavia delle differenze con il caso odierno. All’epoca, lo speaker della Camera, Michael Kerr, sostenne che le dimissioni di Belknap avessero lo scopo di «eludere» il processo, mentre oggi abbiamo un’imminente scadenza di mandato. In secondo luogo, si trattava di un ministro e non di un presidente. Pensiamo infine a Richard Nixon, che - dimessosi il 9 agosto 1974, poco prima che la Camera votasse per metterlo in stato d’accusa - non venne poi sottoposto a procedimento. È pur vero che Nixon avrebbe ottenuto il perdono presidenziale da Gerald Ford: ma il perdono arrivò l’8 settembre del ’74, mentre il procedimento per arrivare all’impeachment fu chiuso dalla Camera il 20 agosto. Si dirà che, nel caso di Trump, lui tornerebbe privato cittadino a processo già iniziato: il punto è che sempre privato cittadino risulterebbe e -ripetiamolo- un impeachment ha lo scopo di rimuovere qualcuno da un incarico pubblico. Resta quindi il dubbio se gli Stati Uniti, in un momento di tale divisione, abbiano realmente bisogno di questo impeachment. Così come è lecito chiedersi se, dopo i gravi fatti dell’Epifania, i dem stiano puntando a una ricostruzione nazionale o piuttosto a una resa dei conti con i loro avversari. A partire da un Trump che -in conseguenza di quanto accaduto a Washington la scorsa settimana - si è già politicamente indebolito con le sue stesse mani. Tra l’altro, se l’impeachment ha incassato ieri il sostegno di Hillary Clinton sul Washington Post, Biden non si è ancora pronunciato apertamente sul tema, optando per una posizione evasiva. Una posizione che lascia intendere come, in seno all’asinello, il peso politico della Pelosi si stia rivelando molto più significativo di quello del presidente in pectore. Nel frattempo, Melania Trump ha condannato ieri l’irruzione al Campidoglio, dichiarando: «Condanno assolutamente le violenze che si sono verificate nel Campidoglio della nostra nazione. La violenza non è mai accettabile». Il Pentagono ha frattanto autorizzato il ricorso a 15.000 componenti della guardia nazionale per l’inaugurazione presidenziale. Tutto questo, mentre è prevista per oggi la prima apparizione pubblica (dallo scorso 6 gennaio) di Trump, che dovrebbe recarsi in Texas, per visitare il confine con il Messico.
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