2019-08-19
I carboidrati buoni
Pasta, pane, dolci sono diventati l'ossessione di molti. Ma per una corretta alimentazione gli zuccheri non devono essere cancellati del tutto. L'importante è scegliere quelli con basso indice glicemico: farine integrali, cereali come il farro e l'orzo, le patate bollite oppure cucinate dopo averle lasciate in ammollo come i legumi. Bisogna invece eliminare le bibite.Forse oggi la regina di Biancaneve e i sette nani allo spirito onnisciente dello specchio magico chiederebbe: «Specchio, specchio delle mie brame, qual è il carboidrato a più basso indice glicemico del reame?». Carboidrati e zuccheri sono diventati l'ossessione di molti, nel senso che molti cercano di evitarli. Ma un po' ci vogliono e stiamo scoprendo che ci sono anche quelli cosiddetti buoni, cioè con un basso indice glicemico. Conoscerli ci aiuta ad ampliare il ventaglio delle opzioni in quota carboidrati nella nostra dieta. Partiamo dall'inizio. I carboidrati o glucidi (dal greco glycùs, «dolce») - ma anche glicidi o saccaridi - sono composti chimici organici formati da atomi di carbonio, idrogeno e ossigeno. Vengono classificati in base a vari criteri, per esempio secondo il numero di unità ripetitive che li compongono, da cui deriva la seguente classificazione: monosaccaridi, con una sola unità ripetitiva (come glucosio, galattosio, fruttosio); disaccaridi, 2 unità ripetitive; trisaccaridi, 3 unità ripetitive; oligosaccaridi, da 2 a 9 unità ripetitive; polisaccaridi, molte unità ripetitive, di solito più di 10 (come l'amido). Altra distinzione è quella in carboidrati semplici o zuccheri, cioè monosaccaridi e oligosaccaridi, e carboidrati complessi, cioè polisaccaridi. Lo zucchero per eccellenza è il saccarosio, estratto da canna e barbabietola da zucchero. Nonostante si stiano demonizzando sempre di più, prima gli zuccheri e poi i carboidrati complessi, l'organismo ne ha necessità. Non si tratta di una questione di vita o di morte, ma di corretta alimentazione. Se è vero che i carboidrati non sono nutrienti essenziali, perché si può ottenere il glucosio da alcuni amminoacidi delle proteine e dal glicerolo dei trigliceridi (i grassi), è anche vero che una tale dieta priva di carboidrati è chetogenica, conduce cioè alla chetosi, uno stato, alla lunga, per nulla salubre per l'organismo.Cibo per i neuroniIl cervello e i neuroni hanno assolutamente bisogno di glucosio (quello spot di qualche decennio fa sullo zucchero che nutriva il cervello non diceva il falso). Ben il 99% dell'energia cerebrale, infatti, deriva dal glucosio, che è anche il substrato di molti neurotrasmettitori. L'errore di alimentazione nel rapporto con i carboidrati, dunque, non sta nell'assumere carboidrati, ma nell'assumerne troppi, magari raffinati. Poi, sta nell'assumere troppi carboidrati semplici (come dolci strapieni di zucchero o bibite iperzuccherate). Perché è vero che il cervello ha bisogno di zuccheri, ma non di un quintale al giorno. Ed è poi vero che il glucosio non risiede soltanto in ciò che è dolce, dal pasticcino alla frutta, ma anche, per esempio, nella verdura, come nelle cipolle, nella rutabaga, nelle rape. Pensate che la barbabietola rossa è detta «caramella della natura» perché una sola fornisce il 31% del glucosio di cui necessitiamo in un giorno. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, i carboidrati vanno controllati, non eliminati: dovremmo ricavare dal 55 al 75% delle chilocalorie giornaliere dai carboidrati e, per quanto riguarda i carboidrati semplici, cioè gli zuccheri, questi dovrebbero essere soltanto il 10% dell'introito calorico quotidiano, scendendo, se possibile, fino al 5%. Non è consigliabile contravvenire a queste indicazioni: le patologie da eccesso di carboidrati complessi e semplici, che sono caratteristiche dei decenni dal boom economico in poi, dell'industrializzazione della produzione alimentare e della sedentarizzazione dell'esistenza, sono infinite e sono anche la ragione per cui l'Oms è scesa in campo. I carboidrati forniscono energia alle cellule: quelli che esuberano il bisogno di energia vengono accantonati nelle riserve epatiche e muscolari in forma di glicogeno e quando anche le riserve di glicogeno sono sature vengono trasformati in grasso. L'obesità contemporanea tipica della civiltà benestanti? Troppi carboidrati complessi e semplici, entrambi raffinati. E poi diabete, carie dentale, sindrome metabolica, iperinsulinemia, malattie pancreatiche, cardiovascolari, renali, oculari, epatiche. Al contrario, mantenendosi all'interno delle percentuali Oms, si può rendere più sana l'assunzione di carboidrati, optando, più spesso che si può, per quelli che hanno un indice glicemico più basso. Che cos'è esattamente l'indice glicemico? È anche noto con lo stesso acronimo che oggi usiamo per abbreviare il social network Instagram, Ig, così come l'inglese Glycemic index si abbrevia in Gi. Questo concetto venne introdotto nel 1981 e serviva a classificare gli alimenti contenenti carboidrati a uso dei pazienti diabetici. Esso misura la risposta della glicemia nel sangue nelle due ore successive all'assunzione di alimenti contenenti - ciascuno - 50 grammi di carboidrati. La velocità con cui aumenta la glicemia in seguito all'ingestione dell'alimento contenente quei 50 grammi di carboidrati è espressa come percentuale sulla velocità di aumento della glicemia con la stessa quantità di glucosio (standard di riferimento, valore Ig pari a 100). Si monitorarono le risposte glicemiche di 62 alimenti, decretando i seguenti intervalli: fino a 40, Ig molto basso; Ig basso (da 41 a 55); Ig medio (da 56 a 69); Ig alto (da 70 in su). La regola generale è che più gli alimenti sono raffinati e più alto è il loro indice glicemico perché raffinando si elimina tutto ciò che non è carboidrato. Con l'avvento del cibo iperlavorato, negli ultimi decenni abbiamo letteralmente ridotto i carboidrati a pane e pasta di farine raffinatissime e, allo stesso tempo, è enormemente aumentata la presenza di zuccheri nei cibi conservati e, di conseguenza, il nostro consumo: questo ci ha fatto quasi dimenticare che esistono carboidrati buoni, dei quali, oltretutto, la nostra tradizionale dieta mediterranea sarebbe ricca. occhio al numeroInnanzitutto, è bene sapere che qualunque farina di grano, tenero come duro, è più apprezzabile macinata integrale e andrebbe consumata così almeno ogni tanto, se non sempre. Ricordiamoci poi che il grano tenero, il più utilizzato per la panificazione salata e dolce, presenta una numerazione. Più quel numero è alto, meno quel grano è raffinato. Il tasso di abburattamento - o resa di macinazione - è, infatti, inversamente proporzionale all'indice glicemico: più è alto il primo, più è basso il secondo. Con tasso di abburattamento si intende la quantità di farina ottenuta dalla macinazione di 100 chili di grano, cioè la percentuale di chicco utilizzata per realizzare farina: la 00 presenta un abburattamento del 50%, la farina 0 del 72%, la 1 dell'80%, la 2 dell'85% e la farina integrale, sottoposta a una sola macinazione, ha un tasso di abburattamento del 100%. Quindi, dove c'è più crusca e più germe di grano, c'è meno amido. Generalmente, una farina di grano bianca ha Ig 85, una semintegrale 65, una integrale 60. Sono nozioni che non tutti conosciamo, ma che, usate come criterio una volta note, possono aiutarci a recuperare salute e benessere nel nostro consumo di carboidrati. Ivy Moscucci è un'esperta di cucina a basso indice glicemico. Applicando una dieta a basso Ig in casa sua è riuscita a contrastare il diabete 1 del marito fino a portarlo in remissione e la sua tiroidite di Hashimoto. Dopo il libro Dolce senza zucchero, nato dal successo del suo omonimo blog, ha da poco pubblicato Carboidrati buoni. Pani, pasta e pizze che fanno bene. Ricette sfiziose a basso indice glicemico.viva la varietàSpiega Moscucci: «Sono tantissimi i cereali di cui troppo spesso ci priviamo, magari perché poco conosciuti o lontani dalle mode. Ma quali benefici ha introdurre nella nostra cucina non solo farro, orzo, segale, ma anche teff e sorgo? Pani, pasta, pizze, dolci fatti in casa saranno non solo più buoni e ricchi di nutrienti, ma contribuiranno anche a mantenere stabile l'indice glicemico, e con esso il nostro benessere». Ivy non parla a caso di privazione. Perché, da una parte, molte problematiche di salute conducono all'astensione dai carboidrati e, nel mentre, per meri motivi estetici, si affermano le diete low carb, con le quali si intendono diete iperproteiche e chetogeniche che eliminano oppure riducono davvero pesantemente i carboidrati, spesso apprezzatissime tra le vip, da Jennifer Lopez a Jessica Biel. Dall'altra parte, però, rinasce l'amore per i carboidrati grazie a chi sospetta di una dieta che li esclude completamente e ci sono poi coloro che, non potendo mangiare i carboidrati «cattivi», iniziano allora a cercare quelli buoni. La tendenza è stata definita «Carb revival» e consiste nel non demonizzare più i carboidrati, in particolar modo dopo la riscoperta e la rifondazione salutistica di questi ultimi da parte di panificatori e pastaioli foodie (che, spesso, riportano in auge conoscenze della panificazione e della pastificazione artigianali e tradizionali preindustriali). Per quanto riguarda la pasta, il carboidrato buono è innanzitutto il grano duro. Non tutti sanno che la pasta di semola di grano duro, rispetto a quella di grano tenero, ha un indice glicemico più basso e viene digerita - e quindi assimilata - più lentamente. La stessa cosa vale per il pane: il miglior «pane rustico come una volta» è quello impastato con semola di grano duro, che dura più a lungo proprio perché il grano duro crea una maglia glutinica più elastica e compatta rispetto al grano tenero. I cosiddetti grani antichi, poi, svettano per bassezza di Ig. La Moscucci annovera tra i grani antichi dei suoi carboidrati buoni la segale (Ig 50), il grano saraceno (Ig 50), il farro (sia il piccolo, sia il medio presentano Ig 40), il kamut (Ig 40), il teff (Ig 40), l'avena (Ig 40), l'amaranto (Ig 35), la quinoa (Ig 25), l'orzo (Ig 25). Si trovano tutti nei supermercati, in farina e qualcuno in chicchi e sono un'ottima alternativa, anche occasionale, al classico pane bianco (Ig 70) di grano tenero i primi, alla classica pasta gli ultimi. Anche i metodi di cottura influenzano l'Ig. Più è lunga la cottura in acqua di un alimento molto amidaceo, più veloce è la digestione dei carboidrati e più alto è il picco glicemico: cuocere la pasta e il riso al dente come facciamo noi italiani, seppure si tratti di pasta e riso raffinati, ne abbassa un po' l'Ig. Anche l'alimento amidaceo freddo ha un Ig più basso di quello caldo (ben vengano, quindi, le insalate di pasta o la frutta fresca di frigorifero che mangiamo in estate). Emblematico è il caso delle patate, che per l'alto tasso di carboidrati possono essere considerate un'alternativa a pane e pasta, più che un contorno. Il loro Ig differisce con la cottura: al forno, Ig 95; in purè, Ig 80; bollite senza buccia, Ig 70; bollite con la buccia, Ig 65; fritte, Ig più basso, ma avendo assorbito molti grassi, friggendo, sono parecchio caloriche. meglio freddiCome abbiamo già visto per la pasta, poiché vale per tutti gli amidacei, è vero anche per le patate: raffreddandosi, l'amido diventa meno solubile e quindi meno assimilabile, di conseguenza mangiando le patate fredde ci si gioverà di un Ig ancora più basso. Anche il momento della raccolta influisce: quelle novelle sono meno farinose e quindi meno amidacee. Per ridurre ulteriormente il livello di amido delle patate, dopo averle sbucciate e fatte a pezzi basta lasciarle in ammollo in acqua fredda e in frigorifero in una ciotola coperta per 12 ore, poi sciacquarle bene prima di utilizzarle. Se ci fate caso, è lo stesso procedimento al quale sottoponiamo i legumi. Spiega la Moscucci, parlando dei fattori che influenzano l'indice glicemico riguardo ai legumi: «Lasciali a bagno per circa 8-12 ore, quindi butta via l'acqua di ammollo e cuocili in pentola (non a pressione) a fuoco bassissimo per il tempo necessario. Seguendo questa procedura si elimina una buona parte dei carboidrati e/o degli amidi, che rimangono nell'acqua dell'ammollo». Moscucci spiega anche come l'aggiunta di farina di legumi abbassi ulteriormente l'Ig dei panificati e delle paste, una di semi oleosi quella dei panificati. Qualche numero? Farina di ceci Ig 35, farina di soia Ig 25. Ancora. Farina di cocco Ig 40, farina di nocciole, di noci, di pistacchi Ig 25, farina di mandorle Ig 15.